Capitolo 16.

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Autocontrollo: controllo esercitato sulle proprie pulsioni, dominio di sé.

Il mio dov'era finito?

Il grido che lanciai non appena Dylan fece l'ultimo ed eclatante canestro, e il mio rossore evidente ad un chilometro di distanza, fecero in modo di attirare l'attenzione della maggior parte delle persone intorno al mio posto nella tribuna. Imbarazzante.

Ammetto di non aver gridato solo per l'ultimo canestro di Dylan... forse, e dico forse, avrò fatto un piccolo tifo anche mentre Dylan schizzava come un razzo nel campo. O mentre toglieva la palla dalle grinfie dell'avversario, e segnava canestri con la facilità con cui si beve un bicchier d'acqua. Il solo pensiero di aver visto quel meraviglioso petto con tanto di tartaruga sana e matura, mi face avvampare ogni parte possibile e immaginabile. Parti di me che erano spente da sempre.

«Hanno vinto?» mi urlò Avril all'orecchio, facendomi sobbalzare.

«Sì!» mi spuntò un sorrisetto da ebete. «Ha segnato Dylan!» sorrisi guardando nella sua direzione, e cercando di non pensare a quello che avevo visto. Era troppo.

«Colton come sta?» le chiesi.

«Bene, grazie a Dio.» tirò un sospiro di sollievo.

In quel momento tutta la squadra esultava e gridava allegramente a petto nudo. Felici e contenti, come se avessero vinto i mondiali. Avvertii una strana sensazione al petto quando vidi Dylan ridere e gioire insieme agli altri. Era felice, glielo si leggeva in faccia. Ne aveva passate tante, era un ragazzo certamente diverso da molti altri: lui aveva quel modo così suo di dimostrarsi diverso.

«Oh-oh, il numero ventidue sta correndo verso di te.» mi sorrise Avril, mentre aspettavamo Colton e Dylan vicino ai loro spogliatoi.

I capelli gli ricadevano dolcemente sulla fronte, il suo sorriso splendeva, il suo fisico era perfettamente fasciato in quei vestiti attillati che si era messo, e i miei ormoni ormai erano andati in tilt.

«Dylan!» corsi ad abbracciarlo, e lui mi prese al volo. Affondai la testa nella curva del suo collo, e in quel momento non m'importava se la differenza di altezza era leggermente imbarazzante, stavo benissimo dov'ero. Profumava di pulito, di One Milion e di Dylan. I suoi occhi brillavano, e mentre mi sussurrava qualcosa riguardo il mio tifo sorprendente, non potei fare a meno di fissargli quelle labbra da urlo.

«Jane, ci sono persone.» sbuffò. «In realtà non me ne frega un cazzo, sto impazzendo.» Mi prese la testa fra le mani, mi guardò fisso negli occhi, mentre sentivo le mie ginocchia cedere, e mi diede un leggero bacio sulla fronte.

Quella era una tortura vera e propria.

«Non cedo così.» sorrise, mi prese per mano e raggiungemmo Avril e Colton che ci stavano aspettando.

«Ottima partita, fratello! Hai visto Jackson O'Meil? Una schiappa, cazzo!» esclamò Dylan appoggiandosi al sedile di Colton. «A quanto pare non bastano i soldi che sborsa il paparino per farlo diventare un bravo giocatore.»

«Potevamo usare lui come palla!» scoppiò a ridere Colt, «avevo paura che gli sarebbe venuto un attacco d' asma in quel momento!»

«A proposito, Colton, il tuo ginocchio? Come va?» mi intromisi. Volevo essere certa che stesse bene.

«Direi bene, ha fatto i soliti capricci.» mi sorrise dallo specchietto retrovisore.

Era incredibile con quanta leggerezza prendesse tutto l'accaduto. Guidava sicuro, lo sguardo fisso sulla strada, il suo cappellino calato leggermente sugli occhi, e la mascella tesa. Il contrario di Dylan. Lui non stava mai attento alla strada, guidava troppo veloce ed era perfettamente a suo agio, senza nessuna preoccupazione. Erano molto diversi, i cugini Coleman.

Never let me go.Where stories live. Discover now