Capitolo 10

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Lacrime, vuoto, ansia e paura hanno riempito questi due giorni. Mi sono alzata dal letto solo per mangiare. I miei, come sempre, stanno ad insultarmi. Non ce la faccio piú. No, farlo entrare di qua e uscire di là non funziona. Nemmeno ignorarli funziona. Le parole anche se non vuoi le senti lo stesso e ti entrano dentro, ti feriscono, ti distruggono e continuano a ronzarti in testa. Pensavo di aver imparato a non considerarli, a far finta che fossero coinquilini antipatici, sconosciuti o addirittura fantasmi. Tutto inutile.

Ho il cuscino ancora umido da ieri e continuano a cadervi lacrime. Non riesco a farle smettere. La depressione si è ripresentata più violenta di prima, ci sono momenti in cui non mi viene il respiro. Sempre peggio. Non è possibile che mi vada tutto male, deve essere un segno. Forse non devo essere felice, forse non me lo merito. La mia vita è andata male per vent'anni, significherà pur qualcosa.

Sono cresciuta da sola, i miei non mi volevano. I primi anni sono stata accudita da mia sorella che poi, sposandosi, si trasferì lontano. Alle elementari avevo solo un'amica mentre tutti gli altri bambini mi prendevano in giro. Pensavo che alle medie le cose sarebbero migliorate, invece i bulli mi facevano scherzi terribili come chiudermi a chiave nel bagno o lanciarmi la cartella fuori dalla finestra o ancora gettandomi la merenda nell'immondizia. Oltre che prendermi in giro perché vestivo con gli indumenti delle mie sorelle, vecchi di diec'anni. Mi sono fatta forza e sono andata alle superiori, pensando che sarebbe andata meglio. C'era Elena che conoscevo dalle elementari, stavamo diventando amiche. Poi ha iniziato ad uscire con altra gente e non mi invitava mai, le avrei fatto fare brutta figura. A sedici anni è iniziato il mal di schiena, nessun dottore sembrava capirne la causa, attribuivano il tutto ai dolori legati alla crescita. Ma io stavo sempre peggio. A diciassette anni faticavo a camminare e dormivo cinque ore per notte, tant'erano forti i dolori. I miei per un sacco di tempo hanno pensato che lo facessi apposta per non aiutare in casa, per poter stare nel letto, perché per loro ero solo una sfaticata. Alla fine il mio dottore mi fece fare una risonanza magnetica e mi trovano un'ernia, molto grossa; si sono dovuti ricredere. Ho provato tutte le terapie possibili ma niente alleviava il dolore. In quel periodo conobbi il mio ex, lui a differenza di Elena e delle compagne di classe che mi ignoravano o mi schernivano, mi accettava così com'ero. Oltre ad Elena avevo qualche altra amica ma quando arrivai al punto di non riuscire a camminare dalla fermata dell'autobus al cancello della scuola, mi abbandonarono tutte. Nessuno mi chiedeva più di uscire, mi dissero che ero un peso, che non si poteva andare da nessuna parte con me perché dovevo sempre sedermi, e questa cosa le scocciava non poco. Ero sola. Per questo mi aggrappai a quel ragazzo che dimostrava di volermi anche così. Ho passato un anno terribile con lui, dopo i primi mesi in cui faceva il carino si è mostrato per quello che era realmente. Mi trattava male, mi insultava, mi tradiva. Aveva ridotto la mia autostima a zero. Mi aveva convinta di essere fortunata ad avere lui perché nessuno avrebbe voluto una nullità come me che per giunta nemmeno si reggeva in piedi. Pensavo davvero che se lo avessi lasciato sarei rimasta sola. Facevo pena pure a me stessa. Quella fu la prima volta che pensai al suicidio. Poi un giorno, quando ormai stavo con lui da un anno, mi picchiò e abusò di me. Nessuno credette all'abuso, dal momento che stavo con lui da tempo. Dopo quell'episodio trovai la forza di lasciarlo. Ero alla fine della quinta superiore e non l'avrei più rivisto facilmente, abitava nei pressi della mia scuola mentre io a venti chilometri di distanza. Mi tormentò per un bel po' con messaggi, chiamate e minacce, ma imparai ad ignorarlo. Intanto la mia schiena era ridotta sempre peggio: camminavo a malapena fino al bagno, dormivo al massimo quattro ore e i dolori non si placavano nemmeno coi più potenti antidolorifici. Per Natale mi dissero che sarei stata operata, vedevo di nuovo uno spiraglio di luce, finalmente qualcuno aveva ascoltato le mie suppliche. Alla fine il medico che mi visitò non volle operarmi per i pericoli legati all'intervento. Quella fu la seconda volta che pensai al suicidio, non volevo più vivere se vivere significava stare così. Ero quasi sul punto di farla finita, quando dopo molte insistenze il primario dell'ospedale decise di visitarmi. Mi disse che l'operazione era a mio rischio e pericolo, potevo rimanere paralizzata, potevo non svegliarmi dopo l'intervento, c'erano un sacco di complicazioni. Accettai tutto, stavo per perdere l'uso della gamba destra, volevo provare. Mi operarono l'ultimo di aprile, nel bel mezzo della primavera, con gli uccellini che cantavano fuori da quella camera spoglia e i fiori che riempivano le aiuole del giardino sottostante. E poi sono stata in convalescenza per quasi due mesi.

Immaginavo che la mia vita sarebbe andata sempre meglio e invece eccomi qua, dopo l'ennesima delusione. Non ce la faccio davvero più, va solo peggio.

Ho rimandato per troppo tempo.

Non voglio più andare avanti, non voglio.

Vicino a te non ho pauraWhere stories live. Discover now