Capitolo 37: Le cose fatte per amore sono le piú stupide

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Ho sempre amato gli aeroporti e gli aerei, non ne ero spaventata, stare lì mi conferiva solo un grande senso di tranquillità e di stabilità, come se fosse una costante, come se fosse una promessa. La promessa che ogni aeroplano poteva portarti in un posto diverso, ad una nuova vita, ad una nuova felicità.

Durante il volo io e Dylan abbiamo cercato di mettere a fuoco una strategia, mentre lui mi illustrava tutti i soliti spostamenti di Jermaine. Era un ragazzo abitudinario, paranoico e viziato che ogni lunedì mattina andava a fare colazione in una pasticceria francese, dopodiché andava in banca, lavorava sul suo conto, si incontrava con una rappresentante di quadri e poi tornava a casa insieme a lei, ad esaminare quelli che gli proponeva.

«Questo qui è proprio appassionato» commentai sarcasticamente mentre guardavo il rullo esporci ogni valigia scaricata dall'aereo.
«Ti piacerà casa sua, incornicia tutti i quadri che compra e ogni giorno li osserva uno a uno... Nonostante ciò non si è ancora accorto che uno dei suo Rembrandt è falso e che quello vero ce l'ho io, ma meglio così» ghignò leggermente quando prese la valigia dal rullo e mi voltò le spalle.

Mi morsi l'interno della guancia per trattenere un sorriso mentre recuperavo la mia valigia. Odiavo come queste lo rendessero solo più maledettamente affascinante.

Arrivammo all'uscita dell'aeroporto, dove mi diressi ad uno sportello che si occupava di tenere oggetti, a mo di cassette di sicurezza. Ritirai le chiavi della mia bellissima macchina che Hunter aveva depositato apposta e parcheggiato nel posto 19D.

Mi bloccai sulla soglia dell'uscita per un secondo, sapevo che nel momento in cui avrei oltrepassato quella linea immaginaria il mio interruttore si sarebbe spostato sulla voce "Miami". Poteva sembrare assurdo, ma il mio cervello funzionava così. Chiamatelo spirito di sopravvivenza o semplicemente modo di essere, ma era immediato. Il che significava che si sarebbe amplificato tutto, rabbia, voglia di provocare, freddezza, eccitazione... Ma non ho mai detto che fosse negativo anzi, mi piaceva da impazzire.

«Stai bene?» mi chiese il moro squadrandomi.
«Mai stata meglio» sorrisi e varcai la soglia con passo sicuro. Ero nella mia città e nulla mi dava tanta felicità quanto la sensazione di potere che avevo qui, penso che sarebbe stato così per chiunque.

«Che auto hai?» mi chiese Dylan. Invece di rispondere, lanciai le chiavi in aria e lui, che era leggermente dietro di me, le prese al volo e osservò il simbolo che vi era sopra.
«Audi» constatò.
«Audi rs5 edizione limitata, bianco opaco» precisai, girando leggermente la testa per guardarlo. Lo percepii mettersi le chiavi nella tasca anteriore, gli era come venuto spontaneo, essendo abituato a me che gli lanciavo le chiavi della sua macchina.

Arrivammo alla macchina parcheggiata perfettamente, e la osservai nello splendore di quel bianco che amavo. Mi appoggiai alla portiera dal lato del passeggero e aspettai che l'istinto di Dylan gli facesse assumere la sua solita posizione, poggiando le mani sul tettuccio dell'auto, circondandomi.

Mi studiò attentamente in ogni angolo e iniziò ad attorcigliarsi una ciocca di capelli attorno al dito, come suo solito.
«Me la fai guidare?»
Sorrisi e scossi la testa.
«Non esiste. Città mia, auto mia, regole mie» dissi lentamente e con tono provocatorio, mentre estraevo le chiavi dalla sua tasca.

Si irrigidì a causa di quel contatto inaspettato. Altrettanto inaspettata fu per ne quella reazione, dato che era impossibile destabilizzarlo, coglierlo di sorpresa. Molto probabilmente quel gesto, quella frase e il tono con cui l'avevo detta l'avevano eccitato a tal punto che tentò di baciarmi. Io però non potevo lasciarmi scappare l'opportunità di prendermi una piccola vendetta da quanto era successo dietro la palestra.

LA's Devil - dicono che tu sia il diavoloWhere stories live. Discover now