Capitolo 4

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Questione di silenzi

"Ed i due non comprendevano quel subbuglio interiore,

fatto di silenzi e tensione,

e che la Luna, mia maestra, aveva già programmato,

nel desiderio di brillare nel cielo"

"Chi sta gridando là fuori?" fu la domanda del capo delle guardie, che teneva stretta la mano del suo caro amico; lui, tuttavia, era tutto fuorché interessato a urla che non fossero le proprie.

"Hoseok, ti pare che possa pensare ai fatti degli altri proprio ora?!" ringhiò Taehyung in risposta, lanciandogli un'occhiataccia e mostrando, subito dopo, una smorfia di dolore, mentre l'ennesima ferita veniva chiusa dal medico.
Il fulvo scrollò le spalle; in fondo non poteva disinteressarsi agli scompigli nel villaggio con uno schiocco di dita. Deformazione professionale.

Erano trascorse due ore, ormai, da quando il trattamento era iniziato.
L'atmosfera era opprimente, tanto da mettere alla prova i nervi saldi dei tre gitani.

Il dottor Park era ancora inginocchiato con ago e filo in due dita, ma le mani erano sporche di sangue e le garze accanto a sé erano pronte ad essere utilizzate non appena fosse stato eseguito l'ultimo punto di sutura.
La fronte del medico era madida di sudore e, nonostante la fatica iniziasse a farsi sentire, lui non tremava, non esitava e suoi occhi erano ancora svegli e concentrati sul lavoro.

Taehyung, a sua volta, era ancora immobile, sopportando l'immenso dolore pur di facilitare i movimenti al medico. I muscoli si rifiutavano di cedere, ma la voce era rotta e intrisa di sofferenza: mugolii, gemiti e grida strazianti rimbombavano per le pareti del capanno.
Solo la mano di Hoseok, che stringeva tanto da donarle una connotazione violacea, rappresentava una valvola di sfogo e un sostegno.
Si era ripromesso di resistere e tornare da Jeongguk il prima possibile; tuttavia, aveva dovuto chiedere una pausa più volte per riprendere fiato e non svenire.

Hoseok guardava impotente e pregava i loro dei in silenzio, affinché quella tortura giungesse al termine il prima possibile. Sentiva le gambe intorpidite e le dita pulsanti, ma restava fermo ed in piedi senza battere ciglio. Non avrebbe abbandonato un amico, non lo avrebbe lasciato da solo davanti al dolore. 

Taehyung schiuse le labbra nel vano tentativo di inspirare più aria, riempire i polmoni e possibilmente calmarsi. Gli occhi erano rossi e colmi di lacrime che, per orgoglio, non gli avrebbero sporcato le guance tanto facilmente. 
Cercava di concentrare i pensieri su un certo moretto dagli occhi da cerbiatto: colui che aveva difeso, il ragazzo per cui avrebbe sopportato gli aghi anche una seconda volta, senza alcuna esitazione, se da ciò fosse dipesa la sua vita.
Non comprendeva i propri sentimenti, né quel senso di protezione che lo aveva legato fin da subito a Jeongguk.
Kim Taehyung, il figlio del Sole, non aveva mai pensato tanto intensamente a una persona fino a quel momento. Lui, che aveva sempre ignorato avances e romanticismi, improvvisamente si era lasciato travolgere da un ragazzino dalla pelle pallida. Era un sortilegio.

"Forza, Taehyung, un'altra ferita e vai a casa."
Il signor Park tagliò il filo in eccesso dell'ultimo punto fatto, poi asciugò il sudore sulla fronte con il braccio e si riposizionò. Sospirò davanti alla pelle che avrebbe dovuto ricucire, esaminandola con le dita e con lo sguardo prima di iniziare a suturare.
Taehyung urlò, ancora e ancora, mentre strizzava gli occhi e si mordeva il labbro inferiore, tanto intensamente da spaccarlo. Nuovo sangue fu versato.

Il tempo pareva prendersi gioco di lui, rifiutandosi di scorrere.
Non aveva più contezza dei minuti, delle ore, dei giorni. Sembrava che fosse passata una vita da quando il signor Park aveva ripreso a trattarlo.

The Moonchild ballad|| vkookWhere stories live. Discover now