Heart Shaped Box

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E poi lo vidi per l'ultima volta, in piazza lavatoio; ormai Nicola era in buoni rapporti col biondino, che aveva sempre ammirato, ma non poterva ancora dire di essere un suo, un nostro amico. L'incontrammo insieme a Jemi, ubriachi persi e abbracciati l'uno all'altro barcollando, mi videro, in mezzo ad una grande folla di gente che andava e che veniva e abbracciarono pure me. Nicola rimase li a guardarci, memorizzando quella bellissima immagine di Livori, di storia adolescenziale, di amicizia. Con gli alberi illuminati dai lampioni arancioni e noi tre che abbracciati giravamo lentamente in tondo. Anche Nicola avrebbe voluto abbracciarci, ma la timidezza lo teneva prigioniero di se stesso, la vergogna, il non essere mai sfacciato lo legava, dentro di sé però si dimenava e urlava, perchè voleva distruggere le sue catene. 
E quel ragazzino da cui aveva sempre cercato di farsi accettare, lo fissò, con quei suoi stupendi occhi verdi pieni d'amicizia e quel suo viso d'angelo. E come in un sogno allungò lentamente la sua manina verso Nicola, Nicola vide solo lei, tutto intorno a noi divenne sfuocato. Niente oltre a noi aveva più valore, Thomas lo tirò verso di noi e lo abbracciò. 
Eccoci la, tutti assieme, veri ragazzi del rock, Nicola lo strinse forte e capì che finalmente erano amici e la musica si levò più alta e più forte, e tutte le nostre facce erano felici, e in quel momento abbracciati dalla bella Livori sentimmo il più gran sapore di amicizia e di allegria giovanile, spensierata, gaia, innocente e senza cuore. 
E come ce ne andammo, gli dissi: “Ciao Thomas”. Lui mi guardò con gli occhi lucidi, come se sapesse che non ci saremmo più rivisti, era la fine di una bellissima, irripetibile per tutta l'eternità, storia. Anche Nicola lo salutò, la mia mano strinse la sua fino all'ultimo, quando si staccarono sentii il gelo passarmi dentro e mi sorrise per l'ultima volta, la gente ci passò in mezzo e ci allontanammo. Mi fece la manina, come quelle tante volte al parco che mi salutò in modo dolce, arrivando o andando via sotto gli alberi, sopra le foglie morte dorate. Nicola con un filo di voce lo salutò, finalmente come un amico:
“Ciao Thomas, ci vediamo”.
Sì, c'erano le nuvole, quelle bastarde, guardai su e le vidi, mi fecero paura questa volta, non so perchè. 
Thomas Jr morì una settimana più tardi. I miei rapporti con il gruppo con gli anni si erano indeboliti, ma a casa sua ero sempre passata. Ci sarei andata per sempre perchè io amavo quel mio piccolo amichetto e ci facevamo lunghe chiaccherate, parlavamo del nostro piccolo mondo, mi prestò cd fino all'ultimo. 
Una mattina passai a casa sua e vidi tantissima gente, tutti i miei amici di sempre, ma non mi fermai, non volevo parlare con loro, non mi domandai perchè erano li. 
La sera, una delle più cupe, giuro, della storia di Livori, Nicola uscì contento come non mai. Alessandro, uno dei suoi amici del parchetto numero due, l'informò dell'accaduto e il mondo si fermò li per lui. Si recò sotto gli alberi del cimitero, gli scese qualche lacrima ma cercò di tenersi tutto dentro, vide il necrologio col nome Thomas Jr e il solito venticello triste l'investì. Scoppiò a piangere a casa, quando raccontò tutto a mia madre che a sua volta lo raccontò a me. Ero a casa di mia nonna, fuori paese, perchè stava poco bene. 
Uscii correndo con le lacrime che mi rigavano il viso, non sapevo dove stavo andando, ero finita in una strada di campagna e li cominciai ad urlare istericamente. 
