Sapore di sale

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NB: Una parte di questo capitolo potrebbe non essere adatta ai minori di 14 anni, le scene non sono estremamente spinte o dettagliate, mi trovo comunque in dovere di comunicarvelo. Il capitolo può essere letto saltando quella parte segnalata da inizio e fine.





Tutto è annebbiato davanti ai miei occhi mentre le lacrime mi bagnano il viso. D'improvviso mi ritrovo carponi a terra, nelle narici un tanfo che mi dà alla testa. Non importa quanti morti hai visto, non potrai mai abituartici. I palmi delle mie mani sono sporchi di fango, graffiano sull'asfalto e si confondono col sangue. Il volto di Wynona è quasi irriconoscibile, non mi sembrerebbe neanche lei se non la conoscessi bene. Il colorito pallido, le clavicole all'infuori, le unghie delle mani conficcate nella carne. Solo gli occhi, quelli, sono chiusi. Ringrazio per questo. Non sopporterei di vederli scrutarmi. Le pareti di questa città sanno quello che ho fatto. La morte sta ancora reclamando il mio nome. 

Il tocco di una mano sulla mia spalla mi fa sussultare, destabilizzandomi da quella fase di shock. 

"Se non ti togli da qui prenderai qualche malattia, i morti non resuscitano e ai vivi non è concessa grazia", dice la figura alle mie spalle. Mi basta inclinare di poco la testa per riconoscere l'inchiostro nero che forma i tentacoli di una piovra sul suo collo. La mano sinistra si sposta dalla mia spalla e mi viene in soccorso incitandomi ad alzarmi. Vorrei poter restare qui, ma ha ragione. Lo devo anche a Mad che non ha più una sorella che si occuperà di lei. Il contatto con la sua pelle mi dà una leggera scossa, da quant'è che non tocco qualcuno di vivo? Troppo tempo. Ho dimenticato il profumo della pelle e il calore del contatto umano. 

"Grazie" rispondo gentilmente, stringendo la sua mano per sollevarmi su. Un gesto del genere è raro più dell'oro di questi tempi. 

Per la prima volta noto il colore dei suoi occhi, scuri come la notte; e la ruvidezza della sua pelle solcata da chissà quante cicatrici. Avrà circa un paio d'anni più di me, non troppi, ma abbastanza d'aver visto quanto si deve. 

"Hai bisogno di riprenderti, ti offro un idromele" dice, avviandosi senza neanche aspettare che lo segua. 

Non dovrei, eppure lo faccio...ancora con le ultime lacrime fresche sul volto. 

La locanda è come l'avevo lasciata, già strapiena di gente. Questa volta però la confusione non mi dà alla testa. Al contrario sembra quasi confortante, riempie il vuoto e mi impedisce di ragionare. Il tanfo di poco prima viene sostituito dall'aroma del tabacco e dal sentore pungente dell'alcool. 

"Roxy, due idromele!" dice lui, posando i soldi sul bancone e sedendosi su di uno sgabello.

Mi accomodo anche io sullo sgabello accanto, afferrando il boccale che mi scivola davanti. Roxy mi guarda insospettita, ma è troppo indaffarata per fermarsi a chiedermi qualcosa. Il primo sorso scende giù rinfrescandomi la gola, il sapore dell'alcool arriva solo alla fine. È più forte di quello di ieri o forse sono io che lo noto solo adesso. Senza neanche accorgermene ho già svuotato il boccale, la schiuma che risiede sul fondo. Due minuti dopo ne ho un altro tra le mani. 

"Era tua sorella?" mi chiede, svuotando il suo secondo boccale.

"Un'amica" rispondo.

"Qui non ci sono amici" ribatte, ed è vero. 

Lei mi considerava un'amica, io la consideravo un'amica, ed eccoci qui. Gli amici non stanno inermi a terra al posto tuo. Gli amici non brindano con gli sconosciuti per dimenticarsi di te. 

"Fa meno male a un certo punto, ti ci abitui e conti quelli che restano" mi dice, rassegnato.

"Tu ne hai visti molti?" chiedo, con fin troppa curiosità.

ATYPICALWhere stories live. Discover now