Nathan.

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Settimo

<Dodici anni fa>

― ...che cosa ritieni giusto?

Osservo l'espressione provata di Isabella, stupito di averla sentita aprir bocca. ― Come?

Lei, in risposta, mi volta le spalle, sbuffando. ― Non fai che peggiorare la situazione! Sono passati dieci giorni da quando mi hai fatto imbestialire, dieci giorni in cui ho cercato di essere gentile con te! Ora, potresti sforzarti anche tu? ― sbotta, incrociando le braccia al petto, le guance in fiamme per la sfuriata improvvisa.

― Stavo pensando ad altro ― mi giustifico per paura che decida d'ignorarmi ancora. Stavo pensando a Zeke avrei voluto avvisarla, a quanto quest'amicizia mi faccia sentire Qualcuno. Mi cerca ovunque, viene a farmi visita in ogni istante possibile, sta creando un sistema di dipendenza continua. Ci vediamo spesso – Isabella non fa che ripetermi quanto la circostanza infastidisca Lucinda, che è innamorata persa di me – e ogni volta, in un gesto fugace della mano differente, Zachary esprime tutto ciò che devo sapere riguardo il suo rapporto col fratello. Non sono l'unico libro aperto: ho imparato quale frase aggiungere al momento opportuno. Quando arriva davanti all'aula del corso, col capo chino, alzando un dito per salutarmi, significa che Jonas gli ha riservato occhiate sprezzanti. Se apre l'intero palmo, invece, che il mostro – lo ha soprannominato così, tra una smorfia triste e l'altra – ha scelto di fingersi gravemente malato appena la madre era impossibilitata a portarlo in macchina. Se solleva in aria le braccia, non è cambiato – chiacchiera interessato soltanto con Haric –, né gli sembra pesare la mancanza del minore.

― ...per telefonare...

Zeke non vuole dimostrarmi la sua sofferenza per rendersi grande, forzuto, per farsi valere ai miei occhi. Ha paura che lo consideri un codardo o un poco di buono. Non vuole perdere la mia fiducia e pensa che, rivelando le sue debolezze, questo possa accadere. Le gesta, i discorsi, le speranze mi hanno fatto scoprire, pian piano, una personalità talmente determinata da rabbrividire. Zeke è un inclassificabile zuccone. Desidererei consolarlo, giusto per sentirmi utile a qualcosa, ma non so come si fa. Ho mai consolato un ragazzo, rischiando di non aggravare la sua condizione? Afferma che so essere bugiardo, che so prendermi gioco della gente e indossare quella "maschera" inappropriata citata da tutti, eppure, riuscirei a giurarlo, lui sa esserlo molto più di me. È allegro, pieno d'energia, è un continuo: "Okay" anche quando non ci sono occasioni che gli permettano di restare allegro, pieno d'energia, di continuare a ripetere: "Okay." Tranne quelle sfruttate per meravigliare il sottoscritto, ha avuto il coraggio di proferire ieri. Ho replicato: ― Non esagerare ―, anche se, me ne rendo conto, sto vivendo di lui. Dei suoi insegnamenti. È analogo a un giradischi inceppato: ripete la canzone evitandone la strofa finale. Ma gli sto causando un tormento insostenibile. Perché in questi ultimi giorni ha compreso che scegliendo me non potrà più riavere indietro Jonas e che, di conseguenza, quel: "Okay" non durerà a lungo.

― ...insomma, è infantile da parte sua, non trovi?

Perché in questi ultimi giorni è diventato difficile sistemare la maschera troppo piccola per i suoi zigomi. Gli sta stretta, e le conseguenze non sono molte: o comprerà costumi più grandi, mentendo per sempre, o si stuferà del silenzio di Jonas e ritornerà da lui, proteggendolo. Preferendolo.

― Nate!

A quel punto sarò io la nota negativa della sua esistenza, il ragazzo che non avrebbe dovuto incontrare, quello che ha tentato d'allontanarlo dalla strada illuminata. Lo stronzo che sognava di ferirlo. E Jonas, vittima della mia aggressione, sarà il poveretto da difendere. Ammirare.

