Nathan.

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Quarto

<Dodici anni fa>

La sensazione non prende esempio da Zeke e Jonas, la sensazione non sparisce. Trascorro le ore successive di fianco a mia sorella, da suo vicino di banco, a escogitare motivazioni sufficienti per scusare il mio comportamento da irresponsabile. Isabella è stizzita e lo intuisco dal suo continuo ticchettare, con sempre più foga, il tappo della penna sul quaderno. Non riesco a concentrarmi sulla lezione e quando il professore mi pone qualche domanda, faccio scena muta. Veniamo disposti in cerchio ed eseguiamo un gioco chiamato: "La pallina gialla è la tua migliore amica!", titolo stupido per spiegare un gioco altrettanto inutile. L'insegnante tira una pallina gialla al centro e chi l'acciuffa ha l'obbligo di presentarsi ai propri compagni, inserendo nella descrizione passioni, sport e cibi preferiti. Non mi muovo dalla sedia per nessuna delle ventitré volte in cui l'insegnante lancia quella sfera di gomma per aria: non ho intenzione d'intrattenerli con la mia noiosa personalità. Sempre che possa definirsi tale. Isabella non mi vuole rivolgere la parola ed è l'unica amica che ho. Si alza in piedi, lasciando trapelare il suo animo determinato, e parla di sé come se stesse illustrando la donna più incredibile del mondo. Anche se nessuno può esserlo, ha la capacità di far credere che lei, al contrario, rappresenti i canoni irraggiungibili senza sforzarsi. Anche Lucinda, una ragazzina del circolo "Principesse Disney" di Isa, fa parte del nostro corso e s'impegna a elogiarsi. Il suono della sua risata mi riempie di una serenità rassicurante, anche se gli altri si stanno divertendo a spintonarsi, scherzano, sorridono, anche se gli altri sono felici e io no.

― Non hai niente da raccontare, Nathan? ― Le mie pupille scrutano pensierose quelle dell'insegnante di aritmetica. Lucinda esclama: ― Sì, sì! Manchi solo tu!

Mi tiro il colletto della divisa in impaccio. Il silenzio avvolge l'aula e ventisette paia d'occhi mi scrutano dubbiosi. Sverrò di sicuro. Isabella bisbiglia: ― Adesso ti è sparita la lingua? ― e la scruto di sbieco, impallidendo. È furiosa.

― No, non ho nulla d'interessante da raccontare, signor Percies.

― Tutti hanno qualcosa d'interessante ― ribatte, facendosi coinvolgere dalla teoria filosofica che sta per divulgare. ― Ognuno possiede uno scopo preciso nella vita. Anche tu, Nathan, ne possiedi uno. Queste presentazioni servono proprio per scoprire chi siamo, perché è soltanto studiando noi stessi che lo scoveremo. Quindi, perché non ci spieghi chi sei?

Domanda difficile, penso. ― Sono il ragazzo che stamattina ha esagerato, e che desidererebbe il perdono di sua sorella. Sono il ragazzo che legge un libro per vivere e non per passatempo. Quello che sogna pazzesche cose improbabili, irrealizzabili, quello che sogna, sì, ma un universo che non potrebbe esistere. Quello che, nonostante la sua bizzarra fantasia, ne rimane sempre deluso. Ecco, sono l'alternativa, quella improbabile, l'esperimento della società. Potrei risultare positivo o negativo, suppongo che lo scopo di cui lei parla sia capire cosa risulterò alla fine del percorso. Come l'evoluzione avrà avuto termine.

Il mutismo nella stanza diventa impressionante e mi schiaccia contro la sedia. ― Il mio perdono? ― s'interroga retoricamente Isabella. ― È facile pentirsi quando ormai il peggio si è commesso ― mormora.

La ignoro, concentrandomi sul signor Percies che m'ispeziona, incuriosito d'aver trovato qualcuno con cui argomentare le sue riflessioni, così giovane e inesperto. ― Un'evoluzione, dici? ― Asserisco. L'evoluzione è la base del successo. ― Parlarne non è già un... definire il risultato positivamente? ― mi domanda, inarcando le folte sopracciglia come a cogliermi in flagrante.

