Tra le tue braccia

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Da quanto non dormo? Saranno almeno due giorni che non chiudo occhio, se non vogliamo contare gli altrettanti passati in preda al panico nei sotterranei. Così, immersa nel buio con l'adrenalina che mi abbandona, vorrei quasi crollare per le prossime ventiquattro ore. Ma non posso. Il respiro di Niko ancora sul mio collo mi suggerisce che, se potesse, si lascerebbe andare anche lui nel giro di qualche secondo. Sono abituata alla mancanza di cibo e acqua, nei periodi più difficili io e Kyle siamo andati avanti fino a quattro giorni solo con le briciole...ma il sonno, quello ti porta giù lentamente con sé. Mi sembra di star perdendo  la lucidità e devo destarmi per un attimo da tutti i pensieri per riuscire a mantenere la mente fissa sull'obiettivo. Nell'oscurità più totale, dove neanche la luna arriva oltre le pareti, tasto a tentoni il pavimento per raggiungere i vestiti arrotolati come un mucchio di stracci vecchi. Mi rivesto, in quali condizioni neanche lo so. Una sola cosa è importante adesso: possiamo finalmente riavere i bambini indietro e andarcene una volta per tutte da questo posto.

Mi sento quasi invincibile, non dovrei lo so, è una gioia che durerà poco... ma non posso far altro che assecondare questa beata onnipotenza.

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La strada del ritorno è una marcia funebre verso la libertà. Ci rivolgiamo a malapena la parola, perché questa volta nessuno dei due può sgattaiolare via al bancone mentre l'altro dorme. Non è neanche la prima volta, ma da sobri è un errore in piena regola. Ne eravamo consapevoli? Sì! Lo volevamo entrambi tremendamente? Sì! E allora perché sembra tutto così sbagliato? Forse perché ci conosciamo appena e fingiamo di fidarci a vicenda solo perché ci conviene, o forse perché non possiamo permetterci di provare dei sentimenti. Sappiamo bene entrambi che l'amore ti fotte in pieno, e non abbiamo bisogno delle età o delle esperienze per capire che fine fanno quelli a cui tieni. È per questo che ci troviamo qui, con almeno quindici chilometri da percorrere per salvare l'unico residuo di famiglia che mi rimane.

Nelle notti in cui potevo approfittare di un sonno relativamente tranquillo passavo le ore a immaginare l'espressione di mia mamma, se solo potesse vederci. In un posto come questo non si sarebbe mai abituata: col suo lavoro da bio tecnica alla scrivania e il camice sempre di un bianco immacolato, perfino i capelli con la messa in piega h24 non avrebbero retto l'inesistenza dello shampoo. Ricordo che a casa eravamo riusciti a recuperare delle scorte da un vecchio magazzino, aveva l'odore di mela e lasciava i capelli soffici nonostante la quantità limitata che potevamo usare per non sprecarlo tutto subito. A sapere che non vi era nessun dopo per cui conservarlo non avrei dato conto agli sprechi. Come i baci della buonanotte che avevo iniziato a non volere più perché stavo diventano grande per certe cose, ignara del fatto che non li avrei più riavuti indietro.

Ho ancora quell'ultima notte impressa a fuoco nella mente. Era una domenica da coprifuoco: capitava spesso che l'accesso all'esterno fosse vietato ai civili per una o due giornate, così ci ritrovavamo tutti in casa...insieme, ma totalmente distaccati. Ognuno aveva qualcosa da fare che non comprendeva l'altro e il lavoro che i nostri genitori definivano, raro e irrifiutabile, li teneva incollati agli schermi tutta la giornata. Dicono che una volta esistevano i cellulari, eliminati per non permetterci di raggiungere l'altro capo del mondo con un solo click. Non so come fosse possibile arrivare così lontano soltanto attraverso uno schermo, l'unica tecnologia di cui potevamo conoscere un minimo era quella permessa ai laborati chimici del nostro distretto. Una cosa totalmente diversa dalle fabbriche che abbiamo qui, lì si parlava di cibo e forme di vita sperimentali. In un certo senso è anche grazie a loro se in questi ultimi anni siamo sopravvissuti a forza di latte in polvere e zuppe annacquate. Almeno queste sono le uniche cose che arrivano da queste parti, perché ho ancora impresse in mente le pizze sintetiche del distretto due che ci facevano fare i salti di gioia ogni venerdì sera.

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