Capitolo II

79 9 0
                                    


Prendo qualcosa da mangiare dalla cucina, mentre Rob addenta una mela.

«Dovresti prendere un po' di sole, ragazzina. Stai ammuffendo qua sotto...»

«Da quando la mia carnagione è affar tuo?» replico con un finto sorriso, mentre preparo un vassoio.

Il rifugio antiatomico in cui viviamo, sotto la casa di Madame Cecil, serviva tutto il quartiere. L'aria è stantia e il puzzo inconfondibile è diventato quello di casa.

«Quando entri in una stanza di soppiatto mi prende un colpo!» scherza Rob, gettando il torsolo nel cestino.

«Sarai bello tu!»

«Io sono irresistibile. Comunque non te la prendere, esistono anche altre cellule dove la presenza fisica non è fondamentale. Ti accetteranno per quella che sei» continua a sproloquiare Rob, mentre me ne vado dalla cucina. Non rispondo nemmeno alla provocazione.

Non siamo gli unici a resistere. Esistono altre cellule a Nuova Londra mascherate dietro a un'esistenza normale. Uomini e donne che conducono le loro vite nell'anonimato, prendendo gli ordini da un Director, così come noi abbiamo Max. Ogni cellula ha un capo e tutte fanno riferimento al Vertice, la cui identità è sconosciuta. Gli stessi Director non si conoscono tra loro. In questo modo, nel caso venisse catturato qualcuno, l'organizzazione non verrebbe completamente smantellata.

Il vero problema è se scoprissero il Vertice, l'unico ad avere il controllo sull'intera rete di cellule. A cascata riuscirebbero a trovare tutti gli altri, i Director, e tutti noi. Perché la Guardia Segreta riesce sempre a farti parlare prima di ammazzarti. Noi Reborn abbiamo la regola delle ventiquattro ore. Se qualcuno viene catturato, entro un giorno dobbiamo trovare un modo per disperderci.

Mi avvio verso la stanza di Gary per portargli la cena. Un'altra difficoltà è il cibo: il Governo raziona i viveri ai cittadini, e noi, essendo morti, non potremmo avere nulla da mangiare. Madame Cecil dichiara di avere più ragazze di quante ce ne siano veramente e quei pasti giornalieri arrivano a noi.

Il resto che ci serve per sopravvivere, lo rubiamo.

«Permesso» annuncio, bussando alla porta.

Un rauco sì mi invita a entrare. Nella camera di Gary è accumulato di tutto. Cose che il Governo ritiene oltraggiose e destinate alla distruzione: libri, fotografie, pubblicità, oggetti provenienti da un'epoca da dimenticare.

«Bambolina, vieni e raccontami tutto» mi sollecita Gary.
È un uomo di media statura, quasi completamente calvo a eccezione di qualche capello bianco. Gli occhi chiari sormontano un grosso naso, contornato da macchie. Gary adora sentirsi raccontare le missioni di noi Reborn.

Lo aggiorno su Moyer e il nuovo spettacolo di Martin Speed, soffermandomi sul momento in cui ho rischiato di essere scoperta a frugare i documenti di St. Catherine.

«Siete fortunati» commenta Gary. «Quando ero giovane, prima che tutto fosse distrutto, le macchine avevano invaso il mondo. Moyer avrebbe controllato su internet il sito di Madame Cecil, prima di scegliere la giusta accompagnatrice. Avrebbero preso le tue impronte all'ingresso dell'Hammersmith e saresti stata scoperta immediatamente. Non saresti riuscita a scappare molto lontano, le telecamere di sorveglianza ti avrebbero individuata, e le auto e gli elicotteri della polizia raggiunta prima ancora di poter dire "ah"!»

Cerco di sforzarmi a immaginare il suo mondo, ma più di tanto non ci riesco. «Già. Probabilmente però non ci sarebbe stato nemmeno bisogno dei Reborn.»
Gary ride.

«Moyer possiede una raccolta di lettere di John Keats...»

«Davvero?» esclama stupito. «Pensavo fosse il solito invasato, capace di leggere solo gli ordini di Richardson.»

RebornWhere stories live. Discover now