57.

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Alice

Sono ancora instabile sulle gambe: mi tremano leggermente le ginocchia e ho ancora i pensieri confusi e la colpa è tutta del ragazzo al mio fianco, ma che ha almeno la premura di cingermi in vita e sostenermi. Per mia fortuna il locale è più vicino di quanto credessi. Svoltato infatti l'angolo scorgo un'insegna scura posta sopra a un imponente cancello in ferro battuto e contornata da una miriade di lucine gialle: La tradizionale, recita la scritta, e io mi volto verso Edoardo con fare curioso.

«Ceniamo qui?».

Il posto è meraviglioso: dall'ingresso si scorge l'interno del locale, completamente rivestito di mattoncini rossi a vista e adornato dalle stesse lucine che si trovano intorno all'insegna; oltre il salone si vede l'ampio giardino che si apre dall'immensa finestra a sinistra dell'ingresso. L'atmosfera è intima, le luci sono soffuse e i tavoli all'esterno sono racchiusi all'interno di piccole strutture in legno illuminate dalle fioche lampadine.

Lui mi rivolge un sorriso compiaciuto e una scintilla gli illumina lo sguardo, «Solo se ti va. Se non ti piace possiamo cambiare».

Ha capito benissimo che il locale mi piace particolarmente e ovviamente scherza su questa cosa. Fa per allontanarmi dall'ingresso e io alzo gli occhi al cielo sbuffando una risata, «Certo, come no».

«Dallo sguardo che hai non mi sembri molto convinta», ride consapevole di star dicendo un'assurdità tanto che gli faccio il verso, da buona quattordicenne quale sono, e lui ride ancora più forte. Mi unisco a lui fino a quando una ragazza, che credo essere la cameriera, si avvicina a noi interrompendo il nostro battibecco.

«Buonasera», ci rivolge uno sguardo indulgente e un sorriso. «Avete prenotato?».

Mi volto verso di lei mentre Edoardo continua a fare lo scemo lasciandomi dei baci giocosi sulla guancia sinistra e il collo. Cerco di spingerlo via e darmi un tono, ma lui non la smette e io non posso che arrossire sotto allo sguardo divertito della biondina. Ha un viso particolarmente grazioso con due profondi occhi blu e una spruzzata di lentiggini sul naso.

«Edoardo, smettila», provo a dargli una gomitata al fianco, ma lui mi ferma prontamente e si rivolge alla cameriera.

«Se la signorina qui presente la smettesse di importunarmi, potrei risponderle», Edoardo commenta con il suo sorriso luminoso che ovviamente la fa arrossire e poi mi lancia uno sguardo di rimprovero, più finto di una banconota da tre euro, al quale non posso che rispondere con un'alzata di occhi al cielo.

Certo, sono proprio io quella molesta stasera!

«Comunque sì», sfodera l'ennesimo sorriso.

«A che nome?».

«Stigliani», risponde Edoardo e la ragazza guarda sulla cartellina che ha in mano; trova poi il nome e annuisce.

«Prego, da questa parte», gli sorride, entra nel locale, facendo ondeggiare la sua lunga coda di cavallo, e poi esce nel cortile per accompagnarci fino al nostro tavolo in uno degli angolini del giardino, all'interno di una di quelle piccole strutture che avevo scorto dall'ingresso.

Ci accomodiamo mentre lei si allontana un attimo per poi raggiungerci nuovamente poco dopo consegnandoci i menù, «Nel frattempo posso portarvi qualcosa da bere?».

Lancia un'altra occhiata a Edoardo, arrossendo di nuovo quando si focalizza sul suo viso in attesa di una sua risposta.

«Dell'acqua, grazie», rispondo invece io e lei si riscuote lanciandomi uno sguardo veloce, annuisce rivolgendomi un sorriso ed entra nel locale.

Rimasti soli mi guardo intorno e mi sfilo il cappotto visto che all'interno della casetta fa molto caldo: un piccolo lampadario pende al centro del soffitto e illumina debolmente l'ambiente. L'atmosfera è intima dal momento che l'unica altra fonte di luce è una candela al centro del tavolo, ma non potrei essere più felice di ciò perché la fiamma calda si riflette nelle iridi verdi di Edoardo rendendole ancora più chiare del solito.

IncipitWhere stories live. Discover now