11| Scoprire l'America - Voltare pagina

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Tre mesi dopo.

Con la vestaglia aperta, i capelli legati ed un completino nuovo in dosso. «Rirì, dovresti coprirti. Tuo fratello arriverà a minuti e se ti vede così mi prende a pugni di sicuro.» Sentii alle spalle, mentre, in un semi abbraccio mi chiudeva i lembi della vestaglia, lasciandomi un lieve bacio sulla guancia. Sospirai. «Prima o poi lo verrà a sapere in ogni caso, credimi, lo so, ma non ti farà nulla, sei uno dei suoi migliori amici e capirà l'indole del nostro rapporto» affermai accarezzandogli il viso. «A volte mi fai un po' paura con i tuoi poteri da streghetta» commentò lui, ridacchiando. Scossi la testa. «Io che pensavo che tu fossi il più saggio del gruppo e invece, te ne esci con queste frasi da commedia adolescenziale» esclamai facendogli la linguaccia, andando verso la camera da letto. «Be', io a questo punto me ne andrei a finire di fare le valigie, ci vediamo in aeroporto» urlò dalla cucina, mi sporsi con il viso dalla porta, sorridendogli con dolcezza. «Alle 11.30, sii puntale» risposi solamente, vedendolo uscire dalla porta di casa. Sospirai. Di nuovo sola, quasi. «Che cosa ci faceva Dado a casa tua?» domandò Tommy con sguardo teso entrando in camera da letto. «E tu che cosa ci fai a casa mia?» domandai a mia volta, indossando un paio di jeans. «Da quando avete tutta questa confidenza?» chiese ancora. «Da quando il mio ragazzo è andato a letto con un'altra e la sua ragazza pure. Abbiamo molte cose in comune» ironizzai, ripensando a quella notte.

Avevo chiuso la porta di casa sua in religioso silenzio, nessuno mi aveva sentita, nessuno sapeva che io avevo visto. Nessuno, tranne Dado, di fronte a me, con le spalle sulla porta della vicina di Francesco. Aveva il mio stesso sguardo. Senza dire nulla, eravamo saliti nel mio appartamento con gli sguardi cupi e le labbra serrate, non abbastanza per ubriacarci però, risvegliandoci il mattino dopo stesi sul pavimento della cucina, entrambi in mutande, ma con la sicurezza di non aver fatto nulla di più che consolarci a vicenda. Avevamo passato i mesi successivi allo stesso modo, fino a decidere di staccare completamente, investendo parte dei risparmi in un paio di biglietti d'aereo. Lui aveva comprato quello di ritorno, io no.

«Senti, la mia macchina non ne vuole sapere di partire. Mi serve la tua, devo andare da Sofia a tutti i costi prima che...» «Prima che prenda decisione azzardate sul tuo bambino? Congratulazioni, a proposito» lo interruppi, facendolo arrossire. «Vieni con me» concluse, infilandomi dalla testa la felpa-where is my boyfriend, prima che mi potessi ribellare.

«Tommy, non lo posso affrontare. Non lo voglio fare» feci un ultimo tentativo, davanti a quella che sembrava essere la casa delle favole di Barbie. Mi stupii di non vedere il camper rosa parcheggiato in cortile, magari vicino al pony di Barbie e alla macchina di Ken. No. C'era solo la macchina di Fra. «Senti Rirì, sei innamorata di lui, allora fanculo il resto e riprenditi il tuo uomo. Dai retta a me, ne so qualcosa» disse Tommy, suonando alla porta di casa con audacia. Mi nascosi, cercai di farlo almeno, nell'angolo della parete in corrispondenza della porta. Attaccata al muro come un cazzo di geco. Quando la porta si aprì, mi mancò il respiro. «Ciao» sentii sussurrare dalla voce di Sofia; Tommy sorrise di sbieco, sentivo l'agitazione ricoprire la sua aurea. La pancia di Sofia era ben poco eloquente «Ci vediamo in comune, non fate far tardi allo zio, mi raccomando! Mi accompagni, vero?» domandò lei, Tommy annuì, poggiandole una mano sulla schiena. «Tommy, spero di vederti dopo, al matrimonio» disse Andre con tono serio, raggiungendoli alla porta, Tommy annuì nuovamente, sorridendogli.

Il matrimonio di Andrea e Nadia.

Dodici giorni prima.

Sapevo che sarebbe stato un disastro, non dovevo dare retta a Cesi. Era così gratificante la lista dei film che avrei potuto vedere per tutta la notte, tanto quanto quella bottiglia di vino rosso, a fianco alla confezione tanto carina di biscotti enormi, fatti in casa con tanto amore dalla signora Fanin: la dolcezza fatta in persona. Da quando aveva saputo della separazione da Francesco, mi riempiva di pietanze tipiche e dolcetti. Ero diventata un cetaceo, ma casa mia non era mai stata così piena di cibo vero. Ero stata anche tentata di assecondare un appuntamento al buio con il nipote di un amico della Sandrini, prima della lista dei film, il vino e i dolcetti. Ma tutta la squadra de Glindiefiniti mi aveva letteralmente rapita, riempiendo una borsa con vestiti a caso. «È il compleanno della mamma di Tommy, se non vieni ci rimane male» aveva detto Cesi, mentre Dado mi sorrideva dolcemente. Mi sarei appollaiata sul suo braccio per il resto del weekend. Quando arrivammo davanti all'albergo mega lussuoso, tuttavia, ero già pentita. «Dannazione, perché tutti ci devono guardare?» avevo domandato tenendo salde le mani intorno il braccio di mio fratello. «Probabilmente perché siamo famosi» aveva ipotizzato Santo con un sorriso marpione. «Oppure perché stai marcando il territorio, sai, sono il più figo» ipotesi numero due, direttamente dall'umiltà di Cesi. «Secondo me perché hai il cappuccio, gli occhiali da sole e la felpa da spacciatore» aveva concluso Tommy, superandoci per andare incontro a sua madre, arrivata già nel pomeriggio con la nostra. «Rimani comunque la ragazza più interessante qui intorno» commentò Dado, dando il via alle battutine sconce di Santo, seguite da due sberle di Cesi. Non lo volevo ammettere, ma stare in mezzo a loro riusciva a rasserenarmi, più o meno. Almeno l'immagine di Francesco e l'americana era diventata più sfuocata, nonostante riuscissi ancora a ricordare come il suo corpo snello aderiva perfettamente all'abbraccio di Franceso che dormiva sereno e tranquillo. Sfuocata un cazzo.

Nella tela di Arianna - COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora