Capitolo 5.

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Passarono cinque giorni. Cinque giorni in cui io e Dylan non ci rivolgemmo parola, oltre qualche frase buttata qua e là per non destare sospetti. Il mio orgoglio semplificò le cose, permettendomi di non provare alcun dispiacere per la situazione che si era venuta a creare. Lui voleva solo che io gli stessi dietro esattamente come tutte, per poi deludermi. E io non avevo intenzione di dover l'ennesima batosta. Non lo avrei più sopportato.

I quei giorni andai molte volte da nonna Heaven. Riusciva a farmi sorridere o a dirmi parole di incoraggiamento, e ne avevo un dannato bisogno. Avril, dal canto suo, si vedeva poco e niente in giro; la maggior parte del tempo lo trascorreva insieme a Colton, ed ero felice per lei. Ancora non si era decisa a raccontarmi della loro storia, ma le avrei lasciato tutto il tempo di cui aveva bisogno. L'avevo vista diverse volte presa da un ragazzo, ma non così. Era come se con lui avesse trovato la sua strada. Inoltre, Colton era travolgente, simpatico e molto alla mano. In poche parole, non era il solito ragazzo viziato. E poi, se piaceva a lei, piaceva anche a me.

Jack, che stranamente sembrava stare dalla parte di Dylan per stuzzicarmi, decise di mettere alla prova la mia pazienza, organizzando escursioni, lezioni per "mantenere l'equilibrio in barca", imparare a tagliare la legna, accendere un falò e dare il meglio di sé nelle faccende domestiche. In quei giorni fui stranamente di cattivo umore, e non avrei dovuto. Attribuivo il mio nervosismo alle fatiche e ai lavoracci che facevamo ogni giorno, ma sapevo che il vero motivo non era quello. Affatto. Continuavo a ripetermi che Dylan non fosse nessuno per me. Che non avesse alcun valore. Ammettere a me stessa che conoscerlo era stato come un miraggio nel bel mezzo del deserto, era faticoso. Non riuscivo ad accettare il fatto che quel ragazzo misterioso ed arrogante mi avesse attirata a sé in un modo impercettibile.

Ogni giorno, per cercare la mia pace interiore che bramavo incessantemente, adoravo isolarmi, in un posto nascosto non molto lontano dal nostro bungalow. Lì gli alberi sembravano far parte di un magico incantesimo, e creavano un'atmosfera meravigliosa, essendo allineati quasi perfettamente. Mi sedevo in riva al lago, proprio come in quel momento, e passavo ore a leggere, ad ascoltare musica o a scrivere sul mio quaderno personale.

«Per quanto tempo ancora mi eviterai?» sentii una stretta al petto. Dylan era là. E il battito accelerato del mio cuore lo confermava.

«Io non sto evitando proprio nessuno.» risposi secca.

«Sì certo, scusami, hai ragione tu, come sempre.» ringhiò. Si sedette di fianco a me in riva al lago e non osai guardarlo.

«Se sei venuto qui per litigare, puoi tornare da dove sei venuto.»

«No, sono venuto per dirti che dobbiamo andare a mangiare. La cena è pronta, e lo sai che Jack odia i ritardatari.»

«Beh, puoi dire a Jack che non ho fame. Grazie.» Lo vidi togliersi il ciuffetto dagli occhi, per poi distendersi.

«Alzati Dylan, te lo chiedo per favore. E poi, come hai fatto a sapere di questo posto? E' praticamente il mio posto nel mondo.»

«Ed è qui che ti sbagli» disse scroccando la lingua, «non leggo nessun cartello con scritto "Jane Mason", quindi dubito sia tuo.» Stronzo. Sicuramente mi aveva seguita.

«Non fare il bambino. Come ben saprai, visto e considerato che non sai tenere il muso lontano dagli affari altrui, questo è il posto in cui vengo per rilassarmi.»

Stavo meglio senza di lui. Senza questo essere che mi punzecchiava, che mi detestava, che tirava fuori il peggio di me. Eravamo un qualcosa di completamente sbagliato insieme. Eravamo una bomba che sarebbe potuta esplodere da un momento all'altro.

«Perfetto.» mi alzai di scatto e mi incamminai verso una distesa di abeti, che poi portavano al nostro bungalow.

«Ah, ma davvero?» urlò attirando la mia attenzione. Mi girai e aspettai che continuasse. «Te ne vai dandomela vinta? Senza neanche ribattere? Non è da te.»

Never let me go.Where stories live. Discover now