― Ascoltami! ― grida Isabella davanti al mio viso affollato di riflessioni, in preda a un istante d'ira nel quale il suo corpo stabilisce che sia meglio risvegliarmi dalla trance al posto di menzionare il racconto a un sordo.

― Sì? ― domando, accennando una risata, ben consapevole del malinteso.

― "Sì" un corno! Devi smetterla di non considerarmi! Torno a chiederti scusa d'aver tenuto il muso e questo è il tuo ringraziamento? ― Serra i pugni, studiandomi da cima a fondo. ― Vergognati!

Isabella ha capito che Zeke non ce l'ha con me: spera, in breve, che "l'amato della sala d'attesa" si dimentichi del fraintendimento insieme al fratello. Sta aspettando Jonas, per questo evita Zachary nei corridoi e mi guarda con sospetto mentre parlo ai nostri genitori di come sta procedendo la scuola. ― Mi dis... ― mi arresto quando le sue palpebre si sgranano nell'osservare un evento dietro le mie spalle. Ragiono rapidamente sulle conclusioni: se è disposta a ignorare i miei pretesti, lei, così piena di sé, ciò che si sta avvicinando è più pazzesco e pericoloso di qualsiasi aspettativa. O Zeke mi sta correndo incontro, pronto a saltarmi addosso, o nostro padre è entrato in corridoio con un fucile da caccia stretto fra le dita, o Tim e i suoi scagnozzi hanno scrocchiato le nocche, carichi per l'attacco e sicuri di riuscire a portarlo a termine. Una sensazione mi suggerisce che non sarà Zeke ad attendermi e lui è l'unica cosa che desidero.

― Ciao ― saluta una voce calda che fatico a riconoscere.

Mia sorella si è portata un palmo alle labbra e balbetta parole che non riesco a distinguere. Le mie orecchie si ovattano, alla comprensione di chi mi sta davanti. Di chi mi ha appena dedicato attenzione. ― C-credevo di non r-riv... ― Isabella è arrossita.

Lo guardo negli occhi, decidendo di non sottomettermi alla sua perfezione. Lo guardo meglio, in faccia, scorgendo con sorpresa il suo sorriso. Il sorriso che mi sta rivolgendo. ― Come state? ― chiede in tono sinceramente apprensivo.

― Benissimo! ― si rianima di colpo lei, onorata della sua presenza. ― Stavamo giusto andando a smangiucchiare alle macchinette, ti va di seguirci?

Non stavamo andando proprio da nessuna parte. Isa ha finito di sgridare la mia disattenzione da un secondo e ora ha il coraggio di dichiarare che è tutto sotto controllo. Immagino lo esprima per bella figura, o, in caso contrario, se ne vergognerebbe. Forse l'ha bisbigliato perché, mettendomi in risalto, si sistemeranno gli avvenimenti, si riordinerà il futuro. Come se lui debba per forza appartenere al nostro domani. ― Certo ― solleva le sopracciglia, allietato dalla proposta. Lo guardo un'altra volta, senza rispondere. Non so esattamente in cosa confidare nella sua figura, se il modo spensierato con cui si è infiltrato nella conversazione o le sue ginocchia tremolanti.

― Posso? ― mi chiede e non pare scherzare, la voce si carica d'adrenalina. È in ansia per la mia indifferenza, il mio diniego, i miei giudizi?

Isabella mi osserva, inquieta, e si sforza di tacere per non compromettere la mia reazione. Non vuole obbligarmi, probabilmente perché ha inteso che non è necessario un consenso per permetterle di frequentarlo. Ciò che auspica è che non sia contro la sua scelta di smangiucchiare alle macchinette con lui, che la appoggi, magari fingendomi un personaggio amichevole. E con quale coraggio potrei ostacolarla? Ripenso al tormento di Zeke per un Jonas che non ama la mia immagine. Sarei disposto ad affliggerla in egual maniera? Sto sognando, non esiste altra spiegazione. ― Sei il benvenuto ― ribatto. ― Hai mai assaggiato la cioccolata in polvere?

[Angolo playlist: Drive, Miley Cyrus.]

Anima d'acciaioTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon