Capitolo per il compleanno di Sirius.

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Allora giovincelli, siccome la mia mente malata non ha un contegno per quanto riguarda di fare delle scene sulla figlia di Sirius Black, ho deciso di mettervi una che mi sta tormentando il cervello su come, ipoteticamente, si potevano incontrare padre e figlia.

Spero che questa idea vi piaccia, so che non c'entra nulla con la storia, ma siccome è il compleanno di papà io voglio festeggiarlo così.

Buona lettura.

Voce narrante.

Correva, ella correva sempre più, l'ennesima discriminazione sul suo conto da parte degli studenti, l'avevano ferita ancora.

Soltanto perché lei credeva che suo padre fosse buono, in mezzo a tante menti che pensavano che fosse una persona orribile.

Sira correva disperata, ed anche se era scattato il coprifuoco, ella era fuori dalle mura del castello e correva in direzione del lago nero, con in spalla uno zaino.

Non gli importava se avrebbe avuto una punizione, non gli importava di nulla, voleva scappare via da tutti ed è per questo che stava correndo via, per fuggire via da quel castello per non tornarci mai più.

Visto che a nessuno importava di lei.

Era cresciuta sola, non aveva amici, aveva cercato di integrarsi ma nessuno voleva avere a che fare con lei.

La giovane Sira cercava in tutti i modi di essere forte, e di proteggere ciò che amava.

Non aveva motivo di proteggere colui che avevano chiamato assassino.

Ma era suo padre, e un vago ricordo faceva capolino nella sua mente; una voce, profonda, roca, e con un pizzico di amore che gli diceva.

"Sarò sempre accanto a te, bambina mia"

Ella era convinta che non l'aveva sognato, lei sapeva che quella voce era reale che l'aveva sentita.

L'aveva udita tra le braccia del padre, tempo addietro.

Nessuno aveva il diritto di chiamarlo assassino.

Non fin quando ci sarebbe stata lei.

La ragazzina ormai piangeva, e correva, in un disperato tentativo di fuggire da quella orribile realtà.

Una realtà nera, senza ricordi, senza affetto.

Senza nulla.

La piccola Black correva senza meta, con gli occhi velati di lacrime che scorrevano copiose sulle sue guance bianche come la neve, e che ora avevano preso un colore rosso, segno del dolore che provava in quel momento.

La ragazzina arrivò al lago nero, appena lo vide, rimase affascinata da quella distesa d'acqua che rifletteva le stelle di un cielo senza nuvole.

Ella lentamente si avvicinò alla riva e senza pensare, con la testa che le sembrava leggera, gettò via lo zaino davanti ad un albero; e comincio ad addentrarsi dentro quella distesa, bagnando i suoi vestiti, non facendo caso che l'acqua era gelida.

La ragazza scoppiò di nuovo in lacrime e si inginocchiò nell'acqua, cominciando a dare pugni sulla superficie cristallina, dove vi era impresso il suo riflesso.

"LUI NON È UN ASSASSINO!" Urlò con tutto il fiato che aveva, per buttare fuori quella, che sembrava essere, la collera più potente mai vista.

Un dolore così nessuno dovrebbe provarlo.

"IO LO TROVERÒ! PERCHÉ IN CUOR MIO SO CHE NON È MALVAGIO!" Urló continuando a piangere e a battere pugni sulla superficie del lago.

"Io ll-lo ttr-ove-rò, ti troverò p-papà, fos-sse l'ul-tima cosa che fac-cio" disse smettendo di picchiare sull'acqua e immerse le mani in essa e alzò il capo verso le stelle l'unica luce in quella notte funesta.

Figlia di un prigioniero parte seconda.Where stories live. Discover now