Capitolo 8

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Erano trascorse cinque settimane da quando Simone era arrivato in ospedale. Tre le aveva passate dormendo, una ad aspettare Manuel, l'altra insieme a Manuel. Si sentiva il ragazzo più fortunato sulla Terra. Manuel si era dimostrato una persona stupenda, anche più di quanto già non trasparisse dalle lettere.

Si era dimostrato un ottimo oratore quando Simone aveva bisogno di parole rassicuranti. Sapeva restare in silenzio quando Simone aveva bisogno di un momento di pausa dal mondo. Sapeva scegliere con cura le domande da porgli, per far sì che non si sentisse costretto a rispondere o turbato da ciò che la domanda avrebbe comportato. Ma, cosa più importante, sapeva ascoltare. Aveva ascoltato Simone parlare della sua sessualità, del coming out con il padre e di quello che ancora avrebbe dovuto fare con la nonna. Lo aveva ascoltato parlare delle sue insicurezze, delle sue ansie, delle sue paure. Lo aveva ascoltato lamentarsi per l'università, cosa che tutti detestano, ma che Manuel aveva fatto con un sorriso sereno.

Nessuno prima di Manuel aveva compreso che Simone aveva un disperato bisogno di sfogarsi, di raccontare a qualcuno che potesse capirlo senza giudicarlo ciò che aveva in testa.

E anche quel pomeriggio, come tutti i precedenti da una settimana a quella parte, era finalmente arrivato il momento delle visite: le ore 16:00. E Manuel, alle ore 16:00 in punto, si trovava fuori la stanza di Simone, pronto ad un'altra sessione di conoscenza.

Quel giorno si era presentato con delle carte napoletane per giocare a quegli unici due giochi che gli aveva insegnato la mamma da piccolo: scopa e asso piglia tutto. Quando aveva poco più di sei anni, Manuel adorava specialmente quest'ultimo, perché riusciva a vincere molto più spesso.

Accanto alle carte, aveva portato con sé anche un libro: La certosa di Parma di Stendhal. Aveva finito di leggerlo da pochi giorni e pensava fosse carino regalarlo a Simone, per fargli ammazzare un po' di tempo e per parlarne insieme.

C'era una frase, in particolare, che l'aveva colpito, perché ricalcava ciò che si erano detti nelle lettere: "La vita fugge, non cercare dunque più di quanto ti offre la gioia del momento e affrettati a goderla". Data, poi, la situazione di Simone, gli sembrava abbastanza appropriata.

Quando lo porse al corvino, quest'ultimo si aprì in un sorriso enorme.

"Non dovevi, Manuel" disse, con le guance che gli diventavano ogni secondo più rosse.

"Mi faceva piacere" rispose semplicemente.

Manuel iniziò a raccontargli della trama e di questo amore che sembra salvifico, ma poi finisce in tragedia.

"Vediamo di non fare la stessa fine" disse a voce così bassa che quasi non si sentì lui stesso, nascondendosi in una risata.

"Come?" chiese Simone.

"No, niente" chiuse l'argomento.

"Mh, mi hai spoilerato tutto comunque" disse, fintamente offeso.

"Hai ragione, scusa" rise Manuel. "Se vuoi te ne porto un altro"

"No, ora voglio leggere questo" sorrise l'altro.

Passarono dei minuti di silenzio, ma non c'era imbarazzo. Simone stava leggendo qualche rigo del libro e Manuel lo guardava. No, non lo stava semplicemente guardando. Si stava perdendo nel suo profilo, percorrendo con gli occhi le curve del suo viso, quelle che tanto avrebbe voluto accarezzare, soffermandosi sulle labbra martoriate dall'insicurezza, quelle che tanto avrebbe voluto baciare.

"Mi stai fissando" sentenziò Simone.

"Sei carino"

"Non sono carino. Poi con tutti questi graffi..."

CorrispondenzaWhere stories live. Discover now