cattivo

105 9 3
                                    

Quando si sfilò la giacca, ebbe quasi paura che le goccie di pioggia appollaiate sulla superficie dell'indumento potessero precipitare al suolo sporcandolo. 

"Vieni pure in camera, eccoti un asciugamano." disse cortese Jimin, porgendogli un panno per asciugarsi. Quell'inverno pareva volersi rivelare particolarmente uggioso.

Dopo essersi asciugato, Yoongi, seguì l'altro nella sua stanza. Sempre lo stesso odore di vaniglia inebriava la sue narici, facendolo sentire quasi a casa.

"Vorrei... umh... io vorrei parlarti di una cosa. Nello specifico, in realtà, di una persona... di una ragazza.." farfugliò il menta, come fosse ancora indeciso sull'esporsi o meno.

Jimin si limitò ad annuire, osservando l'altro. Ma questo non disse nulla, semplicemente porse al platino il suo quaderno di disegno. "Aprilo, c'è solo un disegno ricorrente. " spiegò Yoongi.

Ed effettivamente era vero: pagina dopo pagina, si presentava sempre lo stesso volto. A volte con più dettagli, altre volte solo abbozzato, e in tutti aveva la stessa espressione.

"Lei è mia sorella." bisbigliò il menta, facendo girare di scatto la testa dell'altro. "Si, ho una sorella, avevo, in realtà. Non mi è permesso parlarne perché rovinerebbe l'immagine della mia famiglia." spiegò.

"Nije si è tolta la vita perché era stanca, esattamente come lo sono io. Ma lei era sola, e io ero troppo piccolo per capire che cosa significassero quei segni sulle braccia.

Nonostante il suo dolore, lei era quasi sempre stata presente per me. Cercava di non far mai trasparire ciò che sentiva, nascondeva dietro a un dito il suo dolore.

E quel dito è bastato per farla soccombere. Per portarla a pensare che da morta sarebbe stato tutto più semplice, che quella che conduceva ormai non era più vita.

E io lo so, Jimin, che non potevo farci nulla. Che avevo solo undici anni, fidati, io lo so. Ma non posso fare a meno di pensare che avrei dovuto capire cosa stava succedendo."

In quelle parole si leggeva il rancore del ragazzo, e il dolore immenso che si portava avanti. Eppure non versò neppure una lacrima, no, del resto piangere sul passato non serve.

"Io...." sussurrò Jimin, esterrefatto. Non immaginava neppure quale dolore l'altro si dovesse portare dietro ogni giorno. Così semplicemente lo abbracciò, sperando di trasmettergli affetto.

"Era il 31 marzo di sei anni fa, ma ricordo come fosse ieri cosa accadde: entrai io, per primo, nella sua stanza. Ero lì per chiederle di aiutarmi in matematica, dato che lei era brava.

La prima cosa che vidi quando varcai la porta, era il sangue, tutto il suo sangue, su di lei e sul pavimento. Ricordo ancora l'odore aspro che emanava, trafiggente.

Ricordo che urlai, urlai il suo nome e poi quello di mia madre. Non capivo cosa le fosse successo, me ne stavo fermo sull'uscio e urlavo. Con un nodo alla gola, e le gambe che non rispondevano.

Avrei dovuto aiutarla, magari si sarebbe salvata, magari avrei potuto fare la differenza. Ma non l'ho fatto, e ora lei non c'è più da sei anni.

Io.. io non sono cattivo per natura. Ne ho solo passate tante, Jimin. Per questo non mi capacito di come tu possa amarmi, per questo penso di meritare di restare solo..."

diciassette occhiatacce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora