Capitolo 1.

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Il giorno in cui conobbi Dylan Coleman, non avrei mai, e dico mai pensato, che la sua irruzione nella mia vita potesse causare tanta sofferenza, ma allo stesso tempo, tanta felicità.

Il nostro fu un incontro particolare. Molto particolare. Provate ad immaginare tutte le esperienze più dolci e tenere della storia. Immaginatevi una lunga via ricoperta da petali di rose, oppure una dolce gita al laghetto, che finalmente, dopo anni e anni di attesa, vi fa incontrare l'uomo della vostra vita. O meglio ancora, provate ad immaginare una situazione perfetta, in cui voi siete così belle che lui rimane senza fiato non appena il suo sguardo si posa per la prima volta su di voi, e da quel momento, scoppia la scintilla. Ecco il colpo di fulmine che tanto aspettavate. È tutto così bello, così speciale, così perfetto.
Bene, adesso scordatevi tutto quello che avete appena letto, perché il nostro primo incontro fu esattamente l'opposto di tutto questo.

Ma forse è meglio raccontare le cose dall'inizio, senza tralasciare dettagli sgradevoli.

Non credo di essere mai stata una ragazza dolce, speciale, o con grandi qualità. Mi sono sempre reputata "un errore genetico", e mia madre non lo ha mai negato. Sono cresciuta con un'unica idea in testa: l'errore ero io, e mai niente o nessuno avrebbe potuto cambiare il mio essere così sbagliata. "Chi nasce tondo non morirà quadrato" continuava a ripetermi mia madre, ma credo che almeno su questo si sia sbagliata.

Non sono cresciuta in una famiglia ricca, né benestante. Mia madre lavorava in un bar non molto lontano da casa, e ci manteneva come meglio poteva fare una donna vedova.

Bryan, mio fratello, è sempre stato "il prediletto", o meglio "il figlio voluto". Così veniva definito da mia madre.

Ringrazio il cielo di non aver mai provato invidia nei suoi confronti. Io e Bryan abbiamo sempre avuto un legame particolare, bè, il classico legame che si può avere tra una diciottenne e un quindicenne. Mia madre, di certo, non aveva una bella influenza su di lui.
Odio doverla ancora definire "madre", ma in fin dei conti, è stata lei a guardarmi fare i primi passi, o ad ascoltarmi pronunciare la mia prima parola. Non credo siano queste cose a definire il ruolo di una madre, ma a questo ci arriveremo più in là.

Ho sempre pensato che i supereroi fossero imbattibili, invincibili, e che malgrado tutti gli ostacoli che si sarebbero presentati, loro ne sarebbero sempre usciti immuni. Ho sempre creduto che ognuno di noi abbia un angelo, un eroe, o come volete definirlo voi. Tutti abbiamo qualcuno che ci protegge da lassù, e chissà, magari sarà qualcuno che quando piangeremo sarà lì a piangere insieme a noi, e quando rideremo, sarà lì a sbellicarsi dalle risate.

Il mio supereroe è volato in cielo quando avevo otto anni, e non credo esistano parole per esprimere il mio dolore. La sensazione è simile a quando sei vicino al fuoco in pieno inverno, e ti senti calda e sicura, fin quando, all'improvviso, vieni tolta improvvisamente da quel paradiso venendo catapultata al Polo Nord, con addosso solo mutande e reggiseno. Non so se rendo abbastanza l'idea, ma le sensazioni che provai in quel periodo, furono devastanti. Fui accusata della sua morte, della sua sofferenza, e di tutti i guai che la mia famiglia dovette subire a causa della morte di papà.

Ma credo che adesso non sia il caso di spingermi in argomenti così delicati.

La mia nuova storia, la scoperta di me stessa, mi venne annunciata un pomeriggio di giugno. Avevo appena finito l'ultimo anno di liceo, e non credo di essere mai stata fiera di me stessa come in quell'istante: l'esatto momento in cui mi è stato consegnato il diploma di fronte a centinaia di persone, ho capito che forse le cose non andavano poi così male. Forse, con l'inizio del college, avrei potuto spiccare il volo e trovare finalmente la mia strada. Quella giusta.

Never let me go.Where stories live. Discover now