Chapter 8

209 14 12
                                    

Il viso di Erika era illuminato dalla luce bianca della luna, piena e tonda, che puntualmente la destò dal sonno. Ora era molto calma, il respiro era tornato regolare ma non era in casa sua, così come in nessun'altro luogo da lei conosciuto. Era nello stesso punto di bosco in cui era svenuta durante il giorno.
Sollevò lentamente la testa dall'erba umida, per poi issarsi sulle ginocchia. Osservò cosa la circondava cercando di ricordare tutto quello che era successo prima dello svenimento. Come un flash, il ricordo dei passi le tornò alla memoria.
L'avevano avvertita, di prestare attenzione e lei, come al solito aveva fatto di testa sua.
Raccolse un bigliettino inumidito e macchiato di verde alla sua destra e lo lesse: "giochiamo". Oltre quella scritta storta, c'era solo una faccina triste.
Si alzò massaggiandosi le ginocchia, che a forza di stare in ginocchio dolevano.
Ricominciò a camminare, nella speranza di trovare almeno il sentiero, che attraversava il bosco da punta a punta.
I minuti passavano, ma ancora era sulle tracce del nulla. Dopo poco il rumore di passi ricominciò, ma stavolta Erika prese tre possenti boccate d'aria, e continuò sulla sua strada. Il disturbante suono, insieme al rumore dei passi della ragazza, erano l'unica cosa che rompeva il freddo silenzio di quella notte estiva. Le stelle si vedevano in una maniera meravigliosa, e in altre circostanze Erika si sarebbe sicuramente fermata a guardarle.
I primi raggi di sole fecero capolino da dietro le colline verdi, illuminando d'oro le cime degli alberi più alti.
Il suono dei passi si faceva sempre più vicino; quando Erika si voltò per vedere chi fosse l'inseguitore non vide nulla. Come si ci poteva aspettare d'altronde, il suono ricominciò poco distante dalla posizione della ragazza, per andare poi ad avvicinarsi lentamente.
Pochi metri più in là Erika si voltò di scatto, senza fermarsi prima; ottenne come unico risultato un forte spintone che la costrinse ad appiattirsi, contro il tronco rugoso di un cipresso.
Si trovò faccia a faccia, con un passamontagna nero e le cuciture rosse.
-ti avevo detto di andare a casa, Erika...- da sotto la stoffa, provenne una voce pesante, stentata, come quella di chi non ha l'ossigeno necessario per respirare e parla.
Silenzio. Una sola parola non lasciò la bocca di Erika. Il labbro inferiore cominciò a tremarle e gli occhi divennero lucidi, cosa che piacque molto all'individuo, che rise lievemente.
La presa sulle braccia della ragazza si fece più salda, come lei rabbrividiva al contatto con quei guanti freddi, seppure sotto dovevano esserci mani umane.
Si dice che il nostro cervello, quando capisce che sta per spegnersi tutto, la vita sta per lasciarci, rivive in un secondo tutta la nostra vita, tutti i ricordi anche i più brutti. Erika aveva già cominciato a vedere la sua esistenza passarle davanti come un treno alla stazione passa davanti, e non puoi fare niente per fermarlo. Non puoi fare niente per salvarti.
La ragazza chiuse gli occhi in attesa del peggio, che non arrivò. Riaprì un piccolo spiraglio, solo per vedere l'uomo posare nella tasca della felpa gialla, un coltellino con il manico in legno. Strinse i denti e trattenne le lacrime.
Al posto di una forte pugnalata, arrivò un dolore forte alla testa, che senza preavviso era stata sbattuta come una palla al tronco dell'albero.
Tutto nel campo visivo di Erika si fece sfocato fino a diventare nero. Un nero desolato. Senza via d'uscita. Una stanza di panico, paura, mostri.

Bad Liar {Hoodie}Où les histoires vivent. Découvrez maintenant