𝓛𝓪 𝓟𝓻𝓸𝓶𝓮𝓼𝓼𝓪 𝓣𝓻𝓪 𝓖𝓵𝓲 𝓐𝓷𝓮𝓵𝓵𝓲 𝓭𝓲 𝓤𝓷𝓪 𝓒𝓪𝓽𝓮𝓷𝓪

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La Promessa tra gli anelli di una catena

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La Promessa tra gli anelli di una catena.

Una mano lo toccava, picchiettava le dita ossute contro la sua spalla, poi sul fianco, poi sulle guance. Irritante.

Tutt'altro che saggio.

Si alzò di scatto dal letto, il materasso stridette e urlò perché gli occhi di Jimin si erano fatti truci e crudeli. Affilati, brutali, freddi e caldi, un binomio ossimorico di contrasti che, non si sa bene come, convivevano.

Davanti, c'era Mynte, solo Mynte, sempre Mynte.

Sospirò, senza alcun commento acido della voce. Amava troppo i suoi occhioni da cerbiatta per rimproverarla, persino il grande Kohaku sapeva cedere alla bellezza.

E Mynte era bella.

Molto bella.

Jimin stesso alzò gli occhi al cielo e ricadde di peso sul letto.

«Stava dormento?» domandò sorpresa e affaticata dal linguaggio formale.

«Non lo so» era irritante ribadirlo sempre, sapeva che la squadra si sarebbe annoiata della sua incertezza, lui avrebbe fatto altrettanto. Ma Mynte era premurosa, attendeva docile altre parole, era affamata della sua voce. «Credo di sì, ricordo l'alba, anche se non era ancora sorta» si guardò intorno, la camera era sempre in penombra, ma c'era abbastanza luce per vedere Mynte. «Che ore sono?»

Si girò sul fianco, erano vicini.

Le ombre li abbracciavano, confortevoli, lo misero a suo agio. Loro, soli, in una stanza intima e privata, con Mynte che era bella con i suoi occhi da cerbiatta.

Forse intuiva perché la voce tacesse ogni rimprovero.

Le sue parole erano un pigolio. «Le nove» gli disse.

«Perché non mi avete svegliato prima?»

Lei abbassò lo sguardo, colpevole. «Volevamo farla riposare» spiegò, «Prima non ha potuto farlo davvero» sapeva alludesse agli ultimi giorni alla Shine4, quelli in cui inciampava nei frammenti del viso di Jungkwan e piangeva guardandosi il ventre sfregiato. «Ha sognato qualcosa?» gli domandò curiosa, lei non sognava da anni, «Si muoveva in modo strano».

Jimin corrugò le sopracciglia, «Da quanto mi stai guardando, Mynte?»

«Pochi minuti...» fu chiaro che le sue frasi avessero un solo soggetto. Lei avrebbe voluto svegliarlo, ma sempre lei non ne aveva avuto la forza.

«Comunque, sì, stavo sognando» ricordava qualcosa e ne era felice. Sorrise senza volerlo, «Mi trovavo in una chiesa abbandonata, con il cielo a un passo, mi sarebbe bastato un dito per toccare le costellazioni. Credo di aver parlato tanto, di aver urlato, pianto, ma non so con chi, né riguardo cosa» scrollò le spalle, era solo un sogno, no? Che importanza aveva ricordarlo?

Kohaku {Parĸ Jιмιn}Where stories live. Discover now