2| Urlare come una pazza in un luogo pubblico

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La luce calda dell'alba entrava dalla finestra della camera da letto; da un paio di mesi a questa parte, mi ero abituata a lasciare gli scuri semi aperti prima di andare a letto. Il sole era la mia sveglia e me lo sarei potuta godere ancora per pochi mesi. Sbadigliai rumorosamente guardandomi intorno: la parete color magenta, dipinta mesi prima nonostante il continuo dissenso di mio fratello, metteva in evidenza i quadri delle mie foto in bianco e nero; facendo ancora più contrasto con le altre foto dai colori accesi nelle altre pareti. Anche i mobili color antracite erano perfetti, specialmente con le nuove lenzuola con quel tocco floreale che mancava. La specchiera davanti al letto era l'unica pecca: rifletteva la mia immagine che, appena sveglia, era anche peggio del solito. Però la lingerie era così carina. Era una di quelle cose che avevo ereditato da mia madre, mia nonna e così via nelle generazioni precedenti: potevamo vestirci in qualsiasi modo, bene o male, ma l'intimo e la biancheria notturna dovevano essere perfette. Lisciai il tessuto di seta color lavanda della camicetta da notte, fino ad arrivare al pizzo nero dell'orlo, lo stesso della scollatura a cuore e delle bretelline, fiera del mio acquisto. Non ero così male vista in questo modo, era da in piedi che la questione cambiava. Sospirai decidendo di alzarmi e di smetterla di fare la vanesia. Sistemai la camicia da notte sotto il cuscino e feci il letto, infilando subito dopo la classica uniforme da casa: pantacalze blu e felpa enorme grigia con cappuccio e una macchia storica di una tonalità più scura sul seno. Tutte le mie felpe da casa erano macchiate sul seno: la forza di gravità perdeva sempre contro la potenza delle mie tette, erano esenti alla legge di gravità universale. Infilai il cerchietto rosso e varcai la porta della stanza andando verso la cucina, in tempo per sentire il campanello della porta suonare, come ogni mattina. «Cara ho appena fatto il caffè, ci sono anche le altre» affermò la signora Maria da dietro la porta. Infilai i calzettoni a pois, le ciabatte dell'Adidas e aprii la porta. «Sono pronta» dissi sorridendole, ricevendo in cambio il calore di un abbraccio.

La signora Maria era la mia dirimpettaia, considerata da tutte le altre signore la caposcala del condominio delle donne, delle vedove, almeno così lo definivano tra di loro. Me lo dissero la prima volta che venni invitata a fare colazione dalla signora Maria. «In questo condominio gli uomini non durano» aveva detto con tono serio la signora Bignani, facendomi venire l'ansia: ecco, sarei rimasta zitella per sempre, avevo pensato. Lo stesso giorno la signora Maria, mi aveva spiegato che la Bignani non aveva tutte le rotelle sistemate, lo capii la prima volta che mi parlò in confidenza e in totale serietà di come le lavatrici della lavanderia dietro al nostro condominio, le stessero rubando l'acqua calda. La signora Bignani era la più anziana del condominio, subito dopo la signora Pia, la dolcezza fatta in persona dai capelli sempre cotonati alla perfezione e i vestiti che profumavano di zucchero filato. La signora Maria, invece, era quella più frizzante che trainava la carretta, al braccetto della Sandrini, altra personalità di spicco, dall'ironia e l'acidità spregiudicata; al contrario della vicina, la Fanin, dolcemente ingenua e stordita. Vivere in quel condominio era come tornare indietro nel tempo, in una di quelle sitcom anni '60. Eppure erano tutte così carine con me, dicevano sempre di considerarle come nonne.

