Capitolo 3: Il caso di Emily Smith

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I due investigatori privati arrivarono alla stazione di polizia di Scotland Yard in tardo pomeriggio.

Ogni volta che entravano, nelle loro menti percepivano la situazione in modo molto differente; mentre il detective era sempre scocciato nel vedere la stupidità dei membri della scientifica, senza contare Anderson, il dottore percepiva sempre una certa tensione tra i colleghi ed il più giovane.
Era sempre attento ai loro atteggiamenti, in particolare studiava scrupolosamente i pensieri e le azioni del sergente Donovan, che da sempre mal sopportava il detective, ricoprendolo la maggior parte delle volte di nomignoli.
Sherlock non dava peso alle sue parole per il semplice fatto che non gli importava, poiché ad "insultarlo" era una persona tra le tante, insignificante per lui. Ma a John questo atteggiamento dava comunque fastidio. Molto fastidio.
Lui conosceva il vero Sherlock, conosceva bene quell' indole, a tratti dolce e gentile, che si celava sotto la quotidiana maschera di indifferenza che teneva in volto.

I pensieri del biondo vennero interrotti da Lestrade che, arrivato nella stanza d'incontro, iniziò a descrivere tutte le scoperte che aveva fatto con la scientifica.

«C'è stata un'altra vittima» iniziò Lestrade.

«Cosa?» chiese incredulo il dottore.

«E' furbo.» iniziò il detective, le labbra incurvandosi verso l'alto «Fa perdere le tracce per poi attaccare di nuovo. Oh se è furbo!»

Fortunatamente le occhiatacce di John e Greg fecero fermare il detective che, infastidito, finì la frase con un semplice "dipende dai punti di vista".

«Mi fa piacere che ti stia piacendo il crimine, ma non credo sia il caso» lo ammoní Lestrade, che venne immediatamente fulminato dallo sguardo del piú giovane, ma cercò di andare avanti. Dopo tutto si trattava di Sherlock.

«Comunque» continuò l'ispettore
porgendogli un fascicolo giallo «Lei si chiamava Emily Smith, ventinove anni. Era una psicologa, la più brava della zona secondo molte persone: pazienti, concittadini, vicini....Era anche conosciuta fuori città. Abbiamo interrogato tutte le persone che potevano conoscerla e tutti l'hanno descritta come una persona solare ed allegra, sempre pronta a....» L'ispettore non riuscì neanche a finire la frase che subito venne interrotto dal detective, stufo di certi discorsi.

«Gavin, la gente può dire quello che vuole, io mi fido solo dei miei sensi. Che cosa ne sanno "le persone" della sua vita?»

Delle espressioni di rassegnazione intanto si formarono nei volti dei due interlocutori perché non riuscivano proprio a spiegarsi come l'uomo più intelligente di Londra non riuscisse a memorizzare un nome, specialmente quello di una delle persone a lui vicine e con cui condivideva il lavoro.
Ma ormai Greg si era abituato a tutto ciò.

«Dobbiamo andare nella sua casa. Ora.» constatò il detective in modo determinato.

«D'accordo, ma sappi che c'è la squadra della scientifica di Anderson. Non ti faranno entrare fino a che non avranno finito»

«Appunto, questa è un'ottima motivazione per andarci subito. Poi, perché diavolo hai mandato la scientifica! Sai che sono degli idioti -e infatti consulti me- ma continui a fargli rovinare le scene del crimine!» sbuffò.

«Ma è il loro lavoro!» intervenne John «Sono pagati per questo»

«Chissà quante cose avranno già spostato!» disse il più giovane sbuffando e gesticolando mentre si dirigeva verso l'uscita.

Dopo un respiro profondo, i due lo seguirono.

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Arrivarono davanti ad una villetta bianca circondata da un'imponente cancello nero.

Cosa dice il tuo cuore? [Johnlock]Where stories live. Discover now