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«Selena! Selena mi senti?»

Tutto quello che vedo è offuscato e confuso. Dove mi trovo? Qual è l'ultima cosa che ricordo?
Le luci al neon sul soffitto mi danno fastidio; cerco di aprire gli occhi, ma un dolore lancinante mi rende difficile ogni movimento.

«Tesoro, mi senti?» ripete una voce che non ho ancora identificato. Di tutta risposta emetto un piccolo rantolo come a voler dire che, sebbene non sia ancora in pieno possesso delle mie capacità, ho afferrato il concetto.

«Non ti preoccupare, ti ci vorrà qualche minuto per abituarti», ribadisce la voce. Ha una tonalità calma, probabilmente sa bene come fare il suo lavoro.

Cos'è successo? Casa mia, la strada, la guerra, la clinica... la clinica! Oh, adesso ricordo. Uno stimolo arriva al mio cervello e finalmente riesco ad aprire gli occhi. Una fitta di dolore mi colpisce immediatamente ma dopo qualche secondo tutto è nuovamente più nitido.

«Come ti senti?» Ora vedo anche lei. Ailyn Down, 34 anni, infermiera, gruppo sanguigno AB positivo, nessuna minaccia rilevata. I capelli ramati legati dietro la nuca e le lentiggini la fanno sembrare molto più giovane. Tutte le informazioni su di lei mi appaiono ben visibili davanti agli occhi, come se facessero da contorno alla sua figura.

Ecco perché sono qui.

Da quando è iniziata la guerra tra le fazioni i nuovi esperimenti proliferano giorno dopo giorno e le cavie sono sempre ben pagate. Per la maggior parte si tratta di ragazzini orfani come me, o di chi ha già perso tutto e non sa più come continuare a vivere. Un'atrocità senza mezzi termini, ma non avevo altra scelta. Quei soldi mi servono più di qualsiasi altra cosa. Devo tornare a casa, devo tornare da Kyle e portargli le medicine di cui ha bisogno.

«Sto bene», sussurro, sforzandomi di sembrare il più tranquilla possibile.

Tento di scendere dal lettino, ho tutti gli arti ancora indolenziti e anche solo mettermi seduta mi costa fatica.

«Con calma, l'anestesia è ancora in circolo. Il dottor Zukev verrà a visitarti a breve.» A breve? Non ho tutto questo tempo da perdere!

«Ce la faccio, devo andare», dico, riprendendo il controllo della mia voce.

L'espressione sul viso dell'infermiera si fa improvvisamente cupa mentre tenta di porgermi un bicchiere d'acqua: «Oh, mi dispiace, ma non posso lasciarti andare. Sarà il dottore a deciderlo ma ti assicuro che non ci vorrà molto.»

L'espressione di delusione sul mio viso è evidente. Accetto il bicchiere d'acqua ma non ho intenzione di rimanere qui a lungo. Arrivati a questo punto presumo che anche il mio pagamento sarà a carico del dottore.

Potevo farmi esportare un rene, impiantare tessuti animali o persino sputare fuoco secondo tutti gli annunci che ho preso in considerazione, ma il trapianto di cornea era quello più redditizio: delle speciali lenti a contatto che non si possono rimuovere. Un archivio nazionale vivente, o meglio, una raccolta di cartelle cliniche vivente. Insomma, una vera e propria fusione delle due cose.

«Non si spegne mai?» chiedo, mentre cerco di non fare troppo caso alle scritte che mi affollano la testa.

«Sbatti due volte le palpebre per spegnerlo, una per accenderlo», dice una figura che ha appena fatto il suo ingresso nella stanza. Non ho bisogno di chiedere con chi stia parlando per saperlo.

«Com'è andata l'operazione?» chiede il dottor Zukev mentre si aggiusta la spessa montatura che porta sopra al naso.

«Molto bene, il sistema sembra funzionare alla perfezione», gli risponde l'infermiera con un'aria fin troppo entusiasta.

«Ah, ottimo», annuncia, mentre mi punta contro delle lucine colorate per controllare il successo del suo lavoro.

«Ora posso andare?» chiedo, aspettando una risposta prima di provare finalmente ad alzarmi.

«Non vedo perché no», mi risponde, tirando fuori da un cassetto alcune pastiglie. «Prendi una di queste tutte le sere per almeno una settimana, ci vediamo tra quindici giorni.»

«Quindici giorni?» Non era nei programmi.

Mi mette in mano le pastiglie, un foglio da compilare e mi tira su dal lettino con una forza che non pensavo possedesse. «Sì, per la visita e il pagamento.»

La mia espressione confusa sembra non stupirlo affatto. «Sull'annuncio c'era scritto pagamento immediato», ribatto con l'aria di una che si sta decisamente arrabbiando.

«Una volta finito l'esperimento», annuisce. «La fase di sperimentazione dura quindici giorni.»

Non riesco a crederci, mi sono fatta fregare.

«Ma quei soldi mi servono», ribadisco.

«E li avrai», dichiara, spingendomi fuori dalla sala con una pacca sulla «Annota tutto quello che non va sul foglio», gli sento dire mentre la porta si chiude con un tonfo.

Percorro un lungo corridoio dall'aria austera, con pareti grigie e frecce lampeggianti che indicano la direzione da seguire. Mi portano direttamente a una porta di servizio che si apre su un cortile maleodorante: d'altronde è questa la strada che seguono coloro che si ritrovano in strutture del genere. Fuori la guerra dilaga, le malattie stanno colpendo chiunque e trovare da mangiare è sempre più difficile. In tasca ho ancora i dieci dollari che ho sottratto a un mendicante in fin di vita poco prima di entrare in questo posto, dovranno bastarmi per racimolare una parte di quello che mi serve al mercato nero. Non esiste più pietà o misericordia tra queste strade. Vince la legge del più forte: o tu o loro. Uccidi o verrai ucciso. Mangia o verrai mangiato. Sopravvivi o qualcuno lo farà al posto tuo. Io devo farlo per entrambi, per me e per Kyle: siamo troppo giovani per morire in questo posto. La svista che ho preso con l'esperimento ha dimezzato il tempo a disposizione e quindici giorni potrebbero non essere sufficienti. 





 Capitolo revisionato e corretto da ComarNomari   




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