2

15 2 7
                                    

Quel venerdì sera l'aria era molto afosa, tanto che Elizabeth pensò di non indossare le calze sotto la solita gonna nera. Infine, optò per tenerle, valutando prudentemente che un cambio della divisa avrebbe potuto costarle il posto di lavoro ottenuto con tanta fortuna.

La clientela andava scemando verso la fine del suo turno e così prese a sistemare i tavoli liberi. Seduto al bancone, di spalle, sedeva in giacca blu scuro lo stesso gentleman che il venerdì precedente aveva chiesto ad Elizabeth un drink analcolico.

Dapprima non lo riconobbe, finché non si trovarono faccia faccia mentre la cameriera riponeva dei bicchieri vuoti nel lavandino.

"Buonasera Eliza." Sul suo viso inespressivo non trovò il cipiglio dello scorso incontro, ma un atteggiamento più rilassato.
"Limonada con soda?" Al ché le sorrise e annuì.

Tra le sue mansioni, quella di preparare gli ordini non esisteva, ma occasionalmente se ne prendeva la responsabilità se si trattava di drink semplici o clienti carini.

Questa volta fece ben attenzione a non far formare la schiuma mentre versava la soda e, in cambio, ricevette un altro sorriso senza denti.
Tornò a preoccuparsi dei tavoli che si stavano svuotando e dei clienti che salutavano andando via, ma una volta tornata al bancone costatò che lui era ancora lì, con solo un quarto di bevanda bevuta.

"Non è di suo gradimento?"
"Assolutamente, non mi fraintenda. Credo che sia la limonada più buona che ho provato negli ultimi mesi." A Eliza piaceva l'accento con cui parlava, chiaramente non riconducibile a un nativo della Grande Mela.
"Lo prendo come un complimento, ma mi spiace dirle che probabilmente non ne ha assaggiate tante allora."
"In realtà si, solo che questa è la più intensa che ho trovato."
"È dovuto ai limoni: arrivano direttamente da qualche campagna del sud Italia. Se assapora bene, sentirà le bestemmie in dialetto del contadino che le ha colte." Lui rise ed Elizabeth godette per un istante della frivolezza di quel momento. Poi riprese a pulire.

Il conto alla rovescia segava meno cinque minuti alla fine del suo turno, così prese a mettere in ordine le ultime sedie e togliersi il grembiule.
Al bancone erano rimasti solo qualche altro suo collega, il barman e lui. Non aveva più un bicchiere tra le sue mani e si chiese se veramente gli fosse piaciuta.

Rivolgendo un saluto generale, si avviò all'ascensore mentre controllava le notifiche sul suo cellulare: trovò dei messaggio nel gruppo Whatsapp con le sue coinquiline, qualche like di instagram e l'ultimo articolo di Vanity Fair da leggere.

Al suono delle porte che si aprivano, entrò tenendo la testa bassa sul dispositivo e, schiacciando il pulsante del pian terreno, non si rese conto che qualcuno aveva bloccato le porte.

"Ciao. Posso?" Alzando la testa, rincontrò quello che pareva essere diventato l'ultimo cliente abituale del venerdì, e annuendogli, presse nuovamente il bottone.

"Comunque io sono Kamiò." Strinse la mano che le porgeva e gli sorrise. La "o" finale era semi-aperta e rise per l'inadeguatezza di quel nome con la persona al suo fianco. "Perché ridi?"
"Perché mi dai del tu?"
"Beh, ci siamo appena presentati come si deve, quindi mi è sembrato giusto passare ad un tono più informale. Perché ridi?"
"Sono d'accordo. Comunque non offenderti, solo che non ti si addice proprio."
"Come mai?" Le sopracciglia erano corrucciate ed Elizabeth capì che non aveva afferrato il concetto di non offendersi.

"Credevo avessi un nome più...aristocratico."
"Sei sempre così ricercata nell'utilizzo degli aggettivi?"
"A volte."
"Quale nome pensavi che avessi?"
"Non ci ho pensato realmente, forse qualcosa come Oliver, Harry, o Charles."
"Charles?" E rise. Elizabeth costatò che la sua risata non le dispiaceva.

Il feedback sonoro dell'ascensore segnalava che erano arrivati alla fine della corsa, quando le porte si aprirono lei uscì per prima e si immerse nel marciapiede semi affollato. Alle sue spalle, lui le chiese dove fosse diretta e, senza aspettare una sua riposta, se le facesse piacere avere compagnia.

Il tragitto verso la metro non era così lungo da richiederlo, ma non le dispiacque. Mentre camminavano, Kamiò le chiese da quanto tempo lavorasse al bar sul rooftop e alla risposta "Da tre settimane" si complimentò sulla sua bravura nel fare limonada così buona.

Parlarono ancora un po' del suo lavoro, in realtà fu Elizabeth a far scivolare via dettagli sulla ricerca e sulla sua assunzione, finché non arrivarono alle scale che portavano alla fermata.

Kamiò aveva le mani nelle tasche dei pantaloni del completo ancora abbottonato quando le rivolse un altro sorriso senza mostrate i denti, e le augurò buonanotte.

Elizabeth scese le scale in fretta per non perdere la corsa e quando la vide scomparire all'angolo sulla destra, tornò indietro verso il loro luogo d'incontro, doveva aveva lasciato l'auto.

ultra-HNWIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora