12. Atomic

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Il Luc di Zuan è un grande rustico di inizio Novecento.

Come tutte le vecchie case contadine, non ha una struttura ricercata, non è stata progettata da un architetto. 

È un grande blocco solido di pietra sbiancata da strati centenari di intonaco e tempera. Un parallelepipedo piegato a L, che sembra sorgere dal terreno di ghiaia bianca insieme all'edera che ne ricopre due facciate. In cima, un semplice tetto di tegole rosse che crea un bel contrasto col verde dell'edera, e sul davanti, a proteggere gli ingressi, un ampio porticato con tettoia che il nonno ha decorato con grandi vasi di fiori.

In un'ala della casa vive mio nonno, nell'altra il resto della famiglia. 

Sul cortile affacciano anche le vecchie stalle, ora adibite a magazzini e garage, e le cantine con le cisterne di fermentazione del vino (alcune delle cantine: il nonno ne possiede diverse, in diversi paesi del Collio). Le stesse cantine hanno anche un secondo accesso pubblico sulla strada, riservato allo spaccio aziendale di vino.

L'entrata al complesso è un grande cancello di ferro battuto, che un tempo, quando ero piccolo, era un'inferriata aperta: chiunque poteva vedere l'interno del cortile, passando sulla strada, e il basso muretto di recinzione era anch'esso sormontato da una semplice inferriata. Da quando sono diventato famoso e giornalisti e fan hanno cominciato a rompere le scatole, la palizzata e il cancello sono stati resi ciechi con dei grossi pannelli di ferro nero.

È rimasto, però, l'originale muretto di mattoni rossi. Il nonno ci teneva molto, perché su una delle due colonne portanti del cancello c'è una lastra di pietra con l'insegna scolpita: El Luc di Zuan. Significa letteralmente "Il posto di Giovanni", in friulano, ma papà mi ha spiegato che anticamente "luc" si usava anche per indicare la casa, quindi si può tradurre "La casa di Giovanni". Giovanni era il mio bisnonno, il padre di mio nonno Giacomo. Non l'ho mai conosciuto, è morto quando Daniele aveva cinque anni, e anche lui lo ricorda molto vagamente.

Una volta ho chiesto a mio nonno perché non avesse rinominato la casa "El luc di Iacum" (Giacomo in friulano, i vecchi del paese chiamano tutti così mio nonno), lui mi ha risposto semplicemente che: «È giusto rispettare i vecchi.»

La casa è posta alle pendici delle colline dove mio nonno ha parte dei suoi vigneti, e tra le cui stradine sterrate ho sempre amato avventurarmi, da quando ero molto piccolo.

Anche oggi, come sempre, faccio il solito percorso: su verso la cima del colle principale, da dove mi piace ammirare il castello di Spessa e i campi da golf, poi verso sud, sull'altro versante, per arrivare sulla sommità di una seconda altura un po' più bassa, non coltivata e tutta ricoperta da un bellissimo prato selvatico che d'estate si riempie di papaveri e fiordalisi. Sulla cima della collinetta, c'è una quercia secolare, che è diventata il logo della casa vinicola di mio nonno: c'è in silhouette su tutte le etichette delle bottiglie!

Era un giro che da bambino facevo in bicicletta, finché una volta sono caduto venendo giù da una discesa sterrata a tutta velocità. Non mi sono fatto niente, solo qualche sbucciatura, ma papà da quel giorno mi ha vietato la bici. «Meglio evitare infortuni stupidi.» L'ha regalata a un altro bambino di Capriva, un mio compagno di classe delle elementari che dopo pochi mesi non ho mai più rivisto. Ho frequentato qui solo fino alla seconda elementare, poi ci siamo trasferiti negli Stati Uniti, alla Berlangeri Academy, una delle più rinomate accademie tennistiche del mondo, e ho terminato elementari e medie con l'aiuto di un tutor privato.

Ma non ho mai smesso di venire qui alla quercia, tutte le volte che tornavamo a Capriva. La sua vasta ombra mi aiuta a rilassarmi. E anche a Sara piace molto gironzolare per il prato circostante, a caccia di mosche e farfalle, per poi riposarsi accanto a me, sotto le fronde dell'albero, quando è stanca.

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