Capitolo 10

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La nostra conversazione fu all'improvviso interrotta dal dottor Marshall. -Signorina Phobe, ho buone notizie, è stata dimessa quindi può tornare a casa- i ragazzi si scambiarono uno sguardo di intesa, ed io sarei dovuta essere felice all'udire quelle parole, ma la verità è che non mi sentivo parte di nulla, in quel momento non avevo una casa.

Sam e Dean si offrirono di accompagnarmi a casa ma il tragitto fu silenzioso e imbarazzante. -Ehi Phobe... va tutto bene?- cercò di rompere il silenzio il fratello minore -beh ho appena realizzato di essere un mostro, dei demoni mi stanno cercando per uccidermi, e non so nemmeno  che ruolo abbiano miei genitori in tutta questo assurdo incubo, quindi sì, tutto bene- risposi io in tono acido. Dopo quel vano tentativo, il fratello maggiore decise di impedire al silenzio di ritornare a vegliare tra quei sedili di pelle un po' antiquati, inserì una audiocassetta e una canzone rock partì.
In quel momento sento un brivido percorrermi la schiena, uno di quelli che ho prima di un incubo, una visione. Un dolore lancinante mi trapassa la testa e mi obbliga a portarmi le mani ai capelli, quasi come volerli strappare.
Sento Dean frenare all'improvviso e girarsi furtivamente verso di me.
-Ehi che succede?- mi domanda Sam con aria preoccupata. Non riesco a rispondere, ma tutto ciò che riesco a fare è scendere da quell'auto e cadere sulle mie ginocchia, poggiandole sull'asfalto caldo di quella strada.
Vedo due sagome affiancarsi a me cercando di capire che cosa mi stesse succedendo.
Apro gli occhi ma non vedo né Sam e Dean. Sono altrove, o meglio mi trovo da un'altra parte con la vista, ma fisicamente ero ancora accanto ai fratelli Winchester, su sull'asfalto che cominciava a fondersi con la mia stessa carne.
-Phobe! Phobe mi senti? Phobe!- urla Dean in attesa di una mia risposta, mentre Sam cerca di sostenere il mio peso. - Non so cosa mi stia succedendo. Ma, ma non vi vedo... non so dove sono - grido io in lacrime. Il dolore si fa più intenso e mi obbliga ad urlare più forte. Sento i due fratelli tapparsi le orecchie, quasi come se quel mio grido facesse loro del male.
-Phobe, ascoltami... Respira lentamente, ci siamo qui noi, devi cercare di controllare il respiro - continua Dean - Io... Io non ci riesco, non so dove sono - ripeto io sempre più spaventata.
Mi trovavo in una casa abbandonata, avevo freddo. Davanti a me c'erano Sam e Dean: il primo disteso a terra con un pugnale nel petto, il secondo seduto con la schiena contro il muro e gli occhi sbarrati, mi fissavano... aveva il collo spezzato.
La vista comincia ad offuscarsi e il dolore pian piano sparisce. Rivedo i due fratelli, guardarmi con aria spaventata, entrambi erano inginocchiati davanti a me.
-Phobe? che cosa è successo? I tuoi occhi... erano di nuovo viola- disse Sam. Non sapevo che cosa dire, ma sapevo di aver avvertito la loro morte.
- Ragazzi, io ho visto la vostra morte. -
Sento i loro sguardi incrociarsi e il loro battito aumentare.
- Non andate nella casa abbandonata, vi uccideranno -
- Quale casa abbandonata? - mi domanda Dean.
- Non lo so, so solo che ho visto entrambi senza vita, in una casa abbandonata -
- Dobbiamo riportarti a casa, qui non sei al sicuro - continua Sam aiutando ad alzarmi dalla strada.

Il viaggio fu ancora più silenzioso, stavolta senza domande o musica.
Solo i nostri pensieri riempivano quel silenzio.

Una volta arrivata a casa, prima di andarmene Sam mi ha dato un foglietto con sopra scritto il loro numero di telefono, mi disse che se avessi avuto bisogno di qualunque cosa di chiamarli, e loro sarebbero arrivati.
Mi diede anche un altro foglio, ma stavolta su di esso vi era disegnato un simbolo strano: una stella a cinque punte all'interno di un cerchio di fuoco. Mi disse di disegnarloo sulla porta della mia camera, per evitare che qualche demone passi da quella porta.

Quella notte non chiusi occhio.
Continuavo a pensare alla visione sulla morte dei fratelli. Decisi di interrompere quei pensieri recandosi in cucina per prepararmi una tisana rilassante al giglio, la mia preferita.
In cucina trovai i miei genitori. Discutevano sottovoce.
- Rose, dobbiamo dirle la verità...- disse mio padre
- Will non possiamo, è ancora troppo giovane, ha già perso la sorella, non possiamo rovinarle ancora di più questi ultimi anni da adolescente-
-Phobe è ormai adulta, e ha tante domande per la testa, e i suoi poteri si stanno amplificando, sempre di più. Lei merita di sapere la verità-
-Intendi tutta la verità? Anche la storia sulla sua vera famiglia?- -Si Rose, tutta la verità-

In quel momento il mio mondo di speranze e certezze cadde in mille pezzi, ed io mi sentivo solamemte un corpo vagante in una nebbia di dubbi e paure. Quella frase, quel La sua vera famiglia mi diede il colpo di grazia.

Tornai in camera mia e decisi di fare una stupidaggine, ma nulla più mi importava ormai.
Aprì l'armadio e presi il mio borsone da viaggio. Ci misi dentro quanti più vestiti possibili, volevo andarmene da quella casa. Mi misi al collo la collana che Rachel mi diede tempo fa. Infilai le scarpe, aprì la finestra e saltai.
Presi la mia bicicletta e con le lacrime agli occhi cominciai a pedalare più veloce di quei pensieri devastanti che mi rincorrevano, più veloce di quelle voci, di quei ricordi.
Cominciò a piovere: ho sempre trovato nella pioggia un qualcosa di speciale, la rende diversa tanto da farmela amare. Lei scende, che tu voglia o meno e cade su tutti indipendentemente da chi tu sia. C'è chi la odia. Qualcuno cerca di fuggirle, scappa. A qualcuno piace guardarla scendere dolcemente. lo ne sono innamorata, io lascio che lei copra e bagni i miei incubi peggiori. Mi fa sentire meno sola, so che c'è qualcun altro che "piange" dentro, in silenzio. Lei non chiede aiuto a nessuno, fa tutto sempre da sola e per questo sento che mi somiglia. Provo libertà quando la pioggia mi protegge, ho più coraggio e tanta voglia di sorridere, camminando a testa alta e versando lacrime al suolo che sono coperte della pioggia. E come se lei facesse parte di me e, a causa di ciò, la amo.

Sapevo bene che quella era una pazzia, ma in quel momento le uniche certezze erano stati loro.
Pedalai, fino ad arrivare ad un motel sulla 630 Clayton Road. Buttai la mia bicicletta sotto la pioggia, mi diressi davanti ad una porta, la 126A. Bussai e un viso familiare mi invitò ad entrare.

ANOTHER ME  // SupernaturalWhere stories live. Discover now