Gli sfuggo in tempo. ― L'evoluzione è lenta, progressiva. Tuttavia terminerà prima o poi, e se dovrò assistere alla fine credo che il modo in cui deciderà di concludersi – e quale certezza c'è che sarà positivo? – farà dipendere il mio scopo. Essere scartato o preso in considerazione? Non ho come ambizione quella di diventare un cantante, o un nuotatore delle Olimpiadi. Ho come ambizione scoprire cosa sono in grado di fare e...

― Piccolo Einstein, perché non tratti di argomenti più stimolanti? Qui non siamo a una conferenza stampa, non abbiamo intenzione di stare a sentire le statistiche sulla vita strafica che ti attenderà. ― Un ragazzino ciccione dall'aria burbera mi minaccia apertamente, facendomi tacere in un attimo. Brutale. ― Continua pure a sperarci, così quando non ti accadrà nulla di buono sarà ancora più umiliante ― ride, col seguace accanto. ― Prenoto un posto in prima fila con telecamera inclusa per filmare il tuo fallimento.

Non trovo niente di spassoso in quello che ha esposto. Le sue iridi chiare, infossate nel grasso, lo rendono disgustoso. In quest'istante ho un impulso irrefrenabile di spedirlo nella classe di Jonas a furia di sberle. Non sono mai stato un bambino violento, ma oggi non è una giornata particolarmente semplice e il mio limite di sopportazione sta raggiungendo l'apice. ― Rispondo al professore. Non parlo a vanvera ― gli faccio notare, seccato.

Mi fulmina con uno sguardo glaciale e sembra volersi alzare dalla sedia per darmene di santa ragione. ― Be', sarà meglio che non rispondi a me, la prossima volta, invece ― sibila.

Isabella lo osserva intimorita e in seguito fissa me, balbettando: ― Nate, per carità, non immischiarti in queste faccende. ― La maggior parte degli alunni di fianco si dimostra dalla sua parte, ridacchiando animati, gli altri pochi individui rimangono muti per paura che Timoty-senza-h, mi pare di ricordare dall'appello, vada contro anche alla loro immagine pulita. "Oggi m'impegnerò a passare inosservato" era stato il consiglio indiretto di Zeke. Chissà come una bellezza del genere possa riuscirci.

― Tim, vorresti condividere con noi cos'hai appena bisbigliato a Nathan? ― lo interroga il maestro e lui scrolla il capo.

― Penso di preferire una lezione di matematica su argomenti impossibili che una chiacchierata con un soggetto simile ― e m'indica, ghignando.

― Se si tratta di matematica si parla di razionalità, nulla è impossibile allora ― lo correggo, irritato dalla sua ignoranza e troppo orgoglioso per tirarmi indietro.

Isabella stringe le palpebre, rimproverandomi con una semplice frase: ― Piantala, ti prego, o quello ti fa fuori. ― Arrossisco mentre il professore sgrida Tim d'esser stato crudele nei miei confronti e, di conseguenza, che uno dei suoi scopi sarà imparare a portare pazienza, rispetto, con tutti i nuovi compagni. Tim si mostra dispiaciuto, scusandosi più volte, però scorgo un sorriso ambiguo sulle sue labbra. Se il bullo ghignoso ha deciso di puntare me, lasciando in pace le persone a cui tengo, come gli sfuggirò? Non penso ci sia qualcuno disposto a sacrificarsi per un undicenne di nome Nathan Traynor, né Zeke mi ha fornito dei consigli validi. Sono abituato a non essere compreso, ma va bene così. Evidentemente dovranno passare ancora parecchi anni, perché questa abitudine non mi addolori più di tanto, altri anni perché arrivi la persona che con una rapida occhiata possa individuare il mare di solitudine che inglobo.

La sto aspettando da più tempo di quel che immagina.

[Angolo playlist: Forbidden, The Irrepressibles.]

Anima d'acciaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora