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Per cinque giorni il mio cellulare restò chiuso in un cassetto della mia cucina.
Ad un certo punto aveva smesso di suonare, ad un certo punto persino William aveva smesso di presentarsi fuori la mia porta.
Non gli avevo mai aperto, e per quello mi sentii un po' in colpa.
William non meritava la parte peggiore di me, meritava di meglio.
Meritava una persona che si fidasse di lui, che fosse disposta a dare il giusto valore alla sua amicizia.
E per quanto io lo volessi, non né ero in grado.
A modo mio gli volevo bene, ma quello non bastava e, infondo, non glielo avevo mai detto.
In quei giorni capii di essermi illusa, non stavo guarendo, stavo di nuovo precipitando in quel vortice fatto di pianti e commiserazione.
Non volevo più girarci intorno: l'abbandono di mia madre stava per farmi ricadere in depressione.
Per anni ero stata brava a non pronunciare quella parola.
La temevo, ma sapevo che fosse l'unico modo per descrivere quello che provavo.
Avevo ventitré anni, non avevo un lavoro, mio padre era morto e mia madre non mi aveva mai amata abbastanza.
Infondo ero più che giustificata.
Avevo retto fin troppo quella maschera.

Al sesto giorno mi resi conto di una cosa: stavo lasciando vincere lei, ed anche lui.
Simon mi tormentava anche dall'altro mondo, e questo io non potevo permettermelo.
Non avevo neppure la forza di alzarmi dal letto e fare una doccia.
Ci si sentiva così quando ci si arrendeva?
Forse si, anzi sicuramente era così.
Non avevo più stimoli, non avevo più obiettivi.
L'unico era sempre stato lei, ma dopo quel giorno, quello in cui avevo scoperto le sue intenzioni, capii che stavo lottando per la cosa sbagliata.
Non valeva più la pena vivere per lei, avrei dovuto iniziare a vivere per me stessa, ma non era facile.
Non lo era quando tutto, persino le luci della città, ti ricordavano uno dei periodi più belli della tua vita: il Natale.
Per mio padre il Natale era sacro. Lo amava, e aveva insegnato anche a me ad amarlo.
Era il mese più bello dell'anno per noi, quello dove, ogni sabato pomeriggio, uscivamo per comprare qualche addobbo nuovo.
Senza rendermene conto avevo abbandonato il mio letto, mettendomi a frugare fra vecchi scatoloni che non avrei mai dovuto aprire.
Le mie dita, come se sapessero esattamente cosa stessero cercando, sfiorarono un vecchio schiaccianoci che mio padre aveva comprato in un Natale di ben tredici anni prima.
Era ancora intatto, con qualche piccolo graffio ma stupendo, proprio come lo ricordavo.
Non aprivo quella scatola da una vita, in quella casa il Natale non entrava da otto anni, ma dopo tutto quel tempo riuscii a posare sul mio tavolino l'unico oggetto che mi avrebbe ricordato in che periodo dell'anno fossimo.
Una singola lacrima scivolò sulle mie guance infrangendosi sulle mie dita.
Ero sempre stata sola, non avevo mai avuto qualcuno con cui parlare ma quel giorno, quella sensazione, si fece sentire di più.
Mi pesò di più.

Andai in cucina, presi il mio telefono e provai ad accenderlo.
Era scarico, come lo ero io e come lo erano le mie emozioni.
Avevo bisogno d'aiuto e quella consapevolezza mi rese ancor più triste.

