Chapter thirty-two

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Una settimana.

Una settimana dal giorno della partita.

Dal giorno in cui ho ammesso a me stessa, una volta per tutte, che fra me e Jason era finita. Che non sarebbe cambiato nulla e che lui sarebbe sicuramente andato avanti con altre ragazze.

Ma, soprattutto, una settimana dal giorno in cui ho provato a farmi del male.

Ricordo ancora alla perfezione quel momento. Rammento il mio cuore, spezzato a tal punto da cercare un qualsiasi modo per cicatrizzare la ferita che lo avvolge interamente. Rammento i miei occhi, invasi dalla paura di non riuscire più a respirare. Rammento le mie mani, che tremavano come se fossero appena state soggette a un elettroshock. E, infine, rammento la mia gola, dalla quale non riusciva a passare neanche una piccola porzione di aria, sufficiente a farmi restare cosciente.

Quel momento mi sta perseguitando da giorni. Non riesco a credere di essere arrivata al punto di voler tagliarmi pur di non soffrire più.

Ma che cosa mi è venuto in mente?

Avrei voluto soltanto sotterrarmi nel momento in cui sono arrivata in camera e ho realizzato tutto. Fortunatamente con me c'era Ally che, nonostante mi intimasse di non riservarle parole troppo sdolcinate o scuse di qualsiasi tipo, era sempre disponibile per me durante la notte. Si assicurava che non mi sentissi male e che non fossi tormentata da tutto ciò che era successo.

Mi ha persino preparato una camomilla, ma subito dopo, non potendo affatto permettere che ai miei occhi apparisse talmente dolce, l'ha bevuta tutta lei per poi spuntarla l'attimo dopo.

Ancora non mi capacito del fatto che odi la camomilla...

Scuoto il capo, con un umore improvvisamente migliorato, e mi alzo dalla sedia alla fine della lezione.

Era l'ultima della giornata perciò, come di consuetudine, esco dall'aula per dirigermi dagli altri in giardino.

Percorro l'intero corridoio del secondo piano, ormai deserto a causa della velocità degli studenti di scappare via dalle classi il prima possibile.

Proprio quando, però, svolto l'angolo, ecco che in una zona appartata, con la schiena contro il muro, c'è Jason.

Faccio un passo indietro.

Aggrotto inizialmente le sopracciglia, senza capire subito cosa stia facendo, fino a quando però non lo scruto meglio...

La sua testa è stretta fra le mani. La mascella è serrata. Il busto si contorce come se fosse stato appena colpito all'addome. Gli occhi sono chiusi in una linea dura. Le labbra liberano una serie di imprecazioni sussurrate.

Schiudo le labbra nel momento in cui realizzo...

Sta avendo una crisi.

La mia espressione diventa parecchio preoccupata, dati i miei occhi improvvisamente attenti a ogni suo movimento e le gambe che fremono per muoversi verso di lui.

«Porca puttana, basta! Basta, cazzo!» sgancia un pugno verso il muro.

Il sangue inizia a gocciolare con fluidità dalle nocche, screpolate e violacee. Il suo sguardo ricade proprio lì. Le osserva per una manciata di secondi, per poi ripetere il gesto.

E ancora.

Ancora.

E ancora un'altra volta.

Sgrano gli occhi.

Ma è impazzito?

«Così ti romperai una mano, che stai facendo?!» le parole escono dalla mia bocca prima ancora che possa controllarle.

(Im)possibleWhere stories live. Discover now