229. La morte come nemica (parte 1)

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Questo mercantile è molto più ordinato e pulito rispetto ai velieri in cui m'infiltro di solito come clandestina. Zellania è appena sbarcata a Reah, quindi è ora di lasciare Neley per tornare a Rosendale e ho sentito dire a uno dei marinai che la nave è diretta a Pastow.

Da due anni non faccio altro che spostarmi da un porto all'altro e lasciare il regno del drago dormiente mi farà bene, visto che qui rischio in continuazione di farmi beccare mentre uso le arti arcane.

La tecnica che ho usato per imbarcarmi è semplice, ma funziona sempre: mi sono infilata in una cassa piena di tessuti e ho aspettato che fossero i marinai stessi a portarmi nella stiva, poi ne sono uscita distruggendone un fianco. Mi aspettano giorni e giorni in cui dovrò costantemente nascondermi, ma queste casse e barili sono pieni di cibo e acqua, quindi il sostentamento non mi mancherà.

Ho perso il conto di quante volte ho viaggiato in questo modo e di solito mi va bene. Ammetto che è una bella rottura stare in movimento costante, però quella negromante infame pare godere dello starmi appresso, come se non avesse altro da fare nella vita.

Vorrei solo essere lasciata in pace e quest'infinita fuga è sfiancante; sono arrivata a sperare che la caduta arrivi presto, così magari la finiamo con questi giochetti fastidiosi. Quando la lacrima di Alanmaeth piomberà su Endel, di certo ci sarà la corsa a chi la raggiunge per primo e devo essere io; non m'importa delle motivazioni degli altri emissari, né ho alcuna intenzione di ascendere a spirito come invece aveva fatto Galadar con la seconda lacrima. No, io voglio impossessarmi di quel potere e spezzare la mia maledizione.

Voglio crescere, voglio poter vivere una vita quanto più normale e voglio invecchiare, cazzo. Dopo duecentoventinove anni sopra e sotto queste terre di merda, voglio poter invecchiare e morire in pace.

Non mi sembra di chiedere molto.

La nave comincia a ondeggiare con maggior impeto e devo tenermi a uno dei numerosi barili per non cadere. L'ordine maniacale in cui hanno impilato le merci è quasi fastidioso e pare abbiano sfruttato la maggior parte dello spazio per far entrare quanta più roba possibile. Non ci sono oblò sul legno scuro delle pareti e la luce del giorno entra solo dalla grata lignea posta a un paio di metri d'altezza proprio al centro della stiva.

Ero abituata a trattenere gli starnuti per il quantitativo di polvere e sporcizia contenuto nei magazzini dei mercantili che uso come trasporto, ma l'aria che respiro adesso è quasi fresca, carica di salsedine e di un lieve accenno di resina e corteccia proveniente dal materiale con cui è composto ciò che ho intorno.

È persino piacevole, sembra troppo bello per essere vero.

Sopra di me sento gli affaccendati passi degli uomini che vanno avanti e indietro sul ponte per organizzare la partenza; il loro parlottare sarà l'unica cosa a tenermi compagnia durante il viaggio, quindi suppongo che imparerò a conoscere quasi tutti dalle voci, come accade spesso. Per ora ce n'è uno che parla più forte degli altri, dando degli ordini perentori ma in qualche modo posti con gentilezza; lo chiamano capitano ed eseguono ciò che dice senza fiatare. Non so perché, ma ho una singolare stretta a tormentarmi le viscere e non penso sia causata da ciò che ho mangiato.

Mi adagio su una grossa sacca che credo contenga delle piume per quanto è morbida e porto le braccia dietro alla testa, ascoltando a occhi chiusi mentre il rollio mi culla. Il tempo passa in tranquillità e, quando ormai è evidente che le operazioni di partenza si sono concluse, il capitano fa addirittura i complimenti alla sua ciurma e lo sento benissimo poiché si è fermato proprio sulla grata.

Un galantuomo, senza dubbio; ho quasi voglia di andare a sbirciare la sua faccia, questa notte.

«Non facevamo una partenza così liscia da un po'; oggi ti sei superato, Enwelion!»

MaledettaМесто, где живут истории. Откройте их для себя