Lacrime

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Mi sentivo sporca, violata. Le lacrime salivano rapide, mi facevano bruciare gli occhi. Il mio volto si contorceva in un'espressione di disgusto, di rabbia, di rancore. Ero davvero così inerme in quel mondo che avevo da sempre considerato così sicuro? Come avrei potuto aver ancora fiducia in qualcuno, dopo ciò che la persona di cui più mi ero fidata al mondo mi aveva fatto?
Come aveva potuto? Eppure aveva giurato di amarmi. Per lui questo era amore? Prendermi contro la mia volontà? Non riuscivo a smettere di piangere, a chiedermi cosa avessi fatto per meritare un cosa del genere. A processare quell'evento e collegarlo a quanto accaduto in passato, per cercare qualche segnale, qualche cenno di evidenza che avrebbe potuto avvertirmi, che avrebbe potuto farmi comprendere tutto prima, che avrebbe potuto salvarmi. Quando mi fui ripresa, per quanto ci si possa riprendere da una cosa del genere, mi fiondai velocemente in bagno. Mi spogliai e, prima di entrare in doccia, mi guardai allo specchio. Il mio intero corpo era ricoperto di lividi.

Domani saranno ancora peggio, pensai.

Quella stessa sera Mark mi chiese se avessi voglia di cenare con lui, ma gli dissi di no. Ero turbata da ciò che era accaduto e vederlo mi avrebbe fatto stare ancora peggio. Se lo avesse saputo, Dio solo sa cosa sarebbe potuto accadere. Quella notte mi misi a letto con la testa infestata dai continui flash di quel pomeriggio. Jack che infilava le sue mani sotto la mia maglietta, che mi baciava contro la mia volontà...

Quando la mattina seguente mi svegliai ero a pezzi. Ero riuscita a dormire pochissimo, come dimostravano le enormi occhiaie che mi solcavano il viso. Cercai un maglione a collo alto per nascondere i segni che mi aveva lasciato. Per il resto misi le prime cose che trovai: non avevo voglia di truccarmi, o, in generale, di fare nulla. Volevo solo sprofondare tra le calde lenzuola del mio letto, e restarci per sempre. Perché dover affrontare tutto ciò che sarebbe avvenuto, rivedere l'autore dei miei lividi nei corridoi della scuola e dover fare finta di nulla, era straziante, e l'idea di poter ignorare tutto, estraniarsi, cercare in qualche modo di dimenticare, mi faceva stare meglio, mi faceva sentire al sicuro, mi rassicurava. Di certo non avrei mai potuto raccontare nulla di quanto accaduto a mia madre, assediata com'ero da quel senso di disgusto e vergogna, anche se ero perfettamente consapevole di quanto il mio martirio non fosse stato causato da me. Eppure, continuavo a pensare a quanto fossi stata imprudente. Se solo non lo avessi fatto entrare, se solo fossi stata più prudente... ma insomma, come avrei mai potuto immaginare una cosa del genere? In fondo lui era Jack, quel ragazzo solare che tutti credevano perfetto, che tutti amavano, che consideravano tanto buono da non poter far del male neanche a una mosca. Decisi che andare a scuola sarebbe stata la cosa migliore, in modo da non far preoccupare mia madre e, soprattutto, da non farle destar alcun sospetto.

"Buongiorno tesoro, tutto bene?" disse mamma, guardandomi con leggera preoccupazione, quando feci il mio ingresso in cucina.
"Sì mamma, perché?" chiesi, con tono apatico.
"Non so... mi sembri come... spenta. Hai dormito bene?"
"Ho dormito uno schifo." risposi di getto. Affrontare quella conversazione non era nei miei piani, ma mentire spudoratamente non l'avrebbe di certo fatta stare zitta.
"Come mai?"

Mio Dio, quando fai tutte queste domande non ti sopporto!

"Nulla che ti riguardi."
"Ma Ivy-"
"Non ho più fame, vado a scuola." la interruppi. Uscii velocemente dalla cucina e mi diressi verso la porta.
"D'accordo... buona giornata..." urlò per farsi sentire quando ero già all'ingresso, ancora con tono preoccupato.

Arrivata a scuola, Lily mi squadrò subito dalla testa ai piedi.
"Hey tesoro, tutto bene?" mi chiese, guardandomi, anche lei visibilmente preoccupata dal mio aspetto.
"Alla grande." risposi, non nascondendo un tono palesemente ironico. Francamente, mi veniva da piangere.
"Cos'è successo?"
"Nulla." tagliai corto, iniziando a camminare velocemente verso la nostra classe, cercando di evitare l'argomento. Nel corridoio vidi Jack. L'unico schiaffo che ero riuscita a dargli il giorno prima gli aveva lasciato un leggero segno violaceo sulla guancia. Pensai a quanto in quel momento avrei solo voluto pestarlo a sangue. Lui mi guardò per un breve istante, poi si voltò velocemente ed entrò in classe.

"Buongiorno ragazzi." disse Mark, mostrando un grande sorriso. I suoi occhi incontrarono i miei, che non riuscirono affatto a rispondere allo stesso modo alla sua evidente felicità. Mi guardò per qualche istante, cercando di capire cosa avessi, poi continuò a parlare facendo finta di nulla.
"Oggi parleremo di trigonometria."

Quelle due ore parvero non finire mai. Se normalmente ero impaziente di seguire quanto dicesse , osservare le sue possenti mani scrivere alla lavagna e il suo tono profondo pronunciare formule, quel giorno non avevo alcuna intenzione di farlo. La mia testa era da tutt'altra parte.
Mark mi chiamò un paio di volte, esortandomi a seguire. Capendo non ne avessi la minima intenzione, dopo un po' smise di insistere. Quando la campanella suonò fu una vera e propria liberazione.

Le ore seguenti furono anch'esse di una noia mortale, quel giorno più del solito. Quando finalmente terminarono, mi incamminai velocemente verso l'uscita, desiderosa di tornare subito a casa e sprofondare a piangere ancora e ancora tra le mie lenzuola. Non avevo voglia di incrociare Jack, né tantomeno Mark. Purtroppo però quest'ultimo fu più veloce di me.

"Jones!" iniziò a chiamarmi, mentre io camminavo verso l'uscita a passo svelto.
"Jones, aspetti!" affrettò a sua volta il passo, per poi, una volta raggiuntomi, afferrarmi per il braccio, proprio nel punto in cui Jack mi aveva lasciato uno dei tanti lividi. Emisi un leggero gemito di dolore, che fortunatamente Mark sembrò non notare. Poi, rendendosi conto di alcuni sguardi indiscreti, disse ad alta voce che doveva parlarmi ancora del progetto di matematica, e coì lo seguii in silenzio. Arrivati in aula, la stessa in cui il giorno precedente eravamo stati insieme, iniziò a parlare:
"Hey." disse, avvicinandosi a me e accarezzandomi leggermente la guancia.
"Ciao." risposi freddamente.
"Cos'è successo?" mi chiese allora, visibilmente preoccupato.
"Nulla, perché?"
Non sarei riuscita a sembrare convincente neanche sotto tortura: non ero mai stata una brava bugiarda.
"Oggi non hai seguito la lezione. Non mi hai neanche guardato in faccia. Ieri sera hai rifiutato il mio invito a cena. Insomma... è forse per quello che è successo ieri?"
Capii solo dopo qualche istante a cosa si riferisse.

"Certo che no, come ti viene in mente?" dissi, accennando un sorriso e poggiando la mia mano sulla sua guancia. Istintivamente poggiò la sua mano sulla mia. Il calore del suo tocco era rassicurante.
"E allora perché mi stai evitando?"
"Non ti sto evitando." replicai, togliendo la mia mano dal suo viso. Lo vidi irrigidirsi, non riuscendo a spiegarsi il mio improvviso distacco.
"Prima sei praticamente scappata via nonostante ti stessi chiamando, oggi non mi hai degnato neanche di uno sguardo...."
"Prima avevo le cuffiette e non ti ho sentito."

Ma a chi diavolo voglio darla a bere?

"Va tutto bene, sono solo stanca." tentai di rassicurarlo ancora.

My ProfessorWhere stories live. Discover now