𝓛𝓮 𝓒𝓸𝓼𝓽𝓮𝓵𝓵𝓪𝔃𝓲𝓸𝓷𝓲 𝓡𝓲𝓭𝓸𝓷𝓸 𝓭𝓲 𝓣𝓮

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Non esisteva malattia che permettesse a Jimin di posticipare la missione, sarebbe iniziata, poco importava della sua psiche, poco importava degli abusi, delle torture

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Non esisteva malattia che permettesse a Jimin di posticipare la missione, sarebbe iniziata, poco importava della sua psiche, poco importava degli abusi, delle torture. Erano fatti quotidiani e ricorrenti nella realtà atroce della Shine4.

Il 13 gennaio partirono, la loro destinazione era tanto chiara quanto sconosciuta. Erano diretti in quello che Johan, a istinto, aveva nominato: "un sasso in mezzo al mare". Era un'isola italiana: l'Elba, una meta estiva molto rinomata, ma, allo stesso tempo, una realtà chiusa, nascosta, separata dal resto del mondo. Ideale per la settimana di Ferragosto tanto quando per una fuga.

Era questo che avevano fatto i Jones alla caduta della Mizar: la paura di Layton Gray aveva fatto abbandonare loro Londra, di cui erano una delle famiglie più ricche, a favore di una vita in esilio.

Richard Jones amava paragonarsi a Napoleone e guardare il golfo a mezzaluna di Marina di Campo con un disprezzo reverenziale, sedotto dalle bellezze del panorama, ma oppresso dalla scarsità di stimoli. Della caotica Londra non c'era nulla sullo scoglio abbandonato nel Tirreno.

Ma, se Richard era scontento, a un manipolo di sicari, abituati a strisciare tra le ombre, l'Isola d'Elba piaceva parecchio. Saranno state le strade piene di tornanti, spesso a picco sul mare o su dirupi scoscesi, che allettavano i più folli e avvezzi alle moto, sarà stato l'ambiente suggestivo, immerso nel verde e circondato da mare, assente alla Shine4, oppure sarà stata l'adrenalina, rimaneva un dato di fatto che la A-27 fosse contenta.

Inizialmente, avrebbero dovuto atterrare nei dintorni di Piombino, prendere la nave, attendere un'ora e dieci e arrivare a Portoferraio, la città più grande. Là avrebbero dovuto trovare delle macchine, usarle per arrivare a Marina di Campo e riconoscere la loro casa, ma gli Strateghi avevano scorciato le pratiche: sarebbero atterrati nell'aeroporto della Pila, l'unico, che era piccolo e abituato agli aerei privati, e distava pochi minuti da Marina di Campo.

Con il favore della notte, misero piede sull'isola.

Jimin guardò attentamente in giro: non c'era nessuno, l'aeroporto era deserto e anche le case più vicine erano distanti qualche chilometro: abbastanza per ignorare l'ombra nera che, silenziosa, calava a terra.

«Non c'è odore di mare!» piagnucolò Vikash, era arzillo: non aveva svolto alcun allenamento quel giorno, ma aveva mangiato e si era annoiato a morte, ora era pieno di energie da sfogare. L'istinto gli diceva di scattare, correre lungo la pista fino squarciare ogni fibra muscolare.

Non era l'unico rattrappito: Brandford, Paki, Mynte e persino la quattordicenne Sowon si muovevano, facevano stretching e sbuffavano respiri biancastri. «Usciamo da qua» comandò Jimin, cercando invano le tasche del suo cappotto, ma non lo aveva indossato. Era fastidioso non averlo ad abbracciargli le spalle, ormai era così abituato al luccichio dell'ambra che la immaginava anche dove non esisteva.

Chissà cosa stava pensando la luna nel vedere il suo figlio prediletto nudo ed esposto alla notte.

I vestiti di tutti erano comodi, tute, per lo più nere, ma ben lontane dalle uniformi abituali. Nicolas, addirittura, si era rifiutato di non indossare il suo mantello nuovo e aveva deciso di sostituirlo con un poncho morbido, mentre Johan, noncurante del freddo di gennaio, aveva preso una maglietta e l'aveva fatta distruggere dai suoi cani, perché non poteva accettare che non fosse bucata o ustionata.

Kohaku {Parĸ Jιмιn}Donde viven las historias. Descúbrelo ahora