𝓛'𝓞𝓶𝓫𝓻𝓪 𝓭𝓲 𝓤𝓷𝓪 𝓚𝓪𝔀𝓪𝓼𝓪𝓴𝓲

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«Crystal, ho in mente una follia»

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«Crystal, ho in mente una follia».

Era stata questa semplice e banale frase a far iniziare tutto, l'aveva pronunciata Jimin, ovviamente, e Crystal aveva detto no, ovviamente. Lui l'aveva ignorata, insistendo.

Erano nel bosco, Crystal su uno dei suoi larghi asciugamani con Leila accucciata vicino, mentre Jimin si era guardato in giro, felice, e aveva scelto di salire su una delle sughere là intorno. Aveva trovato posto su un ramo nodoso e sporgente. Crystal era stata convinta che dormisse, non vedeva il suo viso, ma soltanto il braccio che penzolava dolcemente, con la sua mano pallida puntellata da vene bluastre.

Forse si era annoiato a contare le foglie e cantare con i passerotti. Chissà se gli mancava il battito delle metropoli, le pulsazioni delle auto, il calpestio di milioni di piedi che battevano la terra e sfregiavano la pelle di cemento. Doveva trovare noioso il respiro degli alberi e ripetitivo il sussurro del vento, ma, forse, non aveva ancora imparato ad ascoltarlo, il vento. Parlava un sacco, trasportava i pensieri che la gente perdeva e volava lontano, ovunque volesse perché era libero, sconfinato. Forse alle tante orecchie della città non avrebbe fatto ascoltare le parole che custodiva, ma Crystal le aveva sentite, ogni tanto, perché il vento le faceva compagnia e aveva pietà di lei.

Jimin, invece, era troppo esuberante. Odiava il vento e il vento odiava lui.

Era già figlio di qualcuno, un'entità forte e maledetta, come lo era lui.

Quando propose la sua idea, Crystal decise che era ora di ritornare a casa, c'era troppa follia nell'aria e non avrebbe rischiato di farsi contagiare. Jimin la bloccò, scese in un unico e agile balzo dall'albero e le fu davanti. «Vieni con me» aveva pressato, lamentoso come un bimbo, con il cappotto sgualcito e i capelli spettinati. Il freddo gli aveva arrossato le guance e il naso e aveva labbra così intense che sembrava fossero state morse per ore. «Ti prego».

E l'aveva implorata, convincendola.

La sua idea era semplice: voleva vedere la spiaggia. Si era già annoiato del bosco, non aveva altro da offrirgli, mentre il mare era inesplorato, candido e gonfio, là persino il vento era più salubre.

Abbandonare così tanto casa era una violazione grande per Crystal: era vero, ancora non era scoccata la lancetta delle quattro, ma i suoi genitori già lavoravano. Non sarebbero tornati a casa prima delle sette e mezzo. Ne era sicura: era sempre funzionato così.

Aveva tutto il tempo del mondo, poteva arrivare ovunque e tornare indisturbata, fingendo di aver studiato tutto il pomeriggio, quando non apriva i libri da giorni.

Però avrebbe infranto le regole...

Avrebbe tradito ancora suo padre.

Forse, forse era meglio tornare in gabbia, strapparsi le ali e seppellirle lontano. Avrebbe continuato a strapparle, piuma per piuma, pur di non fuggire.

Kohaku {Parĸ Jιмιn}Where stories live. Discover now