⚓2 - Il figlio di Iriba

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Iriba, porto di Tarua.

Dieci giorni prima dell'ingresso in Accademia di Akami.

Un tocco dopo il tramonto.

Un giovane sgranocchiava una mela appoggiato al muro di un edificio.

Alto, fisico ben proporzionato, capelli neri leggermente mossi e due nei sopra il labbro superiore che, se davano fascino al viso, lo rendevano anche facilmente identificabile.

"Forse dovrei farmi crescere i baffi" rifletté addentando la mela. "Naaah, sarei orrendo" si derise subito dopo.

In ombra rispetto alla strada, sembrava in attesa di qualcosa. O di qualcuno. O forse di entrambi.

Una figura attraversò il fronte del porto e si avviò nella sua direzione.

Con un colpo di reni lui si sollevò dal muro e arretrò fino a scomparire nel buio del vicolo.

«Konran-Jun?» lo chiamò il nuovo arrivato.

Riemerse dall'oscurità. «Tutto pronto?»

Peccio gli rispose con un sorriso sprezzante: «Non resta che mettersi comodi e assistere allo spettacolo.»

Konran-Jun guardò il ragazzo che nel corso dell'ultimo ciclo era diventato suo amico e compagno di malefatte.

Eppure, in tutta Iriba, non si sarebbero potute trovare due persone più diverse.

Peccio era un erratico, un giovane libero di decidere il suo destino e di costruirlo con le sue mani; Konran-Jun era figlio di uno dei commercianti più potenti e ricchi della penisola di Iriba, destinato assieme alla sorella a ereditare l'attività che i suoi avi avevano costruito in cicli di duro lavoro.

«Padrone di me stesso sulla carta, prigioniero nei fatti» aveva rinfacciato più volte al padre.

A unire Peccio e Konran-Jun era stato il rancore verso i mercanti: gente che disprezzava erratici e commercianti e che, senza alcuna coscienza, sfruttava gli altri sino alla rovina. O alla morte.

Entrambi lo avevano provato sulla loro pelle. Entrambi cercavano vendetta.

Nel corso dell'ultimo ciclo, la loro banda era riuscita a umiliare un paio mercanti davanti a tutto il porto e a mandare all'aria diversi dei loro affari; senza contare le risse in cui, a suon di pugni, avevano fatto ingoiare fango e merda a quella feccia senza onore. Il prezzo era stato finire più volte in cella; il che, alla fine, aveva dato a Konran-Jun un'ulteriore soddisfazione: fare infuriare suo padre Kenri.

I due giovani avanzarono fino al margine del vicolo. A una cinquantina di passi da loro c'era il magazzino in cui tre mercanti stavano tramando ai danni di un piccolo artigiano.

Peccio richiamò l'attenzione dell'amico con un colpetto di gomito. «Guarda nell'angolo a est.»

Una sottile linea di fumo saliva lungo il profilo della costruzione di legno. Da una delle finestre s'intravvedevano bagliori arancio.

«Saranno costretti a chiedere aiuto, arriveranno le guardie e la verità verrà a galla. Fine dei giochi e tre mercanti in meno in circolazione» previde soddisfatto l'erratico.

Un marinaio notò il fumo e le fiamme. Corse alla porta del magazzino e bussò con forza.

Konran-Jun diede un ultimo morso alla mela e se la gettò alle spalle. «Si alza il sipario» ridacchiò.

Quando uno dei mercanti aprì la porta, le fiamme avevano già iniziato a divorare il legno e a far breccia verso l'esterno. Il fumo era ormai ben visibile anche da lontano.

La Cricca - I giorni dell'AccademiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora