7. Una razza di megalomani egocentrici

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La frase è un duro colpo, per me. Avendo perso la mamma qualche anno fa — sei anni... ne sono già passati sei... — capisco il loro dolore. Lo sento anch'io.

«I'm very sorry» dice l'avvocato. Ma si vede che in realtà non gli interessa. Vuole solo sbrigare più in fretta possibile il suo lavoro.

I genitori dei fratelli Reshetnikov morti, in un incendio che ha fatto perdere le gambe al fratello maggiore. Che cosa terribile. Provo una pena incredibile per loro, in questo momento.

Ma è un sentimento che dura solo pochi secondi.

Perché Ivan emette un raschio dalla gola, e il raschio si trasforma in una risata. Perché ride? Era uno scherzo?

L'idea che possa esserlo mi sconvolge.

Papà stringe le labbra. «Cosa c'è da ridere adesso?» La sua voce è quasi un sibilo. Mi fa paura.

Ma non ai fratelli Reshetnikov, che ora ridono entrambi, apertamente. Quel dente storto. Quel dente storto si sta prendendo gioco di me!

«Mama e papa sono a Piter che gestiscono nostro tennis club!» spiega Ivan tra le risate. «Gli ho detto centomila volte: Andriusha, basta raccontare storie stupide su gambe! Lui... makes up... come si dice... racconta ogni volta storia diversa su come ha perso gambe. Nessuno sa quale storia vera!» Fa un'altra risata. «Anche io ho dimenticato!»

Ed è in questo momento che parlo. Parlo perché non posso più stare zitto. Pronuncio le sillabe a voce alta, ripetendole, ingarbugliandole. Papà mi guarda e mi disapprova (lo so), ma io devo parlare, devo dire allo stronzo cosa penso di lui.

«Co-hooome p-pot-tete riiiidere d-di uuuuna c-co-cosa simile?»

Mi sento così tragicamente ridicolo, dopo averlo detto.

«Ti ho già detto, Misha, io rido per tutto, anche per gambe tagliate di mio fratello. Anche tu ridevi di sua gamba prostèsi due minuti prima!»

«No! No! No!» grido. E lo ripeto tre volte, forse perché non mi sembra vero di non averlo balbettato. «D-de-deeeella morte dei tu-tuoi genitori! S-s-se... i-io... t-tu...» Non sono solo le sillabe a incepparsi, ora, anche le parole. I pensieri.

«Michele, smettila» mi ordina papà.

«Michele...» dice zia Elena. Perché lei non è indignata? La mamma era sua sorella!

«No!» protesto. «Io... m-m-m...» mi fermo sulla M di "mia". Mia madre, volevo dire. Mia madre è morta.

Ma mi precede zia Elena. «Michele ha perso sua madre, sei anni fa. His mum died six years ago. He's still suffering. He...»

«L-lasciiiiami p-p-p-pa-parlare!» grido. Volevo dirlo io! Io! Dovevo dirlo io! Sbatterglielo in faccia, allo stronzo. Ma zia Elena mi ha tolto il pugnale con cui volevo ferirlo.

«Parla!» mi esorta Ivan.

«Michele, smettila» ripete papà, senza alzare la voce. Mi guarda negli occhi: non vi leggo rabbia o disapprovazione. Gli sto facendo pena.

Sono consapevole di non essere uno spettacolo dignitoso, in questo momento.

E la consapevolezza mi spegne.

La cosa peggiore del balbettare, di una balbuzie grave come la mia, è l'impossibilità di avere degli sfoghi verbali: sono tutti diluiti in un tempo imprecisabile.

Un bruciore nervoso mi stringe lo stomaco. Sono scandalizzato, e mi vergogno di aver provato compassione per loro, un minuto fa. Ci sono cascato come un pollo.

«What's the matter?» chiede Andrej con un'espressione corrucciata.

«Can we move on, please?» ci esorta l'avvocato. Ora sembra annoiato.

Play (BoyxBoy)Where stories live. Discover now