9. Ora che ti guardo bene

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Il silenzio

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Il silenzio.
Silenzio.
Non mi sono mai accorto della bellezza di questa parola, o semplicemente delle emozioni che suscita all'interno degli animi di ogni uomo a udirlo.
Che poi si può dire? Udire il silenzio.
Ora lo sento e rammento. Rammento di averlo già percepito in passato, molte e molte volte...quando ero con lui, con il mio angelo.

Quando eravamo nella stessa stanza e uno di noi dormiva e sentiva i respiro dell'altro. Quando ci guardavamo per molti istanti, senza avere il coraggio e neppure la voglia di direzionare l'attenzione su altro. L'ho percepito quel silenzio. Quando entrai in biblioteca, quel solare giorno di primavera, caldo come fosse estate. L'ho percepito quando mi ero avvicinato a lui, alle sue labbra e le avevo...sfiorate.
Solo un tocco, mi ero detto, solo uno. Era il silenzio che mi aveva fatto muovere, non solo la voglia di toccarlo.

Ed ora mi trovo di nuovo qui, di fianco a lui, di  fianco al mio Inupi, assaporando con fervore il silenzio che mi è unico compagno in questo momento, mentre ammiro il mio migliore amico, che tale non posso più definire, supino, ferito e dormiente sul divano del suo angusto soggiorno.

Sono in ascolto. Odo il rumore sottile e regolare del suo respiro e in questo istante mi pare di essere già in paradiso, senza averlo neppure mai sfiorato.
In tutti questi momenti accanto a lui non ho mai pensato alla lunga strada che ho fatto per raggiungerlo. A tutti quei pensieri contorti che mi ero creato dentro la mia testa per esporre un fottuto e semplice discorso per chiarire le cose tra noi. A nulla di tutto ciò ho pensato. L'unico mio desiderio in questo momento è vedere la luce ricomparire nelle sue iridi, vederlo sorridermi, prendermi per mano, per una guancia e...

Non ho il tempo per completare qualsiasi pensiero mi fosse venuto in mente che sento Inui, sdraiato sul divano gemere ancora, leggermente.
Ancora col silenzio come unico compagno gli rimbocco la coperta sulle spalle, gli sfioro la fronte con un palmo e per fortuna non la sento calda.
«Inui.» Lo chiamo, cercando di destarlo. Non ho molta intenzione di medicarlo senza il suo consenso, mentre ancora è privo di sensi.
Lui mi risponde dopo un po', solo con un altro gemito.
«Sono io. Sono Koko. Sono qui.»

Le sue labbra si schiudono, quasi come se avesse percepito che ero io quel tale accanto a lui e che non era solo. Io mi avvicino, con il desiderio e l'ardore di toccare di nuovo quelle labbra, ma riesco per un pelo a trattenermi.
Lo accarezzo su una spalla, poi mi alzo a prendere la cassetta del primo soccorso in bagno. So benissimo dove la tiene e so anche che non se ne è disfatto. La usavamo spesso quando tornavamo a casa a medicarci dopo uno scontro tra gang.
Ero quasi abituato a percorrere quella strada, eppure mi sento sopraffare dalla malinconica.

Torno in soggiorno, mi inginocchio e apro la cassetta. Afferro le salviette imbevute di disinfettante e comincio a pulire le sue mani sporche di sangue e terriccio. Faccio lo stesso poi con i suoi piedi gelidi, dopodiché li ripongo sotto la coperta, al caldo. Prendo un altra salvietta e questa volta, dopo aver deglutito un paio di volte mi avvicino al suo viso angelico e con accortezza disinfetto anche le guance, la fronte, il mento, il naso sottile. Lo pulisco dal sangue e dalla terra e il suo volto sembra pian piano riprendere colore. Arrivo alle labbra, in questo momento screpolate e sporche anch'esse, ma vedo che il fazzoletto è ormai troppo usato, così lo getto a terra, quindi allungo il braccio e ne prendo un altro.

Dove il mondo non ci tocca - Koko x InuiOù les histoires vivent. Découvrez maintenant