Capitolo 4: Mal di testa

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I due investigatori privati tornarono a Baker Street; John con un mal di testa fortissimo e Sherlock già assorto nei suoi pensieri. Mentre il primo si diresse in cucina per preparare il tè, il secondo si sedette sulla poltrona corvina con le mani giunte sulle labbra.
Stette in quello stato per diverse ore e, quando si risvegliò, trovò il coinquilino nello stesso punto della cucina in cui lo aveva visto poco prima di entrare nel suo palazzo mentale.

«Che ore sono John?» chiese facendo sobbalzare il dottore.

«Le due di notte» ripose pigro, e si mise a sedere sulla sua poltrona con una tazza in mano.

«E prendi il tè a quest'ora?»

Il dottore gli rispose con un'occhiataccia e portò alle labbra la bevanda calda.

«Comunque è camomilla» lo corresse in modo scocciato, e dopo poco sbuffò tra sé e sé.

Il più giovane inclinò la testa, come se volesse capire come una semplice camomilla potesse alleviare un mal di testa di cui ovviamente si accorse.
Dopo un po' presentò la sua tesi all'amico che, come sempre, era corretta.
«Hai dimenticato di comprare le medicine» affermò divertito. Poi si alzò svelto, prese il pennarello nero che si trovava nel piccolo tavolino pieno zeppo di carte e documenti di ogni tipo ed iniziò a scrivere sulla mappa.

John si mise le mani sulla fronte, come a voler provare a far diminuire quel dolore fastidioso.

Il giovane detective finì di annotare tutte le informazioni che aveva elaborato dopo alcuni minuti e quando si girò per spiegare al coinquilino tutti i suoi ragionamenti che potevano portare alla cattura dell'assassino, lo vide con le mani sopra la faccia.
Questo lo fece bloccare per un'istante e lo studiò attentamente in silenzio; poté leggere il dolore ed il fastidio che provava. Non sapeva il perché, ma sentiva che doveva aiutarlo, che doveva provare a farlo stare bene, come John faceva sempre con lui: gli venne naturale pensarlo. Evidentemente non si trattava di un semplice mal di testa.
Decise però di farlo a modo suo.
Senza dire nulla, si avvicinò alla poltrona rossastra del più grande, si inginocchiò davanti ad essa e gli prese i polsi, posandoli sui braccioli.
Ignorando lo sguardo sconvolto del coinquilino, sicuramente in cerca di risposte, appoggió le sue dita nelle tempie del piú grande ed inizió a massaggiare.

«Che stai facendo?» chiese sbigottito, muovendo la testa con un brusco movimento e fermando il massaggio del detective per i polsi.

«Osteopatia John. È una terapia che consiste nella manipolazione di alcune parti del corpo per alleviare i dolori. Ho pensato che poteva farti piacere»

John lo guardò perplesso; non si sarebbe mai aspettato questa iniziativa dal piú piccolo, anche perchè detestava ogni tipo di contatto umano. Non ne era turbato. anzi. dentro di sé era felice.
Questa era la prova che a Sherlock importava di lui e, anche se era una cosa di cui era certo, ne aveva comunuqe avuto la prova.

«Allora?»

I pensieri del soldato vennero interrotti dal castano.

«Posso?»

Il piú grande l'osservò ancora, ma alla fine acconsentí, liberandogli i polsi dalla sua ferrea presa.
Il detective inizió allora con il massaggio e a John non dispiaque affatto. Si rilassó quasi subito al tocco, anche se per i primi minuti provó un pó di tensione.
Il moro ne fu stranamente felice; era come se lui facesse parte di quella serenità e piacere che ora il coinquilino provava.

«Sai, non credevo che ne fossi capace» affermò dolcemente il più grande, che si stava godendo il momento.

«So fare molte cose. Una cosa così poteva tornarmi utile»

Il biondo si mise a ridere ed il detective rispose con un sorriso, come se quella risata gli avesse innescato una reazione, così naturale, da farlo sentire bene.

Il più giovane continuò ed il dottore si mostrò sempre più rilassato e ben disposto al tocco, dato che quei piccoli movimenti erano molto delicati e dolci, diversi da come lui si imponeva di essere: rigido, distaccato, freddo.
Quel tocco dimostrava l'opposto, facendo percepire al dottore affetto, serenità, fiducia, benessere.

Infatti il biondo sperava spesso di imbattersi in questo lato di Sherlock, forse così surreale e inaspettato da sembrare impossibile, ma era vero. Con quegli occhi glaciali trasmetteva emozioni, tutte quelle che con la mente tentava di tenere a bada.

Nelle scene del crimine, Sherlock deduceva tutto alla perfezione, senza il minimo errore.

Era sorprendente.

John, nel suo blog, scriveva di lui come un genio della deduzione, la "macchina calcolatrice".

Ma lui non era così.

"Dopotutto.... anche lui è un'essere umano..."

Il mal di testa gli stava passando ma non voleva che il più giovane smettesse, non voleva che quella coccola finisse.

Perché con essa si sentiva bene e la stessa cosa valeva per Sherlock.
Sapeva che il dolore era passato, a causa delle espressioni rilassate che si formavano ripetutamente sul viso del dottore, ma sapeva anche che lui non lo aveva fermato. Questa cosa in qualche modo poteva infastidirlo, facendogli pensare che il coinquilino se ne stesse solo approfittando della sua gentilezza, ma invece era proprio questo pensiero che non lo faceva smettere, che lo incitava a continuare.

Dopo alcuni minuti il dolore svanì del tutto, ma lasciò spazio ad un'ulteriore mal di testa, più forte e tremendo, causa di una azione del detective che portò un prurito improvviso nella parte bassa del soldato.

Il detective, infatti, aveva appoggiato il ginocchio sulla poltrona, quasi in mezzo alle gambe dell'altro per reggersi meglio e si sporse leggermente per rendere il massaggio più profondo.
Il dottore, anche se aveva gli occhi chiusi, percepì il movimento e fu lì che accadde. Si presentò quel prurito, quella strana voglia che iniziò a spargersi per tutto il suo corpo. Una voglia che voleva non provare e reprimere perché era sbagliata.
Cercò dunque di calmarsi, di dominare quell'agitazione che si stava formando ed aprì gli occhi, cercando di apparire il più calmo possibile agli occhi dell'amico per non fargli capire nulla.
Dallo sguardo del compagno, il moro intuì che qualcosa non andasse ma non riusciva a capire cosa.

«O-Ora può bastare, m-mi è passato» disse cercando in più modi possibili di controllarsi e, dalla risposta del coinquilino, parve funzionare. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso l'uscita, salutando e ringraziando a dovere il più giovane.

L'investigatore notò qualcosa di strano nei suoi movimenti, sconnessi, disordinati e tremanti, ma non volle dire nulla -forse glielo avrebbe chiesto il giorno dopo.

Arrivato nella sua camera da letto, chiuse immediatamente la porta a chiave.
Le sue mani, il suo corpo, il suo respiro, i suoi occhi tremavano.

Con le mani che gli coprivano i viso e con la schiena attaccata alla porta, John era alle prese con un problema letteralmente da mal di testa. A quel massaggio, il suo corpo aveva risposto con una semi-erezione!

"Cazzo"

Come ha fatto lui, etero, ad avere una simile risposta dal suo corpo solo da un gesto innocente e senza senso dell'amico?

"PERCHÈ?"

Cosa dice il tuo cuore? [Johnlock]Where stories live. Discover now