54. Regali del cazzo

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«Non b-batterai mai Dvalishvili» gli ho detto, smorzando tutto il suo entusiasmo.

Ma avevo sottovalutato la capacità di Dvalishvili di perdere incontri che dovrebbe comodamente vincere. Col suo gioco fatto tutto di colpi scriteriatamente forti, basta che una piccola cosa vada storta e perde l'incontro. Ed è andata così. 

Forse Ivan era esaltato anche dal fatto che l'incontro è caduto proprio il 20 marzo, il giorno del suo compleanno: era oltremodo entusiasta di questa stupida coincidenza.

«Uno, due, tre...» Armando ritma i miei esercizi di riscaldamento all'elastico, sotto lo sguardo di Ethan e papà. 

Lazlo non c'è più. Papà l'ha licenziato poco dopo gli Australian Open. Mi ha dato un po' fastidio che l'abbia fatto, perché non ha chiesto il mio parere, ma ormai non si può tornare indietro. C'è stato il solito scambio di convenevoli via social (zia Elena ha pubblicato un lungo post dal mio profilo Instagram in cui lo ringraziavo per il lavoro svolto e gli auguravo un futuro radioso, eccetera eccetera - l'ho saputo dopo che l'ha pubblicato). E adesso lui allena un altro tennista. Fine.

Manca mezz'ora all'inizio dell'incontro con Ivan. Mi sarebbe piaciuto avere il parere di Lazlo su questo match, qualche spunto, osservazioni su aspetti del gioco di Ivan che magari a me e papà sono sfuggiti. 

Papà sente molto la sfida. Mi sembra che abbia una gran voglia di battere Raffaele, non ha fatto che parlarmi di lui e di quali sono le strategie che probabilmente ha insegnato a Ivan.

Mi sento teso, molto più teso di un normale incontro di primo turno.

Cambio braccio. «Uno, due, tre...»

Per finire affondi sulle gambe. Mi metto l'elastico intorno alla vita, Armando mi tiene da dietro e io faccio degli scatti a destra e a sinistra mimando i movimenti del dritto e del rovescio.

Ti faccio vedere, Ivan. Ti faccio vedere cosa significa giocare contro un campione al cento per cento delle sue capacità fisiche e mentali. Non ti faccio toccare palla.

***

Ivan è davanti a me, nel corridoio che porta al campo. Il borsone azzurro della Yonex. I capelli rosa. La divisa rossa. Contro Dvalishvili aveva usato quella nera, ma ieri sera mi ha chiesto cosa avrei indossato io, gli ho risposto che avrei messo quella nera e lui ha deciso: «Ok, allora uso quella rossa anche se sta merda col rosa.»

A nulla è valso dirgli che a me non interessa affatto giocare contro qualcuno vestito uguale a me, mi è capitato un sacco di volte. «Interessa a me, non mi piace vestire uguale» ha chiosato lui.

Discorso chiuso. Ed eccolo qua, in rosso e rosa. Pronto a entrare in scena.

«Ladies and gentleman, please welcome the number seventysix of the world, from Russia, Ivan Reshetnikov!»

Non ci credo, l'ha pronunciato Aivan! All'americana!

Ivan esce sul centrale, saluta il pubblico che lo applaude, illuminato dal caldo sole della Florida.

«And his opponent, number three of the rankings, three master titles, winner of the 2018 Australian Open, from Italy, Michele Bressan!»

Ovviamente ha detto Brèssan. Perché non ascoltano la pronuncia del mio nome sul sito dell'ATP? Non ci vuole molto: Bressàn! Una volta un giornalista idiota mi ha chiesto se fossi di origini francesi. Non sapeva che nel Nordest dell'Italia cognomi tronchi come il mio sono piuttosto comuni. 

Ma perché sto pensando a queste sciocchezze? Perché se penso che sto per giocare contro Ivan il cuore mi sale in gola.

Non è normale. Non ero così agitato nemmeno prima delle mie due finali Slam.

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