Era un pianto disperato, ma di pensieri felici, e ogni ricordo era una pugnalata. Urlavo guardando in cielo perchè speravo che mi sentisse, per farlo sentire meno solo lassù e per sentirmi meno sola quaggiù. 
“Thomas!” rimbombava nell'aria come una supplica. 
“Thomas!” sempre più disperato, una supplica a Dio per ridarmelo, senza di lui cosa esisteva? Urlavo a costo di squarciarmi la gola, in ginocchio, talmente forte da impazzire e sono sicura che lui li nel cielo faceva lo stesso.
Perchè voleva tornare indietro da me, al parco o all'anfiteatro, a suonare la sua chitarra, a bere e urlare con noi. Dov'è il mio piccolo ragazzino? Cosa gli avevte fatto? Perchè lo tenete lassù? Lo farete piangere, lui vuole stare con me. Quaggiù. Perchè siamo amici. Perchè lo siamo sempre stati. Perchè l'ho sempre amato, nel giusto e nell'errore. Non m'importava di quanto era pazzerello, mi piaceva per quello. 
Voglio tornare a fare merenda di pomeriggio in quella cucina, mentre i raggi di sole illuminavano il suo viso ora triste, ora felice. O in cameretta ad ascoltare i suoi accordi, come tante sere nuvolose. Come la sera con Hemil, che Lithium ci fece sorridere. 
Thomas torna qui e giuro che non ti lascerò più solo. Torna e niente ci staccherà più. Il vento e le nuvole non possono niente contro di te, torna con quel tuo faccino triste a suonarci Cotton Fields al parco, o in quel magico posto pieno di scritte dietro il cimitero. Torna cazzo, davvero non puoi, piccolo mio. Non restare solo ancora, come quando ti immergevi nei pensieri, o ad ascoltare il canto sommesso dei venti sugli antichi alberi, che sono condannati a guardar giù in eterno. Io sto piangendo per te, perchè nessuno mi sente? Ho bisogno che vieni qui e mi abbracci, biondino, forte come avrei sempre voluto, e baciarti?  No Dio, non ti ho mai baciato, come fai ad andartene? Come cazzo fai? Non c'è un cazzo di giusto in tutto questo, niente. 
Il vento non ti accarezzerà più il viso, la tua volce non mi farà più rabbrividire. Ti eri appena fatto la patente e dovevamo suonare insieme. Gridai, pensai di tutto. 
Immaginai addirittura di vederlo correre verso di me in quella strada di campagna, gli andai incontro, lo feci ma non strinsi niente. Perché non c'era niente e allora di nuovo in ginocchio a piangere sola, come lui. La mia anima si staccò e vidi il mio corpo piangere a pugni stretti in mezzo agli alberi. 
E andai a Livori volando e passai sopra casa sua, sopra l'anfiteatro, al parco senza lasciare il cimitero, rividi la mia vita da lassù. 
Quella notte le sirene mi urlavano nelle orecchie che Thomas era morto, per farmi piangere di più. 
Morì verso le tre dei notte, era ad una festa con tutti nella casa in campagna, dove eravamo stati così bene quella volta che attaccava cartoni ai muri e stava a petto nudo con l'aria fresca su di lui. 
Andò con Bevvy a farsi un giro per stradette di terra, con la bianca C.L.X. Si fermarono sotto un albero, lo stereo della macchina suonava ad alto volume. Si baciarono per un po', Thomas giocherellava con una corda seduto a fianco a lei, ranicchiato come un cucciolo impaurito. Bevvy l'aveva fatto soffrire tante volte ma lui le voleva bene più di ogni altra cosa. E valeva anche per lei. Buttò la corda in mezzo ai rami dell'albero e si arrampicò sopra, se la mise intorno al collo. 
Guardò Bevvy col viso più bello e triste che lei avesse mai visto. Dolcissimo. Lei rideva rapita da lui, dalla sua bellezza. Da quel suo essere un ragazzino indifeso e disadattato. 
