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Quel rooftop abbandonato, con le panchine in legno e le piante appassite, divenne il loro posto.

Kamio non faceva più le corse per arrivare almeno mezz'ora prima della fine del suo turno, ma l'aspettava vicino all'ascensore o giù. Elizabeth sosteneva che avesse trovato un bar che servisse una limonada migliore della sua, per questo non si fermava più a berla. Lui rideva e si lasciava dare colpetti sulle braccia. Poi le faceva presente che aveva notevolmente incrementato le visite al bar, quindi non aveva tempo per andare in giro a provarne un'altra.

Arrivavano al parco senza correre, si toglievano le giacche da lavoro e passavano almeno un paio d'ore ogni sera ad osservare il panorama. Una volta, Elizabeth lo prese per un braccio e iniziò a correre spedita versa la solita destinazione, solo per non perdere il tramonto senza nuvole.

L'aria di fine estate era riempita dalle continue battute della ragazza su argomenti più disparati, mostrando un notevole black humor che le si addiceva. Kamio rideva sempre e perlopiù ascoltava, godeva di quella calma tanto da non poterne fare più a meno. Quando tornava a casa, ripensava a come fosse possibile che era diventato così normale. Viveva ogni giornata possibile con la consapevolezza che in serata avrebbe avuto la sua dose di tranquillità.

Elizabeth non si era mai lamentata della sua poca loquacità, ne tantomeno lui le fece notare la lingua lunga che si trovava. Era piacevole ascoltarla parlare un attimo di un articolo letto su Reddit, e subito dopo immergersi in un approfondimento socio-politico su qualsiasi paese europeo.

Una sera, tornando a casa, si rese conto che non conoscevano le generalità l'uno dell'altro e che la cosa non gli dispiaceva. Gli dava un senso di libertà dal suo solito ruolo di formale.
Non avere pretese o aspettative fu la chiave che continuò a farlo tornare al bar per aspettarla.

Si cibò delle sventure che Elizabeth viveva ogni giorno sul post di lavoro come cameriera e nel nuovo impiego part-time come dog-sitter, delle infinite liste sulle città che voleva visitare, del suo sogno di studiare Fashion Design.

Kamio iniziò a sentirsi colpevole per rubare ogni istante di spensieratezza che lei era capace di fargli vivere, soprattutto quando iniziò a tirare fuori qualcosa di ancora più personale.

Elizabeth parlava di argomenti intensi con leggerezza, facendo scivolare dalle labbra frasi ben articolate e dall'aspetto scarno. Alla fine, Kamio le chiedeva come poteva formulare tali idee sugli argomenti, lei rispondeva semplicemente che era colpa dell'esperienza.

Per questo, quando iniziò a parlare della fine e del termine naturale delle cose Kamio iniziò a fissarla con insistenza. Non gli piacque la piega che prese quel discorso, perché si sentiva messo in discussione anche se lei non aveva minimamente accennato a lui.

"Come fai a fidarti delle persone?"

"Perché mi fido di me stessa."

Lui non rispose.

"Quando sai chi sei, quando scegli di essere te stesso e basta, diventi autentico e vulnerabile. Fa paura, certo. Ma è necessario per conoscersi e accettarsi. Fidarsi di se stessi è avere paura senza spaventarsi. Quando lo capisci, tutto prende il proprio posto e senti di essere sulla tua strada."

La risposta di Elizabeth placò la sua irritazione all'istante e gli presentò una nuova consapevolezza: la coraggiosa tra i due era proprio lei, con il caschetto nero e gli occhi più verdi che avesse mai incontrato.

Poi un'altra coscienza lo colpì.

Lui era solo scappato da una vita che non sopportava più, da quello che era prima, ma non aveva mai affrontato se stesso. Alla fine, non si sentiva cambiato, si stava nascondendo solo in vestiti più costosi.

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