***

   <<Ma che fine hai fatto?>>

William aveva ragione ad essere arrabbiato con me, avrei voluto trovare le parole giuste per spiegargli cosa non andasse nella mia vita.
Gli avevo chiesto di vederci in un bar, in un qualsiasi bar di Parigi e lui aveva accettato.
William non mi aveva mai voltato le spalle, aveva ascoltato i miei silenzi e aveva provato a capirli anche se era impossibile.
   <<Prima abbracciami>>.
Non abbracciavo qualcuno da troppo tempo.
Era come se il mio corpo non fosse più abituato alle carezze ma solo al dolore.
Avevo preso talmente tante botte nella mia vita, da non saper più riconoscere mani gentili, mani che non volessero farmi del male.
William però lo fece, mi abbracciò senza chiedermi spiegazioni e per la prima volta riuscii a piangere davanti a qualcuno.
Baciò la mia fronte e mi sussurrò frasi dolci di cui neppure conoscevo il significato, ma fu bello svestire per un po' i panni della ragazza acida e stronza, e indossare quelli di una qualunque ragazza.
Una ragazza che finalmente aveva compreso che da sola non sarebbe andata tanto lontano, che infondo un amico poteva essere la medicina a qualcosa che non ero in grado di combattere... da sola.
Gli raccontai una parte della mia vita che avevo provato a rimuovere dalla mia mente, ma lei era sempre lì e usciva fuori nei momenti sbagliati.
William mi lasciò parlare, non disse nulla ma non lasciò le mie mani neppure per un secondo.
Gli parlai di mia madre, del fatto che avrebbe voluto abbandonarmi senza pensarci due volte.
Gli parlai del mio stato d'animo, della mia sensazione di aver toccato il fondo, della mia paura di non riuscire più a riemergere da quel mare che mi stava inghiottendo di nuovo, e per la prima volta non mi sentii giudicata.
William non provava pena per me, ma rispettava quello che avevo subito e in quel momento capii di aver fatto bene.
I dolori non si annullavano parlandone con qualcuno, ma la sofferenza si divideva, e ti dava fiato almeno per un po'.
   <<Nessuno dovrebbe subire quello che tu hai dovuto sopportare per tutti questi anni>> disse, scuotendo il capo. Era scosso, forse anche arrabbiato e comprendevo bene quella sensazione.
L'idea di essermi sottomessa a quell'uomo per tutto quel tempo mi dava la nausea, ma ero piccola e provavo a giustificarmi in quel modo.
Provavo a giustificare mia madre, provavo a giustificare il fatto che si fosse sempre voltata dall'altra parte ma non potevo più farlo.
Non dopo aver scoperto le sue intenzioni.
   <<Voglio chiudere i rapporti con lei, con mia madre>> sospirai, fissando la mia tazza di cioccolata ancora piena. <<Tutto quello che faccio è per lei, è per pagarle un buon avvocato e ridurre la sua pena ma...>>
   <<Ma non lo merita>> concluse al mio posto, <<non tutte le donne sono nate per essere madri. Scusa se sono così indelicato, ma la tua ha completamente perso la ragione da quando ha incontrato quell'uomo>>.
   <<Lo penso anch'io, per questo credo che l'amore, le relazioni o cazzate simili siano il male del mondo. Personalmente non metterei mai la mia vita nelle mani di qualcun altro. Will, è impossibile fidarsi delle persone, in un modo o in un altro ti tradiranno>> e mentre pronunciavo quelle parole, una strana sensazione si propagò nel mio stomaco.
Come se in cuor mio sapessi già cosa il futuro avesse in serbo per me.
   <<La vita è stata molto stronza con te, ed è normale che tu oggi abbia questa visione del mondo ma non lasciare che quelle cose offuschino il tuo futuro. Non dico che incontrerai il principe azzurro che ti farà cambiare idea sugli uomini, ma sono sicuro del fatto che non siano tutti uguali>> accarezzò il dorso della mia mano, ed io avrei tanto voluto credere alle sue parole.
   <<Per ora preferisco non rischiare>> sbuffai un sorriso, prima di tornare seria. <<Will, so di essere un po'... strana. So di non essere una persona facile con cui avere a che fare, ma averti raccontato quelle cose per me è un grande traguardo. Senza offesa, ma non mi fido di nessuno>> sussurrai, senza neppure riuscire a guardarlo negli occhi.
Non volevo ferirlo, ma volevo che sapesse esattamente cosa volesse dire avermi nella sua vita.
Gli avevo confessato tutto, in poche ore gli avevo raccontato la mia vita ma c'era ancora la possibilità che lui potesse avere a che fare con la parte peggiore di me.
Mi sarei impegnata per essere una buona amica per lui, ma non potevo dargli alcuna garanzia.
Mi conoscevo, ero molto brava ad allontanare le persone, anche se con lui speravo di non riuscirci.
   <<Rose, è più di quello che speravo. Immaginavo che tu nascondessi tanto dietro quell'atteggiamento ma speravo di sbagliarmi, tuttavia, anche se non dovessi mai fidarti di me, sappi che io non ti volterò mai le spalle. Sono solo parole, parole a cui ora potresti non credere. Infondo solo il tempo risponde ai dubbi delle persone>> mi sorrise, ed io trovai quelle parole giuste, delicate, perfette.
   <<Grazie>> riuscii a dire solo quello, ed era molto più di quanto lui potesse sperare.
William era un regalo, era il famoso angelo custode a cui io non avevo mai creduto e, proprio come aveva detto lui, solo con il tempo l'avrei capito.

Prigionieri del destinoWhere stories live. Discover now