Chapter seven

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«Quindi? Ti piace come idea?» La voce di Adam mi risuona nelle orecchie da circa mezz'ora, senza però che io riesca a capirne una sola parola.

Non lo sto ascoltando perché la mia mente è ancora tremendamente occupata da Jason, da ciò che è successo ieri sera e dal modo in cui, per la millesima volta, mi sono mostrata semplicemente una debole. Ho ceduto al suo profumo, al suo tocco, alla sua vicinanza, dimostrando a me stessa e a lui che il mio autocontrollo si azzera completamente quando mi è vicino. Nonostante però da un lato mi pento di essere crollata, dall'altro ne sono soddisfatta, appagata. Quello che le sue dita dentro di me, la sua lingua sul mio collo e la sua erezione strusciata sui miei fianchi mi hanno fatto provare è stato indescrivibile. Mi sono sentita travolta da un turbinio di emozioni. Emozioni in cui prevalevano la passione e il desiderio, ma alcontempo la nostalgia. Nostalgia perché rammento i momenti in cui univavamo le nostre anime in una sola; i nostri problemi si annullavano; io diventavo sua e lui diventava mio. Questa notte, però, ciò non è successo. Non siamo andati a letto insieme perché la realtà mi è ripiombata addosso sotto forma di una telefonata. Mi ha ricordato che è tutto finito, che Jason sta andando avanti e che, forse, dovrei farlo anche io. La chiamata di Isabela mi ha spiazzata, completamente, e, più ci penso, più mi autoconvinco di non essere stata assolutamente nulla per Jason in questi mesi. Pensavo che mi amasse, che fossi l'unica a provocargli certe emozioni, ma evidentemente mi sbagliavo. Ho sbagliato a pensarlo perché, nonostante io non sappia cosa ci sia tra lui e quella ragazza, lui non sta provando a riavermi. Cerca solo di stuzzicarmi, di farmi cedere a lui, per poi andare via, lasciandomi sola tra le mie insicurezze e le mie lacrime. Per tale motivo sento l'assoluta necessità di ripagarlo con la stessa moneta e di fargli sentire, anche se per poco, quello che provo io ogni volta che gioca con me.

Cerco comunque di scacciare questi pensieri dalla testa e dare, una buona volta, ascolto ad Adam.

Siamo seduti sul letto della mia camera in questo momento. Abbiamo appena finito di studiare e mi sta parlando di non so quale evento organizzato dalla scuola.

«No, scusa... Puoi ripetere?» Incrocio le gambe sotto di me e tento di concedergli la mia più totale attenzione.

Lui emette un sospiro, scuotendo il capo con un lieve sorriso. Non sembra disturbato, e questo mi fa piacere. Credo sappia cosa sto affrontando in questo periodo, e proprio per questo cerca di non biasimarmi se talvolta la mia mente vola tra le braccia del castano che mi fa perdere la testa.

«A Ottobre degli studenti hanno organizzato, con il permesso del preside, una gara.»

Aggrotto le sopracciglia e domando: «Una gara di cosa?»

«Moto. Sarà una gara di beneficenza. I soldi raccolti saranno poi donati a un'organizzazione apposita. Sapevo che ti piacevano le moto, quindi te ne ho parlato. Che ne pensi?»

Cosa ne penso? Ne sono letteralmente estasiata!

Sul mio volto si stampa un sorriso da ebete, mentre le mie pupille si dilatano come se fossi una bambina alla vista del suo giocattolo preferito. Il cuore inizia a battermi a mille, poiché per tutta la vita ho desiderato partecipare a una gara di queste. Ho imparato a guidare una moto a quindici anni e da lì l'ho sempre desiderata. Ho sempre voluto avere una moto tutta mia, partecipare a gare di velocità, durante le quali le uniche emozioni che avrei provato sarebbero state l'adrenalina e la voglia di correre, correre e ancora correre. Sfidare il vento, la velocità, diventare un tutt'uno con l'aria e...

Ma un momento.

Io non ho una moto.

Il mio sorriso si spegne istantaneamente nel momento in cui appuro questo piccolo ma fondamentale dettaglio. Improvvisamente il mio desiderio di partecipare e l'entusiasmo che mi faceva sembrare una folle poco prima cedono il posto alla delusione e alla rassegnazione.

(Im)possibleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora