Radio Friendly Unit Shifter

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Da allora ebbi l'impressione che ne uscì più sclerato di prima. In camera sua, sfondò definitivamente l'armadio, pasticciò col pennarello qualche poster, mise fuoco col DDT ad una piantina della madre, e al parco, sul ponte, riuscì a farsi picchiare ancora. Suonava l'armonica vicino alle cricche trendy saltellando, e si stava distruggendo il fegato. 
Così in un bar, lui ed Hemil litigarono, era una sera del novantasette. Hemil l'afferrò per un braccio di fronte a tutto il gruppo e gli disse che voleva parlargli, gli chiese se poteva seguirlo dentro il bar. Thomas lo guardò con un faccino sbalordito, poi accettò. Entrarono nel locale, noi ci avicinammo tutti per origliare, e li se ne dissero di tutti i colori, a tratti era stata anche buffa quella discussione. 
“Thomas, cresci un pò” gli disse Hemil. “E tu smettila di dirmi come mi devo comportare” ribattè il biondino. Uscirono e cominciarono ad azzuffarsi, il barista e qualche cliente del locale uscirono per separarli. Thomas era un po' ubriaco, tutti i pugni che tirava non avevano efficacia, ad Hemil gliene bastò uno per farlo indietreggiare. Il barista abbracciò il biondino prontamente, altrimenti sarebbe caduto sull'asfalto. 
“Basta bello K.O. Tecnico” disse. Lui gli sorrise con il labbro insanguinato come per ringraziarlo. Hemil gli appoggiò una mano sulla guancia e lo guardò come per dirgli, mi dispiace. Poi andò via. Non si parlarono più per un bel pezzo. 
Litigò anche con Mauro ma, a differenza di Hemil, rimase solo tre giorni senza rivederlo. 
Eravamo in cucina. Thomas cercava birra nel frigo. Mauro entrò e si sedette come se niente fosse. Thomas gli porse una birra e gli disse: “Ciao Pattedda!” Pattedda era il suo soprannome. 
“Vaffanculo Satana!” rispose Mauro. Guardammo una cassetta dei Nirvana alla tv. 
Lui mangiava con un mestolo circa due chili di pasta al sugo fredda. Era un miracolo che non ingrassasse. Dovevate vedere com'era grande quel recipiente, poi si spiaccicò la faccia sopra la pasta, riempendosela tutta di sugo. Un po' di sugo si depositò persino sui suoi capelli. E il rosso sul giallo spiacca molto. Fuori dalla finestra si vedeva il cielo rosso e i rami spogli dell'albero in cortile. Lui prese il telecomando della tele e lo lanciò. Atterrò nel cortile dell'altra casa. Doveva, ogni volta, fare qualche cazzata. Non esisteva il motivo. L'aveva lanciato fuori e poi richiuso la finestra come se fosse la cosa più normale del mondo. Alla madre avrebbe detto che non l'aveva visto. La sua igene personale, sinceramente, peggiorava sempre di più. Aveva un odore di sudore piuttosto forte e le mani tutte sporche, ma quando ci passava la birra io cercavo di prenderla sempre per prima. Volevo avere un po' della sua saliva in bocca. 
La madre uscì per andare in chiesa. In casa rimanemmo solo noi. La grande idea fu di andare a fare un giro con la Fiat Uno rossa del padre. Stavolta c'ero io davanti. La musica all'autoradio era dei Velvet Underground. Eravamo sui centoventi per la strada colma d'alberi e d'ombre. Mauro, dietro, sedeva al centro del sedile con le braccia adagiate sulla spalliera e un ghigno di felicità sul viso. Era il ritratto della serenità, dello spirito libero, spensierato, incosciente, adolescente. La velocità saliva a poco a poco. Senza dire niente. Silenziosa, come sapeva fare lei. Colpevole di vite stroncate. Thomas distolse un attimo lo sguardo, e la curva davanti quasi ci fregò. La prese per metà contromano, ma scatenò solo un modesto sorriso. Poi la follia. Girò l'auto per un campo di margherite. Vidi il sorriso di Mauro diventare più solare. Quei fiori ci volavano sul vetro e poi dentro i finestrini. L'auto sbandava leggermente. Vibrava fortissimo. Pieni di fiori dappertutto, ridendo come pazzi, beccammo in pieno una pozzanghera. 
“Chiudete i finestrini!” urlò Mauro, ma troppo tardi. Tirai il freno a mano provocando un violento testacoda, e restammo a guardarci per ridere ancora una volta. Thomas alzò le braccia esultando tutto sporco di fango in faccia e nei capelli.
“Sì!” urlo Mauro, mentre ci dava una pacca sulla spalla. Ci mettemmo comodi, a fumare una sigaretta, con i piedi sul cruscotto, ma senza esaltare la cavolata appena fatta.  Intraprendemmo solo un discorso spezzato da improvvisi silenzi e rilassamenti. 
Mauro ci raccontò che Lou Reed una volta, in un intervista, disse che i Velvet, all'epoca, volevano creare una musica che sarebbe durata nel tempo. Visto che noi tren'anni dopo la stavamo ascoltando, non era stata un idea così stupida la sua. 

Desirée gli volle presentare una sua amica di quindici anni. Lei si chiamava Giulia ed era sempre stata interessata a Thomas. Aveva assistito alla volta che lo insultarono in piazza. Anzi, fu lei un dì a chiedere a Desirée tutto d'un tratto: 
“Dov'è Thomas?” “Beh, non so. Magari al cimitero” rispose Desirée divertita. “Ma perchè ti interessa?” le chiese poi con un sorriso beffardo. 
“No, niente. Dovevo... è solo curiosità!” replicò Giulia; 
la signora Jr le aveva raccontato che quando era piccolo, lui le rubava le padelle per picchiarci su come su una batteria, e che ad Elena le regalava sempre dei fiori. Era un tipo romantico. Il fioraio infatti lo conosceva molto bene. 
“Ciao Thomas! Oggi cosa ti do?” 
“Dammi dei gigli bianchi!”
Da noi era preso in giro per questo, ma non gli interessava. L'ultima volta che lo vidi insieme ad Elena, erano vicini alla chiesa. Quello fu l'ultimo bacio. 
Elena era sempre stata una cara amica. Mi sarebbe mancata. Purtroppo non si fece più vedere. I rapporti andarono sempre più indebolendosi, per poi svanire del tutto. Neanche più una telefonata. La prima canna la fumai in camera sua. Mi dissero che se non parlavo sarei morta. Ma ovviamente mi prendevano per il culo, e ridevano da perfetti bastardi. Eravamo tutti seduti sul letto, appiccicati. Io all'angioletto. Avrei voluto baciarlo, ma non potevo fare questo ad Elena. Così dovetti ancora una volta resistere. 
Ho una foto in cui appare anche lei. Siamo tutti nel garage di Thomas. Quest'ultimo, in ginocchio con la vecchia Clash in mano, imitava una famosa foto di Kurt Cobain. La professoressa, a scuola, le chiese di salutarglielo. Ed Elena aveva risposto di si, tutta contenta. Allora le cose andavano bene. Chissà poi perchè si erano lasciati. Ormai non ricordo più, ma forse non l'ho mai saputo. Eravamo anche al catechismo insieme. Ricordo quei pomeriggi passati sul piazzale della chiesa, o fra i banchi della Madonna Del Rosario, con Don Angelo che ci faceva le solite prediche. O sennò, tutte le giornate passate nella camera di Thomas, da scalmanati. O all'anfiteatro, con qualcuno che si lanciava dal muretto, e noi tutti sotto, che lo prendevamo. Li mi accorsi, un giorno, che un po' di sole, giusto due raggi, spuntavano anche a Livori, e proprio nel momento in cui era successo, il ragazzino che stava sulle nostre braccia, alte, verso il cielo, era proprio biondino. La prima volta che parlò con Giulia fu al compleanno di lei. Desirée invitò gran parte della nostra cricca e Thomas, apposta per farlo parlare con giulia. 
Lui comunque arrivò in ritardo, perchè Mauro lo portò in in capannone con un piccolo stereo, ad ascoltare, una volta ancora, i Nirvana. Erano accucciati con le spalle al muro e le mani sulle ginocchia. Cominciarono a seguire il ritmo, prima battendo le scarpette per terra, poi battendosi le mani sul petto, muovendo la testa e poi tirando calci alle pareti di lamiera e lanciando mattoni. Erano andati li perchè Mauro gli aveva detto che era divertente come lo spazio vuoto faceva rimbombare il suono. Una signora si affacciò alla finestra. Minacciò di chiamare i carabinieri. Così furono costretti a scappare. 
Giulia ricevette qualche regalo un po' da tutti: Zac, Andrea Carta, Hemil. Desirée si era raccomandata:
“Cerca di farle un relago!” ma Thomas le aveva risposto:
“Ma se non ho soldi! E poi non ci voglio neanche andare!”
“No, invece tu ci vieni!” insistette lei. 
“Ma perchè mi vuole conoscere?” domandò.
“Beh, se non ci arrivi da solo...” concluse Desirée. 
Li incontrai in strada e salii con loro. Ad un tratto Junior si arrampicò su un palo. Staccò un divieto e ci scrisse sopra: Auguri! Io mi immaginai subito cosa gli era saltato in testa. 
“Cazzo! Non lo farai sul serio?!” gli domandò Mauro. 
“Oh! Invece si!” rispose, mentre suonava il campanello. Ad aprire fu proprio Giulia. 
“Ciao!” le disse Thom, con un sorriso affascinante. Giulia, a noi, neanche ci guardò. La sua attenzione era tutta per il piccolo pazzo. 
“Questo è per te!” l'informò Thomas, allungandole il divieto di sosta. “Ah...beh, grazie! È il più carino cartello stradale che abbia mai visto!”
“Oh, a casa ne ho di migliori” aggiunse Thomas. Lei era divertitissima dalla situazione. Infatti si piegò dalla risate. Gli stette appiccicata per tutto il tempo. Lui, a volte, cercava di scrollarsela di dosso. Mentre lei veniva fermata dalle amiche, lui affrettava il passo. Dopo lo ritrovò nel salotto, che parlava con suo padre. Il padre di Giulia era un fan scatenato degli AC/DC, e aveva anche un Gibson diavoletto, come quella di Angus Young. Il biondino non poteva resistere a questo. “Posso provarla?” gli chiese. “Seguimi!” gli rispose lui. 
Così gliela fece indossare, e si accorse che non era un pivello. Iniziò a fare “Jailbrake”. La camera da letto si riempì. Poi partì con “Rock 'n' Roll Ain't Noise Pollution”. E così cominciò a saltellare. La madre di Giulia rideva. 
“È comico questo ragazzino!” disse il padre. Cercava di imitare Angus, qui e la per là stanza.
“Ha il pallino di suonare!” spiegò Desirée. Tutti cominciarono a seguire battendo le mani. “Ah, che bello!” pensai. 
Dovevate vedere l'espressione di Giulia. Non si spiega a parole. Come se volesse saltargli addosso. Dopo Thomas si nascose con Zac dentro la vasca da bagno. Si coprirono usando un piumone, e sbirciarono tutte le amiche di Desirée che andavano a urinare, a specchiarsi, etc. idea stupida ma divertente. Finirono insieme, loro due, e io trovai in Giulia un altra Elena. Ricominciò tutto. A fare cavolate di pomeriggio, da Thomas. 

nell'ultimo periodo del novantasette, per lui la maggior parte degli artisti italiani riguardanti la musica leggera, erano merda. Pestava i cd della madre e ci pisciava sopra. Passava il tempo a prendere a calci una lavatrice vicino a casa sua. L'ho visto anche buttarsi dentro il cassonetto. Venne sospeso per aver girato in mutande per l'andito della scuola agraria. Sua madre lo mandò da uno psicologo. Sua zia un giorno gli chiese perchè non andava a ballare, come tutti gli altri. Lui la mandò a fanculo per direttissima, poi mandò a fanculo anche sua madre, visto che l'aveva rimproverato. Mi raccontò che si era masturbato davanti a Giulia e chè l'aveva schizzata. 
Una volta suonai il citofono, ma non funzionava. All'epoca era rotto. Salii le scale e guardai dalla finestra. Guardava un film insieme ai suoi. Il padre e la madre stavano seduti sulle poltrone. Lui era seduto sul pavimento con le gambe incrociate. Attirai la sua attenzione e lo feci uscire. I suoi quansi dormivano. Andammo nel boschetto più giù di casa sua, poi andammo al fiume e ci facemmo il bagno. Mi spingeva sott'acqua e mi schizzava. Io gli facevo il solletico ai piedini e lui si dimenava moltissimo. Corse a prendere la chitarra classica e la lanciò dentro l'acqua. Faceva tutto quello che gli passava per la mente. E poi beveva un sacco d'acqua che lo faceva tossire. Io ero felice di dargli colpetti nelle spalle. 
Si mise a suonare sul salice piangente su cui eravamo saliti tante volte. Lontano, in mezzo alle tante folte chiome verdi, si vedeva il ponte. Io, su un altro ramo, stavo sdraiata con le mani alla nuca. Molti bambini venivano a fare il bagno li, ma non verso sera. In tasca aveva qualche testo rovinato dall'acqua. In mezzo alle armonie e ai suoni della natura li leggevo nella mia mente:
“Posso essere tutto per tutti o niente per nessuno, come niente per tutti e tutto per nessuno. Posso essere tutto e niente solo per me stesso”. 
“Un altra tragica morte della mia adolescenza. Il cimitero è pieno di miei amici. Io sono ancora qui. Voglio continuare a respirare perchè la morte mi fa una paura fottuta. Quelli troppo bravi muoiono. Quelli troppo bastardi a volte muoiono. Devo trovare una specie di equilibrio. Oggi pregherò Dio e domani farò qualcosa di brutto. Così forse non mi ucciderà”.
Mi piacevano. Erano contradditori, sinceri, ingenui e innocenti. Scriveva di gente morta. Forse gli dava fastidio. 
E poi: “Rispondo Niente”. Un pezzo dedicato a Paolo Raimondi, un suo amico d'infanzia morto di leucemia. 
“Cosa c'è che non va? Niente, rispose sul letto di morte, con gli occhi lucidi. Al suono dell'organo vidi la bara andare via. Molti non la seguirono, per loro non poteva finire lì. Si strinsero in cerchio, come facevano a scuola, attorno a rospi o sogni. In queste poche righe vi sono le parole dette e non dette su un amico di sempre, sul suo coraggio di vivere che ha inciso con inchiostro indelebile una parte della mia vita. Da quel giorno di gennaio, come lui alle paure della vita, rispondo niente”. Paolo morì a soli undici anni. 
“Alle paure della vita rispondo niente!” dissi. 
“Alle paure della vita rispondo niente!”
Dopo si lanciò nuovamente dentro il fiume saltando dal salice. Un tonfo eccezionale. schizzò anche me che ero ancora sull'albero. L'acqua era freschissima. Ti tradiva il vento, perchè quando uscivi dall'acqua c'era molto freddo. Era così magro che a volte dava l'inpressione che se ci giocavo troppo potevo fargli male. Pesava trentotto chili con la roba addosso. Mi sipirava fragilità. Non si vedevano le ossa, ma quasi. Bastava notare che starnutiva continuamente, e gli occhi spesso erano cerchiati. Lui diceva che era perchè si faceva troppe seghe. Può darsi, ma era anche allergico alle graminacee. 
Desirée gli aveva fatto le mèches viola. Gli stavano benissimo, biondi e viola. Alcuni falsi ribelli di Livori cercavano di imitarlo, ma non capivano che: le camice a quadri, i jeans manconci, i pantaloncini corti, qualsiasi cosa indossasse lui, gli stava da Dio, perchè era un ragazzino splendido. Era il suo splendore a renderlo così particolare e lucente. Poteva vestirsi di stracci, ma restava sempre il più carino. Forse molti lo odiavano anche per questo. Erano invidiosi di lui. Per non parlare della scuola. Era così intelligente che se non fosse stato per il suo comportamento non l'avrebbero mai bocciato. Si ritirò dall'agraria che aveva la media del sette in tutte le materie. Suo padre lo picchiò. Anche molto. Arrivò al parco con il segno del cinto persino in faccia. Con una magliettina a maniche corte d'inverno, con le mani tutte unte di grasso, che cercava di riscaldarsi soffiandole. 
Nicola, per esempio, cercava di far colpo su di lui vestendosi male, bevendo e parlando male. Non capiva che questo gli dava fastidio. I valori che gli interessavano erano ben altri. Tipo se a uno gli piaceva davvero, e ripeto davvero, il rock, solo da come ne parlavi se ne accorgeva. A lui per esempio, lacrimavano gli occhi quando parlava di Bikini Kill, L7, Stooges. 
Non ci poteva fare niente. Se lui si comportava così, perchè gli altri dovevano imitarlo? Ognuno deve trovare la propria voce, la propria strada. 

Al parchetto numero due smerdò la cricca di Nicola. Loro si avvicinarono perchè invitati da Andrea a bere un po' di Whisky e vino. Cominciarono a parlare di musica per far vedere che ne sapevano. “Blue Suede Shoes l'ha rifatta anche Carl Perkins” disse Nicola. 
“No! È di Perkins. Semmai, l'ha rifatta Elvis!” lo corresse Thomas. 
“Il primo è stato Elvis, vero?” disse un altro. 
“No! Bill Haley”. 
“Mi piace l'Hard di Jimi Hendix!” 
“Ma che cazzo! Jimi non era Hard. È un genere difficilmente incasellabile in una sola corrente, come anche Frank Zappa. Sperimentale. Lui si definì una specie di blues”. 
“Io adoro i Doors, i mestri della psichedelia!” 
“Più che i Doors, che sono magnifici, maestri direi i Pink Floyd”. 
Li corresse su un sacco di cose, insomma, e parlò di tanti gruppi che loro non avevano mai sentito nominare. 
Gli raccontò vita, morte e miracoli degli AC/DC. Prima di andare via collegò tutti i numeri della targa di un auto parcheggiata a momenti della vita di Elvis. 
“8: come il giorno in cui è nato” diceva.
“35: come l'anno. 10 agosto: la sua prima apparizione in grande stile. Nel 53 si diplomò con voti mediocri”. 
Qui continuò con un altra targa scelta da Nicola.
“Aprile '54: andò negli studi della Sun Records. Registrò “Casual Love” e “Never Stand In Your Way”. Il proprietario della casa d'incisione gli fece i complimenti, dicendogli di rimanere in contatto con lui”. Tutti ridevano, mi raccontò Nicola, non solo perchè ne sapeva troppo, ma anche per la sua aria da spavaldo mentre leggeva quei numeri, con una mano sotto il mento. 
“32: gli anni che aveva quando sposò Priscilla Baulieu. 16 agosto: morte di un rè. Fu Joe Esposito, un suo amico, a trovarlo sul pavimento della stanza da bagno. Era il 1977”. 
“Quanti anni aveva?” gli domandò Jimmy, un altro amico di Nicola. “quarantadue” rispose Thomas sorridendo. Stava cominciando a prenderli tutti in simpatia, perchè, se non altro, avevano prestato molto interesse a ciò che lui gli aveva detto. 
“E dove abitava?” gli domandò Nicola, convinto che questa non l'avrebbe saputa. ma...
“Graceland” rispose il biondino. Che dire! Li lasciò di tucco. Salirono in auto con Picchio e partirono. C'erano anche il punkettone Zac e Michi. Picchio doveva riportare l'auto a casa prima che tornasse il padre. 
“Ciao Thomas, Fatti vedere!” urlarono i ragazzi del parchetto numero due. Fu felice di questo, ma non cambiò la sua opinione su di loro. Erano sempre dei falsi rockettari per lui. Lo dice anche una canzone inedita dei Nirvana. Opinion. Sono opinioni. 
Tirando come pazzi verso casa di Picchio, passarono per stradine strette cantando a squarciagola “Been a son”. In questo momento mi si bloccano i ricordi. Riprendono qui. 
Non potevamo più suonare alla falegnameria perchè la saletta era stata chiusa. Ci trasferimmo definitivamente a Sant'Antonio, dove ogni tanto passavamo in un vecchio bar, li vicino. I tavoli erano di legno e scricchiolavano continuamente. Non c'era mai tanta gente. Era l'ideale per rilassarsi. 
In quella saletta, l'unico problema era che ci passavano parecchi coglioni. Mauro suonava le sue “Stordita”, “Ronzio” e “Semplice”, che il biondino definiva regolarmente canzoni di merda. A volte cambiavano formazione e creavano incroci fra Maya e Depracontrol. Per esempio, Mauro alla chitarra, Picchio al basso e Thomas alla batteria, o Thomas alla chitarra, Luca Camellino alla batteria e Giue al basso. Era divertente. Luca aveva gli occhiali e una coda di cavallo lunghissima. Era il nuovo batterista dei Depra, visto che Thomas ormai era passato alla chitarra in modo permanente. A volte Michi, fan scatenato dei Pennywise, registrava con la videocamera del padre. L'immagine che venne meglio fu quando Thomas e Andrea saltarono sulla batteria e caddero di schiena, coinvolgendo anche luca camellino. Sapeva molto di Bleach tour, quella scena. 
Ci fu la prima uscita di “rispondo niente” (My Answer Nothing). Un pezzo che ti portava pian piano all'esasperazione. Senza alcuna melodia. Basso cavernale alla Soundgarden, dava un aria alla “Going Blind” dei Melvins.
Il proprietario della saletta lo chiamava “Il piccolo grunge”. Come molti altri ragazzi più grandi di noi, si fermava a guardarlo suonare, ad acoltare qualche arpeggio commovente da ragazzino disadattato qual era. Il tutto sostenuto da quella voce malinconica e da testi pieni di senso. Andrea era al settimo cielo quando suonava con lui. Avrebbe suonato anche senza, ma non gli sarebbe piaciuto.
Da sempre, nella cameretta, loro due avevano dato vita a duetti, e pezzi per loro favolosi e altri davvero brutti. Ma erano sempre stati insieme, in ogni istante, nella vita, nelle salette, nell'infanzia. 
Una volta ci fu un diluvio allucinante. Nelle strade l'acqua scorreva fortissima dai canaletti. Mancò la corrente dentro la saletta. 
“Uuuuuuuuuuuuuuuuuuuh!”
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!”
ci fu una grossa confusione. Quella volta suonavano assieme: Mauro, Junior, Giue e Andrea. Ovviamente, Pattedda Mauro, non poteva resistere alla tentazione di offendere qualcuno. Fra le urla generali di un sacco di gente si udì: “Mara puttana!”
“La devi smettere di insultare mia sorella! Pattedda Stronzo!” urlò Andrea. Era quasi buio totale. Si vedeva solo un po' di luce grazie alla finestra. Jemi passò alla batteria, e cominciò a pestare a caso urlando. Uscimmo per strada. Junior pestava sui tombini, dove si accumulava l'acqua, per schizzarci. Ognuno andò in una direzione diversa, vidi. Credo che nessuno sarebbe passato al parco quella volta. In un momento persi di vista Andrea. Poi mi chiamò, per fortuna, perchè non volevo andare con Michela e Francesca Filia, le poser stronze e antipatiche entrate nella cricca, chissà poi perché! Thomas e lui correvano sopratutto per non bagnare gli stumenti. Mauro più avanti urlava come un pazzo. 
“Aaaaaaaaaaaaaaaaah!” in modo molto sarcastico, facendo una voce da femminuccia, sfidando il cielo. 
“Ahahah” Junior correva e rideva. 
“Basta Mauro!” diceva. 
Piazza Sant'Antonio era vuota. Io la preferivo così. Senza tutti quei trendyni che ogni volta si radunavano li. Se la pioggia pulisce le strade, allora può piovere per sempre. Disse così Junior. Ci raggiunse anche Jemi, in bicicletta. La sera avevo il vizio di guardar su, ma il sole, quella volta non sarebbe spuntato, come del resto succedeva quasi sempre. Entrammo nel suo cortile come dei razzi. Conseguentemente nel garage, e poi in cameretta. Eravamo bagnati fradici. Io, Jemi e Mauro ci buttammo sul divano, esausti. Era mancata la corrente anche li. Il biondino si levò scarpe e calzini. Si levò anche i jeans, visto che sotto aveva i pantaloncini corti. Andrea frugava nella scrivania, in mezzo a infiniti cd tutti incasinati. Accesero una candela sul pavimento, però c'era una puzza di chiuso. Jemi aprì la finestra. Entrò un vento molto potente. La candela si spense. Cercavamo di riaccenderla mettendo le mani in modo da ripararla. Però non funzionava. Ci mettemmo a petto nudo, con la versione elettrica di “Jesus Doesn't Want Me For A Sunbeam” nello stereo, a costo di prendere una broncopolmonite, con l'aria gelata sui nostri corpi. 
E all'improvviso, la solita voglia di libertà che seduce gli adolescenti da sempre. Uscimmo di corsa verso il bosco, scalzi e in mutande, nella stradetta di terra piena di pietroline che ti facevano male ai piedi, fino ad arrivare al fiume e tuffarci dentro. 
“È ghiacciata!” urlò Andrea. Ma ciò non importava. La visibilità era delle migliori sere al tramonto. Thomas si rotolò nella terra, sporcandosi tutto, per poi rigettarsi in acqua con la sua più affascinante risatina. 
Jemi ne tirava addosso a tutti. La prendeva dal fondo del fiume: 
“È troppo fresca!” dissi.
“Chi se ne fotte!” urlò Andrea, ributtandomi in acqua. 
Sulle note di “The Man Who Sold The World” che Jemi faceva seduto sul salice piangente, insieme a Thomas che si lanciava dal suo ramo abituale, dentro il fiume, continuavamo a giocare schizzandoci. la freschezza di quell'acqua era fantastica. 
Poi Jemi cominciò a cantare “Polly”. 
💙💙💙
Polly vuole un biscotto
Penso che dovrei smettere di montarlaper prima cosa
Forse vuole dell'acqua
per spegnermi il bastone in fiamme
Polly vuole un biscotto
O forse vorrebbe mangiare di più
Mi chiedi di slegarla
Un inseguimento sarebbe bello per pochi
Polly dice che le fa male la schiena
Lei è soltanto annoiata quanto me
Lei mi ha preso in contropiede
Mi stupisce la forza dell'istinto
Non sono io abbiamo dei semi
Lasciami tarpare le tue ali sporche
Fammi fare una cavalcata
Non farti male
Voglio un po' d'aiuto per aiutare me stesso
Ti hanno riferito che ho della corda
Ti prometto che sono stato sincero
Fammi fare una cavalcata
Non farti male
Voglio un po' d'aiuto per aiutare me stesso. 
Polly Disse

 Polly Disse

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Echi Di Squarciagola Where stories live. Discover now