capitolo 49

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Merda, merda, merda. Era quella l'unica parola che mi stavo ripetendo mentalmente da almeno un quarto d'ora.

Con il suo sacrificio, Iman era riuscita nel suo intento perché da quando ero ripartita non avevo più sentito il motore di auto che mi inseguivano o che cercavano di spararmi, con quel pensiero in meno un nuovo problema però si aggiunse ai tanti già presenti. Mancava poco all'entrata per Melbourne, secondo i pochi cartelli arrugginiti trovati lungo la strada, ma mancava ancora meno per la fine dell'ossigeno a nostra disposizione. La bombola si stava avvicinando inesorabilmente alla fine, cosa non molto positiva contando che era l'ultima.

Avendola condivisa inizialmente, quella di Kim si esaurì a qualche kilometro di distanza dall'esplosione. Non fidandomi del mio equilibrio fui costretta a fermarmi per collegare la sua mascherina al mio ossigeno, anch'esso molto vicino alla fine, perdendo più tempo di quanto avessi voluto.

Kim continuava a rimanere priva di sensi obbligandomi a trattenerla costantemente per non farla scivolare, il lato positivo era che avendola contro lo sterno mi permetteva di controllare costantemente il suo respiro che, seppur in quel momento era debole, mi rassicurava parecchio, non avevo di idea di cos'avrei fatto nel caso contrario. Volendo evitare che pure quei piccoli respiri si interrompessero aggiunsi alle cose da fare contemporaneamente quella di rimanere in apnea fin che potevo cercando di respirare solo quando era necessario e lasciare il resto dell'ossigeno a lei.

Avevo appena perso un'amica non ero disposta a perderne un'altra, purtroppo però, se non avessi raggiunto presto la città non sarebbe stata l'unica a rimetterci.

Ammetto che se non mi fossi persa un paio di volte lungo il tragitto probabilmente saremmo arrivate da tempo e con ancora dell'ossigeno a disposizione ma non conoscendo il posto e ritrovandomi in un luogo prevalentemente desertico, dove non c'era traccia di un qualsiasi punto di riferimento a parte sassi, sabbia e piante morte, era divenuto difficile orientarmi e non poche volte fui costretta a fare retromarcia e tornare indietro.

Poi finalmente riconobbi la strada che ci aveva portato all'impianto, aiutata anche da recenti segni di pneumatici nel terreno, e potei finalmente accelerare in sicurezza.

Superai un'infinità di alberi bruciati e dune desertiche in attesa di scorgere il passaggio che solo un paio di giorni prima Iman ci aveva aperto, senza sapere che stava facendo entrare la causa della sua prematura morte. Scacciai quel pensiero alla velocità con cui era arrivato, schivando per un soffio un tronco caduto. Non era il momento per distrarsi, ci sarebbe stato tempo per piangere e incolparsi.

<Merda, merda.> gridai quando un pezzo di strada si fece improvvisamente ghiaioso. Strinsi la presa su Kim mentre usavo ogni forza rimasta in corpo per tenere dritta la moto nonostante i piccoli frammenti che riempivano il sentiero facendola sbandare come se ci fosse un ubriaco alla guida.

Presto la benzina iniziò a fare a gara con l'ossigeno a chi finiva prima verso un traguardo che in ogni caso comprendeva la mia dipartita. Da quando eravamo ripartite avevo tenuto un'andatura veloce ma costante, cercando di evitare troppe accelerazioni improvvise e sprecare benzina. Ero abbastanza ignorante in fatto di moto quindi non avevo idea se effettivamente servisse a qualcosa fare in questo modo ma mio padre diceva sempre che prevenire era meglio che curare.

Mi portai per l'ennesima volta una mano sul volto per schiarirmi la vista, continuavo ad asciugarmi le lacrime causate dalla sabbia che si innalzava per il vento, purtroppo le maschere coprivano solo metà del volto lasciando la parte superiore del viso senza alcuna protezione dai granelli malevoli.

Essendo davanti, Kim riusciva involontariamente a coprire gran parte del mio corpo con il suo ben coperto dalle giacche, ma le braccia scoperte rimanevano alla mercè dell'aria fredda al punto che mi sembrava avere due pezzi di ghiaccio al loro posto, con gli arti tremanti rimpiansi la spessa e calda divisa militare.

Quando cominciai a pensare che non saremmo mai arrivate finalmente l'entrata apparve dinanzi a noi come un sogno al punto che mi chiesi se stessi avendo un miraggio. Mancavano pochi metri quando la moto si fermò all'improvviso per la mancanza di carburante, facendomi quasi cadere in avanti.

<Merda.> ripetei, non c'era tempo per esitare. Districai la bombola attaccandola nuovamente alla cintura, manovrai Kim in modo che fosse sulle mie spalle lasciando cadere il veicolo a terra e cominciai a correre verso la cupola. L'adrenalina e il freddo sembravano aver anestetizzato momentaneamente la gamba ferita, unica fortuna che ringraziai.

<Kim non provare a morire.> ansimai <Non dopo la fatica che ho fatto a portarti fin qui.> dissi iniziando a sentire il suo respiro sul collo farsi, se possibile, ancora più rarefatto.

Presi l'ultima boccata d'ossigeno prima di sfilarmi completamente la maschera e lasciare tutto quello rimasto a Kim. E come un deja-vu iniziai a arrancare in avanti.

Trasportare sulle spalle una persona svenuta trattenendo il fiato stava prosciugando le mie forze a una velocità inaudita, sentivo ogni muscolo del corpo bruciare per lo sforzo ed era questione di secondi prima che cedessi.

Raggiunsi, con il cuore che pompava a mille, il vetro trasparente, dopo quelli che parvero secoli. Puntini neri mi danzavano davanti agli occhi, le gambe sembravano di gelatina e le braccia tremavano. Avevo bisogno di ossigeno.

Iniziai a battere contro il vetro pregando che qualcuno mi sentisse, sperando fosse un ribelle invece di un soldato. Stavo rischiando molto, potevano vederci, potevano vederci tutti ma in quel momento l'unica cosa a cui pensavo era che avevo bisogno di respirare. Battei colpi su colpi senza fermarmi quando la mano iniziò a pulsare, la gola mi bruciava terribilmente e tutto il corpo combatteva contro la tentazione di accasciarsi abbandonando qualsiasi sforzo. Caddi a terra in ginocchio, le gambe non più in grado di reggermi.

Cercai a tentoni la maschera che avevo lasciato e che senza rendermene conto avevo perso durante la corsa. Mi sentivo debole e il corpo sulla schiena sembrava improvvisamente più pesante.

La porta nascosta si aprì a pochi centimetri da me e la guardi non riuscendo ad alzarmi, provai ad avvicinarmi ma avevo perso ogni capacità di muovermi. Volevo piangere, avevo la salvezza a qualche passo da me eppure non sarei riuscita a raggiungerla.

<Aurora.> una figura sfocata si avvicinò correndo. Non vedevo il suo volto, la vista sfocata mi impediva di focalizzarlo. Una maschera venne posata sul mio volto, presi un respiro profondo.

<Resta sveglia.> mi disse la persona corsa in nostro soccorso, non sapeva che respirare stava consumando le mie ultime gocce di energia.

<Resta sveglia.> ma io volevo solo dormire, dormire e non pensare più a niente.

spazio autrice

lo so che  breve come capitolo ma non avuto molto tempo per dargli maggiori attenzioni, spero in ogni caso che sia di vostro gradimento.

detto questo buone feste!

SECONDA CHANCE - treasure hunt-Donde viven las historias. Descúbrelo ahora