L'ultima notte al mondo

18 3 14
                                    




«È quella lì» annuncia Niko, indicando una fabbrica quasi identica a tutte le altre.
Il sole sta per calare verso la seconda notte sotto la luna che adesso fa meno paura della precedente.

«Ci accampiamo» dico, controllando l'area per capire se la cosa è effettivamente possibile. Lungo la strada non ci sono punti in grado di tenerci al riparo: un cespuglio sbuca ogni tanto da qualche angolo e un paio di scatoloni giacciono abbandonati davanti porte in metallo.

«Che idea stupida» risponde Niko, guardandomi «andiamo ora!»

«Ora le fabbriche stanno chiudendo» ribatto.

«Proprio per questo» dice lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Ma rischiamo di restare chiusi lì» dico, delusa.

«Di notte è più semplice non farsi vedere dalle guardie e domani mattina all'alba saremo fuori»

Alzo le spalle, dobbiamo davvero seguire questo piano? Almeno lui sembra avere le idee chiare sul da farsi.

«Hai già fatto una cosa del genere?» chiedo.

«No, ma non è tanto diverso da altre cose»

Mi chiedo quando smetterà di rispondere in modo così criptico, se mai smetterà, prima che le nostre strade si separino. L'idea di poter rimanere di notte dentro una fabbrica non mi piace, più per il timore di ritornare ad essere una cavia che per quello di venire beccati a rubare. Chissà se Niko ha la minima idea di cosa vuol dire questo posto o di qual è il prezzo per uscirne vivi ma a pezzi. Per lui sembra tutto dovuto, tutto un gioco nel quale può permettersi di fare il protagonista. Sono le pedine a rischiare la vita ogni giorno.

«ssh di qua» dice, entrando per primo dalla porta posteriore. È quella che di solito viene utilizzata per mandare via le cavie, non si passa dall'ingresso principale, perché se nessuno ti vede non vi è la certezza di quello che è appena successo.

Percorriamo dei corridoi che sembrano non finire più e ci ritroviamo in uno stanzino di due metri quadrati con una scrivania e un pc, la sedia si sposta a malapena contro la parete e vi appoggio sopra il ginocchio per accomodarmi senza però sedermi troppo. Ormai sono andati tutti a casa ma la guardia fa il solito giro notturno e potrebbe passare di qui da un momento all'altro. Per sicurezza procediamo al buio con la sola luce dello schermo che basta per tutto quello che dobbiamo fare. Infilo una pendrive e clicco sul tasto "copia", la  schermata segna 3 minuti al termine del processo. Guardiamo avanzare trattino dopo trattino con il fiato sospeso. Non abbiamo neanche dovuto mettere fuori uso le videocamere perché non ce ne sono, è meglio non lasciare tracce di certe cose. Un rumore mi fa sussultare e afferro d'istinto il polso di Niko che, portandosi un dito davanti le labbra, mi fa segno di restare in silenzio. Si avvicina alla porta e sparisce chiudendosela alle spalle. Manca ancora un minuto. Dei rumori provenienti da poco lontano mi fanno sussultare di nuovo, sento le voci ma non riesco a distinguere cosa dicono. Senza alcun dubbio una delle due appartiene a Niko, e sembra assurdo come io abbia già imparato a distinguerla tra le altre. Attendo i secondi che mancano col fiato sospeso: cinque, quattro, tre, due, uno...è fatta!

Tolgo rapidamente la pendrive e la infilo in tasca dove nessuno potrebbe mai vederla. Con cautela, una volta arrivata davanti la porta, apro uno spiraglio per capire se il passaggio è libero. Le voci sono appena cessate e la scelta è tra proseguire avanti o ritornare indietro. Senza nessun motivo apparente decido che è meglio provare a percorrere tutto il corridoio e scoprire cosa mi attende dietro l'angolo. L'idea non mi entusiasma e in più non ho nemmeno un'arma con me. Pur trovando Niko non saprei minimamente come aiutarlo. Lo sport si pratica ancora solo nelle prime divisioni, più per addestramento che per passione; alcuni amici di famiglia avevano dei figli sotto allenamento nell'ultimo periodo e raccontavano di come fosse possibile stendere un avversario a mani nude. Qui invece, dove vincono le lame o la prestanza fisica, si usano altri metodi.

Eppure, appena giro l'angolo mi ritrovo davanti una scena che mi lascia sbalordita. Niko ha atterrato da solo una guardia che, anche da sdraiata per terra, sembra il doppio di lui.

«Come hai fatto?» chiedo, ancora a bocca aperta.

Dal canto suo alza le spalle, sospirando: «Tutta fortuna» dice, prima di mostrarmi trionfante ciò che tiene in mano «guarda qui».

Con l'indice e il pollice sventola in aria un anello contenente una decina di chiavi.

«Ce le aveva attaccate alla cintura! Vedi, non dovrai passare la notte qui, basta essere più veloci di lui».

In quel momento sappiamo entrambi che, se corriamo abbastanza velocemente da trovare l'entrata prima che la guardia rinsavisca dall'evidente colpo in testa che ha preso, saremo fuori di qui. Non ci serve dirci altro. Iniziamo a correre, corridoio dopo corridoio in cerca di un ascensore o delle scale che ci portino dall'altro lato dell'edificio. Per un momento sembra quasi di trovarci in un labirinto. Ma se lui ha imparato a combattere, io ho imparato a conoscere questi luoghi.

Non è la stessa fabbrica ma è costruita nello stesso identico modo e basta risalire al primo piano, percorrere tutto il corridoio centrale e superare gli uffici per arrivare alla hall. Anche questo spazio è identico, ad eccezione del logo attaccato con carta adesiva un po' ovunque.

Arrivati alla porta, anche questa in vetro e metallo come tutte le altre, Niko armeggiare con le chiavi cercando quells che ci concederà la libertà.

«Fai presto» dico, impaziente.

«Ci sto tentando» mi risponde, infilando nella serratura l'ennesima chiave che, dopo un momento interminabile, ci concede finalmente il click che tanto aspettavamo.

Spalanchiamo le porte e ci diamo alla fuga senza neanche preoccuparci di non lasciare segni del nostro passaggio. Corriamo così tanto che mi manca il fiato, ma non ci fermiamo finché non arriviamo alla fine della strada dove rimangono le rovine di alcune fabbriche in disuso. Ci infiliamo dentro quello che una volta doveva essere un portane, del quale oggi non rimane più nulla se non il muro principale; e solo così, nel buio più totale, possiamo finalmente fermarci.

Lascio entrare l'aria nei polmoni e ho l'impressione che mille coltellate al costato potrebbero essere meno dolorose. In questo buio ci vediamo a malapena, ma percepiamo uno il respiro dell'altro. Non ho idea di quanto sia grande questo posto, non riesco a percepirne i confini, e forse è per questo che ci ritroviamo così vicini che solo spostandomi di un millimetro gli cadrei direttamente addosso.

«Stai bene?» mi chiede.

«Sì» rispondo, ancora con l'affanno «Tu?»

«Sto bene» mi sussurra, a un millimetro dall'orecchio.

Ho il suo fiato sul collo e gli occhi chiusi perché solo aprendoli vedrei i suoi puntati dritti sui miei. Eppure, è inevitabile. Non appena i nostri sguardi s'incontrano le sue labbra affondano sulle mie, voraci e affamate.



ATYPICALDove le storie prendono vita. Scoprilo ora