A quanto pare oggi era una giornata speciale, le signore erano tutte in ghingheri, con tanto di parure abbinate all'outfit impeccabile. «Che cosa succede stamattina? Dovevamo uscire?» domandai a Maria sottovoce. Lei ridacchiò. «Oggi è il compleanno del nipotino della Fanin, un giovanotto tanto carino e simpatico, tornato solo ieri sera a casa, dopo quasi un anno in giro per il mondo. Abita nel condominio qui a fianco, ci viene sempre a trovare e ci aiuta quando abbiamo bisogno di un uomo. Siamo tutte molto affezionate a lui e stamattina ci viene a trovare» concluse tutta sorridente. Strabuzzai gli occhi, mentre l'agitazione iniziava a farsi largo dentro il mio corpo. «Forse è meglio che vada allora» affermai sicura. «Non dire stupidaggini Arianna. Fa bene anche a te ogni tanto vedere un uomo» commentò la Sandrini sistemandosi il rossetto, facendo ridere le altre signore. «Non ho neanche messo il reggiseno» feci notare a bassa voce. «Non c'era bisogno che lo dicessi cara, lo avevamo notato. Non ti preoccupare tesoro, sei in famiglia» rispose Maria facendomi sedere in una delle sedia della tavola rotonda nel salotto, dove la tovaglia buona era riempita di dolci e dolcetti e dalle tazzine del servizio da caffè della domenica. Sistemai il cerchietto rosso nei capelli, pentendomi di essermi svegliata, non appena la porta si aprì. «Buongiorno signore» affermò una voce maschile conosciuta. Alzai di scatto il viso verso l'ingresso: era il ragazzo di ieri, quello con il sorriso più bello che avessi mai visto. Sorriso che al momento stava rivolgendo a me, accentuato dalle fossette ai lati delle labbra. Mi sentii arrossire, fortunatamente, però le signore si misero in mezzo allo scambio di sguardi, andando una alla volta a fargli gli auguri, mentre Maria tirava fuori dal frigo la torta alla panna e alle albicocche. Una manciata di minuti dopo eravamo tutti seduti a tavola, a mangiare. «Mangia, mangia, Francesco: ti saranno mancati i nostri dolci in America» esclamò Maria, riempendogli il piatto di dolcetti. Almeno ora sapevo che si chiamava Francesco. «Sai Arianna, Francesco è stato a Los Angeles negli ultimi mesi, per lavoro» aggiunse guardandomi con dolcezza. «E si vede che ti sei abbuffato di schifezze» commentò la Sandrini facendolo ridere. «La sua fidanzata non sapeva cucinare, sai, non aveva molto appetito» esclamò la signora Fanin, ridendo. «Per questo non poteva funzionare: una ragazza che non ha appetito non potrà mai essere appetibile» ribatté Francesco facendo l'occhiolino. Arrossii di nuovo, girandomi verso la Bignani che stava cercando la mia attenzione. «Arianna, ce l'hai ancora il numero di telefono di quei ragazzi tanto gentili che sono venuti a sistemarti il bagno? Vorrei che venissero a dare un'occhiata alla mia caldaia perché è assurdo che qui ci sia così tanto caldo, mentre da me si gela!» affermò agitata, annuii. «Certo, dopo faccio un salto in casa e prendo i riferimenti. Mi hanno lasciato un numero fisso e il cellulare del tecnico» risposi cordialmente. «Secondo me il numero di cellulare il tecnico te lo ha lasciato perché ci stava provando, non per darlo a noi vecchie» disse divertita Maria, creando ilarità. «Non credo proprio, piuttosto gli ho fatto paura. Quando sono venuti a farmi il bagno ero disperata e incasinata. Una volta gli ho anche aperto in camicia da notte» ribattei scuotendo la testa con decisione per l'immagine imbarazzante che saltellò nella memoria: ricordavo molto bene l'espressione di disagio del povero ragazzo nel vedermi in mise notturna. «Le fortune sono sempre degli altri» commentò Francesco senza pensarci, attirando l'attenzione di tutte, compresa la mia, stupita e imbarazzata. «Tesoro che cos'hai detto?» gli domandò la Fanin. «Niente nonna, solo che potevi avvisarmi che non saremmo stati da soli con le tue amiche. Mi sarei cambiato» rispose a sottovoce, indicando i pantaloni di quello che doveva essere un pigiama. «Su questo devo darti ragione» commentai guardandomi la felpa macchiata e la mancanza di sostegno nel petto, Francesco mi sorrise. Vidi le signore lanciarsi sguardi complici, poi tornare su di noi. «Caro, non ti abbiamo presentato come si deve la nostra nuova amica. Si chiama Arianna Morell ed è la nuova arrivata nel condominio delle vedove, ma lei è nubile e ha... Quanti anni hai cara?» iniziò Maria, concludendo con chiedermi l'età. «Venticinque anni, anche se in questo momento ne dimostri ancora meno di ieri» rispose Francesco al posto mio. «Ci siamo incontrati ieri sera, dal Paradiso» chiarii timidamente, davanti agli sguardi curiosi delle presenti. «Ottimo, ottimo! Sai Arianna, il bar dove lavori tu, è proprio di fronte alla sala di registrazione, dove va Francesco a lavorare. Dato che, tra l'altro, abita nel condominio a fianco, potrebbe accompagnarti a casa di notte. Ci farebbe stare tutte tranquille, vero Signore?» Iniziò la signora Maria, con il consenso delle altre. Improvvisamente mi sentivo come in uno di quei programmi televisivi pomeridiano, quelli che cercavano di creare coppie a caso tra il pubblico. «Oh, davvero, non ce n'è bisogno. Ho il mio bolide scassato che ancora mi regala emozioni e il parcheggio nella strada parallela a questa che mi aspetta» dissi subito gesticolando, mettendo le mani avanti «E poi quando torno a casa io, sono tutti a dormire: questa zona è molto tranquilla» aggiunsi in tono rassicurante. La signora Fanin scosse la testa con decisione. «Mica vero valà, l'altro giorno stavo tornando dalla spesa e li ho visti: erano un gruppetto di ragazzi in cortile e stavano comprando...» si interruppe un istante, guardando prima a destra e poi a sinistra dietro di sé; poi si sporse di più verso l'interno del tavolo e, a sottovoce, con tono allarmato disse: «LA DROGA!» Strabuzzai gli occhi, trattenendo a stento la risata. «E be', che cos'è tutto questo proibizionismo Marisa! Se li avessi visti ne avrei comprato un tocchetto: la sciatica mi ucciderà prima o poi!» commentò la Sandrini, ovviamente, toccandosi la schiena. «Insomma Agnese! Dacci un taglio con questi discorsi da hippie» ribatté Pia scuotendo la testa in segno di dissenso, facendo sbuffare la Sandrini. «Di notte tutti i quartieri sono pericolosi, anche il nostro. Puoi rischiare di essere rapinato, puoi imbatterti nei gruppetti di drogati o puoi anche finire investito» concluse il discorso Maria, riprendendo in mano la situazione. «O essere travolto da una sconosciuta sotto la pioggia» commentò ridacchiando Francesco.

Nella tela di Arianna - COMPLETAWhere stories live. Discover now