Chapter 9

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Un forte dolore alla testa fece convincere Erika che aveva sognato tutto. Il tizio con il passamontagna, il biglietto, tutto un sogno. Era svenuta dopo un breve attacco di panico, tutto qui.
Ma poi ripensò a come era svenuta; non poteva avere quel mal di testa dopo cose simili. Un brivido le attraversò la spina dorsale partendo dal basso, come sentì una porta sbattere.
Aprì gli occhi, accorgendosi di trovarsi in una stanza quadrata, con l'intonaco biancastro delle pareti scrostato, il pavimento nero, come se fosse partito un incendio proprio da lì.
Instintivamente si portò una mano alla testa, per cercare di fermare il giro vorticoso che stava vivendo. Prese due respiri profondi e continuò a guardarsi in torno. Era seduta accanto ad una porta aperta, di metallo arrugginito, e deformato dal probabile incendio scoppiato all'interno dell'edificio.
Si alzò in piedi e sporse la testa fuori dall'entrata della stanza; tutto distrutto, i corridoi pieni di graffiti, le pareti in cemento privo di intonaco, i pavimenti ricoperti di calcinacci e polvere.
Erika si incamminò lungo il corridoio su cui si affacciavano più stanze, cercando una possibile uscita o una rampa di scale. Entrata nell'ennesima camera senza altre aperture, notificò sulle pareti di quest'ultima delle scritte in nero: a destra "He's a Liar", a sinistra " follow me". Sulla parete frontale alla porta vi era un finestra con il vetro totalmente frantumati.
Si sporse dalla finestra facendo attenzione a non tagliarsi con le schegge di vetro; dava su un bosco, lo stesso dove Erika era entrata il giorno prima, il bosco del Rosswood Park. Non poteva saltare dall'apertura, perché si trovava a distanza di tre piani da terra.
Prima di uscire dalla stanza, raccolse da terra una mazza in metallo polverosa, mezza sepolta tra le macerie, nel caso lo strano individuo si fosse fatto rivedere. Non aveva idea di come usarla, perché era sempre stata una persona molto pacifica e si sentiva in colpa anche a fare del male ad un insetto.
I passi della ragazza rimbombavano per tutta la lunghezza del corridoio, che dopo un tempo che sembrava infinito, terminò in una rampa di scale che scendeva.
Gradino per gradino, attenta a non produrre il minimo suono, Erika scese la rampa fino a raggiungere il piano terra che era ancora più danneggiato del terzo piano. Solo in quel momento si era resa conto di avere la maglia e il pantaloncini orribilmente strappati, impolverati e sporchi di liquido cremisi secco, fortunatamente non suo; doveva averglielo passato il mascherato quando l'aveva trasportata fino a quell'edificio.
Senza pensarci due volte caricò la mazza in spalla e si avviò silenziosamente verso un grande portone  in metallo e vetri rotti che dava all'esterno.
Il problema era uno: era impossibile fare silenzio quando il pavimento era ricoperto di vetri rotti, pezzi di metallo, legno e schegge. Forse però fu anche una fortuna, perché dei passi pesanti e veloci rimbomarono per tutto il corridoio, in direzione di Erika.
Lei cominciò a correre all'esterno, con il sole che sbatteva sulla testa e il vento che spostava indietro i capelli tutti annodati e gonfi.
Delle goccioline di sudore cominciarono a bagnarle la fronte pallida, dopo circa trenta metri di corsa senza pause. Arrivata all'ombra di un platano, si accasciò ai suoi piedi. L'uomo non la seguiva ormai più, fortunatamente. Si fermò a pensare, come era vestito l'individuo, anche se non avrebbe avuto niente di utile. Ripensò alla felpa gialla da cui aveva estratto il coltellino; solo una persona andava in giro con una felpa invernale a luglio. Brian. Il tono di voce quando le aveva parlato da sotto il passamontagna era quasi totalmente alterato, ma comunque riconoscibile. Non si sarebbe dovuta fidare.

Bad Liar {Hoodie}Where stories live. Discover now