Capitolo 13. Confessione - I parte

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Erano all'incirca le sei e mezza quando il soldato rientrò nel suo condominio. Salì silenziosamente le scale cercando di evitare qualsiasi rumore e si diresse verso camera sua. 

Il detective continuava a suonare in mezzo al salotto; la musica era il suo rifugio ideale poiché poteva perdersi e abbandonare, anche solo per un pò, quel mondo che a volte lo soffocava. Accompagnato dalle note lui poteva facilmente entrare nel suo palazzo mentale e ricostruire ogni singola cosa.

Ovviamente intuì i passi del biondo ma non interruppe la melodia che stava suonando. Era sicuro che sarebbe rientrato all'appartamento comune intorno alle sette per dare spiegazioni oppure per mangiare in silenzio.

Secondo lui John era una persona fantastica, sempre disposta ad aiutare il prossimo e a rendersi utile. A volte capitava spesso di avere delle liti e John era quello che risistemava le cose. Molto spesso la colpa era infatti del detective -che si rifiutava puntualmente di ammettere il torto- e il dottore alla fine di ore di silenzio se ne usciva con il chiedere opinioni di altri argomenti, per la maggior parte riguardanti la casistica oppure sui i lavori domestici.

Quando invece era Sherlock ad avere il coltello dalla parte del manico, il biondo per alcuni minuti stava zitto, incazzato come non pochi, ma poi finiva sempre per scusarsi senza darlo troppo a vedere.

Basandosi su queste supposizioni continuò a suonare, questa volta ben consapevole dei brani da eseguire, e decise di alternare i soliti motivetti ad alcuni pezzi classici che lui sapeva intonare alla perfezione.

Il soldato nel mentre era in piedi in camera sua che guardava la stanza con aria nostalgica. Prese inoltre respiri profondi prima di mettere in atto quello che aveva in mente. Era consapevole che sarebbe dovuto andare da Sherlock, che avrebbe dovuto parlargli, che avrebbe avuto un vero e proprio "faccia a faccia" e non doveva permettersi di crollare. Non doveva sembrare debole perché lui non lo era affatto e perdere il controllo come era successo alcune ore prima davanti agli occhi oceanici dell'amico era una cosa che doveva assolutamente evitare.

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"Ok, sono pronto. Posso farcela" 

"Sono le sette e tre minuti, dovrebbe scendere" pensarono rispettivamente i due coinquilini.

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Non vedendo il soldato iniziò a cambiare pezzo. Mentre stava preparando il tutto le pareti della sua camera si riempirono di una dolce melodia, proprio quella che aveva fatto innamorare alla follia il biondo. Alcune lacrime iniziarono a cadere rigando quella maschera di sicurezza e determinazione che aveva appena creato.

"Ma allora sei stronzo.. Ah cazzo" pensò poco prima di mettersi a piangere a dirotto. "E' possibile che lo abbia fatto apposta? No no è impossibile.. lui suona le prime cose che gli vengono in mente no.. sto confondendo le cose. Però cazzo che tempismo!" farfugliò tra sé e sé.

L'ultima nota prolungata segnò la fine dei pezzi da suonare. Erano le sette e dieci e il dottore non stava ancora scendendo. Il moro iniziò seriamente a preoccuparsi ma decise di lasciar perdere.

«Ti prego, non immischiarti»

 Lui non voleva essere di peso per il dottore, non voleva assillarlo troppo con le sue inaspettate preoccupazioni. La scelta migliore era quella di aspettare, di non forzare nulla.

Il più piccolo iniziò a sentire rumori dalle scale intorno alle sette e venti. I passi non erano spediti come al solito ma più lenti, come se fossero ostacolati da un oggetto. Percepì inoltre le dita leggere del biondo sulla maniglia della porta, pronto ad abbassarla leggermente per entrare. Il moro si sporse dalla cucina in cui stava facendo riscaldare la cena per poi dirigersi verso il salotto per assicurarsi che l'amico si sentisse meglio. Purtroppo non fu così.

Cosa dice il tuo cuore? [Johnlock]Where stories live. Discover now