Capitolo 2

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Mi butto decisamente con poca grazia sul letto, il materasso che rimbalza sotto di me insieme al mio malumore, il quale non fa altro che schizzare in alto appena la ruota gira miracolosamente dalla mia parte, per poi soccombere sotto terra non appena il karma decide che il sottoscritto non è assolutamente degno di ricevere una cavolo di gioia.

Lancio un'occhiata alla sveglia sul mio comodino che segna le 24:07. Il mio fallimentare appuntamento è durato per la precisione quarantatré minuti, il resto della serata l'ho passato ad autocommiserarmi davanti ad un bicchiere gigante di Coca-Cola alla spina.

Mi scappa un rutto e lo faccio tranquillamente a bocca aperta tanto non c'è mia madre che mi urla: "Maleducato!"

Ne Andrea che mi segue provando a farne uno più grande.

Voglio piangere.

Il tizio che avevo conosciuto su Instagram non appena ha saputo che come professione faccio il pediatra ha fatto subito retromarcia, uscendosene con la frase più infelice che abbia mai ascoltato in quasi trent'anni di vita.

"Se fai il pediatra significa che vorresti dei bambini e io non sono pronto a sacrificare la mia libertà per avere dei figli."

Mi vergogno anche solo di aver accettato di uscire con questo decerebrato. A saperlo prima, avrei fatto io retromarcia di corsa.

Affondo la faccia nel cuscino e mi verrebbe quasi da urlare. Non lo faccio perché i miei genitori vivono al piano di sotto e vorrei evitare di far prendere loro un colpo anche se sanno perfettamente quanto io sia instabile mentalmente e a tratti esaurito.

Inizia a vibrarmi una natica, ma gente, non è un sex toy, tranquilli. È solo il mio cellulare.

Lo sfilo di malavoglia dalla tasca posteriore dei jeans e mi ferisco le retine non appena accendo il display con la luminosità altissima.

"Cazzo," gemo e mi affretto ad abbassarla.
Poi posso leggere il messaggio che mi ha mandato Andrea senza rischiare di perdere la vista.

Sei tornato a casa?

Sospiro, la voglia di urlare che ritorna più forte che mai.

Sono tornato ed è andata di merda.

Invio e, come lo sfigato innamorato che sono, attendo la risposta di Andrea con il cuore che batte forte.

"Perché non mi ami?" borbotto a bassa voce. "Gesù, sono proprio penoso," piagnucolo. "Parlo anche da solo, dannazione."

Era l'ennesimo tizio che non ti merita, Mary.

Tuffo di nuovo la faccia nel cuscino.
"Voglio morire," bofonchio.

•••

"Se la fissi un'altro po', quell'insalata di pollo prenderà fuoco."

Alzo gli occhi dal mio pranzo e lo punto su Alice. Lei è la collega con cui divido lo studio medico, è una psicologa e in questo preciso istante mi sta psicoanalizzando con lo sguardo.

Oltre ad essere una mia collega è anche una buona amica. Dopo Andrea, insomma, c'è lei. Con la differenza che non ho per niente voglia di portarmela a letto o di coronare il mio sogno d'amore con la mia collega.

"Tesoro, è inutile che provi ad entrarmi nella testa per cercare di fare un po' di ordine. Nemmeno la tua laurea in psicologia può farci nulla con il macello che ho qui dentro," le dico, picchiettandomi con un indice contro la tempia.

Alice, con un sopracciglio biondo e curato perfettamente inarcato, si ficca in bocca una forchettata generosa di pasta con pomodorini e rucola, continuando a scrutarmi.

Che ansia.

Solitamente il pranzo lo trascorriamo insieme perché poi alle quattordici ricominciamo con gli appuntamenti del pomeriggio.

Non so cucinare, faccio bruciare anche l'acqua da mettere a bollire per la pasta quindi il pranzo me lo prepara ogni giorno quella santa donna di mia madre proprio perché vuole evitare che io mi nutra a suon di panini con prosciutto e formaggio o di piadine farcite con qualsiasi cosa di commestibile posso ricavare dal mio frigo quasi sempre vuoto come la mia anima.

Sì, ho quasi trent'anni e mia madre mi prepara ancora il pranzo tutti i giorni. Problemi?

Almeno non mi faccio fare le lavatrici o pulire la casa. Quello so farlo da solo.

Alice, invece, è una bella donna alta e robusta che se ne frega dei canoni di bellezza femminile imposti indirettamente dalla società. La mia collega è una fan dei carboidrati come me e se vuole mangiarsi un piatto enorme di tagliatelle con i funghi, se lo mangia senza poi correre a piangere in palestra.

Se qualcuno le dice che è grassa, lei lo manda a fanculo perché quando si guarda allo specchio si vede bella anche se è una taglia quarantotto e non una trentotto.

Vabbè, ho fatto questo piccolo papiro per far capire che Alice rientra in quel piccolo gruppo dove si trovano tutte le mie persone preferite. Anche se tende spesso a manipolarmi il cervello, ma lei si giustifica dicendo: "Scusami, deformazione professionale."

Deformazione professionale un paio di palle.

"Domani mi lasci da sola. Parti per Barcellona," afferma, la voce calma.

Il mio naso inizia ad annusare puzza di tranello psicologico.

"Già, puoi sempre prenderti una settimana di ferie e raggiungermi."

Alice posa delicatamente la forchetta nel suo contenitore per il pranzo poi mi dedica quel suo sguardo un po' inquietante da psicologa incallita.

"Da quanto ho capito dividerai la stanza d'albergo con Andrea."

Mi passo una mano tra i capelli, forse mi trema un po' e lei se ne accorge.

"Non capisco dove vuoi arrivare. Stai facendo quei tuoi giochetti da psicologa? Non è la prima volta che dormo con il mio migliore amico." E ogni volta è sempre stata una tortura.

"In questo momento ti sto parlando da amica, non da psicologa. Ti piace proprio soffrire, vero, Gianmaria?"

Alzo gli occhi al cielo e proprio in questo momento mi arriva un messaggio che, nemmeno a farlo apposta, è da parte di Andrea.

L'unico ed inimitabile.

Domani mattina passo a prenderti per le cinque e mezza per andare in aeroporto. Non dimenticarti nulla. La Spagna ci aspetta, Mary!

Sospiro, il mio cuore molto probabilmente rischierà di frantumarsi definitivamente in questo viaggio.

Alzo lo sguardo e trovo il viso tondeggiante della mia amica intenta a leggere poco discretamente il messaggio che mi ha mandato il futuro sposo.

Non mio, purtroppo.

"Sì, ti piace proprio soffrire," commenta.

"Sono un masochista senza speranza. Augurami buona fortuna, Ali."

Alice mi guarda, inclina il capo di lato, mi analizza nella sua testa contorta, poi mi dice: "Chiederò a mia mamma di accendere un lumino in chiesa per te."

Ma grazie mille.

Dalla prima elementare: Andrea&Gianmaria Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt