Capitolo 6

558 77 72
                                    

Silenzio.

Manuel sentiva solo silenzio. La gente gli parlava ma lui non percepiva alcun rumore. Si sentiva un automa, privo di un briciolo di volontà nei suoi movimenti macchinosi.

Silenzio.

L'unica persona che avrebbe voluto ascoltare era anche l'unica di cui non conosceva la voce, né il volto, né il corpo. Di lui conosceva le paure, i gusti, il tratto blu, ma non la voce. Era acuta o profonda? Era limpida o roca? Ricordava la onde del mare o il soffio del vento?

Silenzio.

L'unico essere di cui avrebbe ascoltato anche un discorso di tre ore gli stava riservando il silenzio. Un silenzio che non comprendeva fino in fondo e un silenzio nel quale riusciva a sentire mille urla.

Di chi era la voce che urlava? La mia? La sua? Probabilmente è la mia. Ma, in fondo, non siamo la stessa cosa, io e lui? Non siamo la stessa entità? Non abbiamo la stessa voce?

Eppure, lui non parlava. Lui non scriveva. Lui era diventato silenzio. Pura e semplice assenza di suoni.

Manuel era convinto di averlo spaventato chiedendogli di incontrarsi. Voleva chiedergli scusa, voleva rimediare. Però pensava che, forse, Simone aveva bisogno di spazio.

Alla fine, comunque, non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto scrivergli. La realtà è che avrebbe voluto parlargli. Lui, che aveva sempre preferito mettere per iscritto i propri pensieri, organizzarli, trovare le giuste parole, stavolta avrebbe voluto improvvisare, rischiare di sbagliare pur di provare a farsi capire.

Certo, aveva il suo indirizzo. Ma che razza di psicopatico sarebbe sembrato a presentarsi a casa sua e dire ehi, ciao, sono il tipo sconosciuto con cui ti stavi scrivendo e sono qui perché non mi hai risposto a una lettera? L'avrebbero fatto rinchiudere e poi addio Simone, per sempre.

Così, Manuel decise di aspettare. Passarono giorni, settimane e lui restava in attesa di un pezzo di carta. Continuava la sua vita facendo finta che non gli importasse. Fingeva di non avere un vuoto, che nell'ultimo periodo era stato colmato da una calligrafia blu.

Dopo due settimane, qualcosa scattò nella sua mente. La paura di averlo spaventato e la tristezza di non avere più sue notizie furono sostituite dalla rabbia. Manuel era furioso. Almeno un cazzo di rifiuto me lo meritavo, specialmente dopo l'ultima lettera in cui mi sono aperto più di quanto abbia mai fatto in vita mia.

In un momento d'ira, Manuel afferrò il proprio cellulare e compose un numero, il numero di chi gli aveva mandato almeno cento messaggi di scuse a cui non aveva risposto.

"Manuel" la sua voce, una voce che Manuel non avrebbe voluto sentire mai più, era sorpresa.

"Sei libero stasera?" fu l'unica domanda che il riccio gli riservò.

"Si, ci vediamo al bar?"

"No, vengo a casa tua" disse con un tono piatto e duro e poi attaccò, senza aspettare l'arrivo di una risposta dall'altra parte del telefono.

Manuel arrivò a casa di Stefano nel tardo pomeriggio. Per quel palazzo malandato provava solo disgusto. Cercò di reprimere ogni sensazione negativa e concentrarsi sulla sua decisione. Bussò al citofono e nessuno rispose, sentì semplicemente lo scatto acuto del portone che si apriva. Salì le scale e, arrivato al terzo piano con un po' di fiatone, trovò la porta socchiusa.

CorrispondenzaWhere stories live. Discover now