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Seeeera!

Si vede che sono in ferie, eh? Un altro aggiornamento in due settimane, record dei record;)

Terzultimo capitolo per voi, per come ho impostato il finale infatti, mancano solo altri due capitoli e forse un epilogo. Quindi direi che siamo agli sgoccioli e in merito provo una sensazione agrodolce, perché sono felice ma mi fa anche molto strano essere arrivata quasi alla fine ed essere costretta a salutare Alice ed Edoardo.

Spero che resterete con me fino all'ultimo, ci sono diverse sorprese in vista;)

Intanto vi auguro una buona lettura!

Un bacio e a presto,

Ali.

Ps: ho scritto il capitolo con questa canzone di sottofondo, si sposa bene con il mood della prima parte. C'è anche una citazione velata a un'altra canzone all'interno, magari qualcuno di voi la coglie!


***

Edoardo

Sei giorni, diciotto ore, quarantatré minuti e sette secondi.

Sei giorni, diciotto ore, quarantatré minuti e sette secondi che non respiro, che non dormo, che non mangio, che non ragiono, che non riesco a concludere nulla di decente...

Sei giorni, diciotto ore, quarantatré minuti e ormai una serie di secondi che non vedo né sento Alice.

Non era mai successo.

Non da Parigi, almeno.

Non da quando l'ho baciata, le sue guance sono diventate rosse e mi ha salutato con un lieve gesto della mano dal vagone del treno.

Non da quando ho imparato a conoscere ogni curva del suo corpo, ogni neo della sua pelle, ogni sfumatura dei suoi occhi e ogni sfaccettatura del suo carattere.

Non da quando mi ha aperto il suo cuore e i muri che aveva eretto intorno a se stessa sono crollati, uno dopo l'altro, rivelandomi la sua vera natura, timida, ma allo stesso tempo dolce, spontanea, divertente e chiacchierona.

Non da quando le ho detto di amarla, quella sera in cui la luce della luna filtrava dalla finestra e brillava sulla sua pelle, e sono stato così fortunato da sentirmelo dire a mia volta.

Non da quando mi ha tolto il fiato presentandosi fiera e bellissima, in quell'abito blu notte, per fare capire a Vittoria che non c'era storia, che io appartenevo a lei, e a lei soltanto.

Non era mai successo e io non so come fare.

Le ho scritto, l'ho chiamata, sono passato da casa sua, appostandomi come se fossi un maniaco, ma niente.

Niente, se non silenzio.

Silenzio, segreteria telefonica e chiamate a vuoto.

Sono devastato, mi sanguina il cuore e ho l'impressione di avere una corda intorno al collo che mi impedisce di respirare.

E la colpa è mia, solo e soltanto mia.

Sono stato io a cacciarmi in questo casino, io che non le ho detto niente e sono rimasto muto a osservarla mentre mi chiedeva delle semplici spiegazioni su quello che aveva appena sentito al telefono, io che non ho fatto niente se non guardarla agitarsi, disperarsi e fuggire da casa mia.

Avrei potuto fare qualcosa, qualunque cosa: tranquillizzarla, calmarla, spiegarle che tutto aveva una motivazione, ma che non potevo ancora dirle niente, in quel preciso momento. Avrei potuto dirle che, nonostante non potessi ancora sbilanciarmi, l'attesa ne avrebbe fatto valere la pena.

IncipitWhere stories live. Discover now