“Guarda!” strillò prima. E poi con una volce calma e fissandola negli occhi disse: “Io farei questo per te”. E risuonò nella campagna come un tuono. 
Saltò dall'albero, quelli che lui aveva sempre amato; la corda s'impiglio fra i rami, come se le nuvole l'avessero afferrata apposta, e tirò sul serio. Il colpo fu violento, lui per un millesimo di secondo se ne accorse e spalancò i suoi bellissimi occhi impaurito, guardò Bevvy. Gli spaccò subito l'osso del collo. E chiuse gli occhi. Bevvy, quando se ne rese conto, fuggì urlando per le campagne buie, cadendo dalla disperazione e dallo shock subito. Quando gli altri andarono a cercarli e videro, successe un casino. La disperazione fu assurda, sul vero senso della parola. Jemi svenì piangendo, Andrea urlava e gli stringeva le gambe, altri fuggirono, altri continuavano ad abbracciarlo e a piangere.  Quando arrivarono i carabinieri la batteria dell'auto era quasi scarica, cercarono Bevvy per tutta la notte. Furono mobilitati tutti i barracelli del paese. La trovarono verso le cinque e mezza, in stato confusionale. Fu una morte orrenda. 

Tutto ciò può non appartenere a un Dio? Picchio gli mise le mani intorno alla pancia, per reggersi forte o solo perchè voleva abbracciarlo, quel suo amico, voleva stare con lui in quel momento per sempre, a divertirsi, fermare la vita quando è divertente e non permettergli di tornare mai di nuovo triste. 
Ogni ricordo ha il peso di un macigno, ogni ricordo è troppo bello per me, ogni ricordo può distruggermi l'anima, far fermare il mio cuore, farmi strillare in ginocchio con le mani nei capelli, disperatamente. 
Ma non può fermare la mia voglia di vivere, perchè ho capito che cosa fantastica è la vita. A volte è troppo ingiusta, ma nella sua tristezza è incredibilmente unica. E vi dico che Dio esiste perchè in quei momenti io lo sentivo. Perchè adesso che scrivo lo sento in me con tutto il suo splendore. Ma non ha nulla a che fare con ciò che dice la chiesa. Per citare Bronx: Non c'è nulla di più triste del talento sprecato, ci sono ragazzi al mio paese che impegnandosi al 50% riuscirebbero in tutto meglio di chiunque altro. Io sono solo una ragazzina che scrive la vita nella sua cameretta. 
La vita è sempre bella, basta trovare le parole giuste che la rendano magica (ardua impresa... non so se fattibile). 

purtroppo anche il vespone andò distrutto, in una curva ad alta velocità. Il padre chiudeva i suoi malfatti in uno sgabuzzino di una delle serre che aveva in campagna. La dentro, se sbirciavi, potevi vedere immersi nella polvere: Donald, Ludovico e la Vespa. Rubai della sua cameretta una cassetta che registrò, c'era lui alla chitarra, alternava un do e un sol e poi un morbido balzo sul re. Facilissima, ma percepivo dei sentimenti su quelle poche note, un ingenuità, un tocco innocente, spensierato o forse no. Forse ne aveva tanti pensieri per la testa, si sforzava ma non riusciva a dimenticare niente. Lo rivedo suonare così piccolo e talentuoso, che non si accorgeva di quanto era bravo. I ragazzini nella manifestazioni lo elogiavano sempre. Lui diceva: “Ma non dite cazzate, se ne sentite...”
E correvamo per gli alberi della nostra infanzia, coi rari raggi del sole che uscivano dai nuvoloni e ci sbattevano in faccia. Nella strada di terra e pietre. 
Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto, come volesse illuminarci i bellissimi momenti di vita vissuta. La vita era allora. 
Lo guardavo mentre rideva barcollando toccato dal vino, ignaro che volessi baciarlo. Ci sedevamo in terra a lanciare sassolini lontanissimi, come la nostra storia, come la nostra vita, i nostri momenti e ancora la vita che avevamo davanti. 
Sento il freddo di quelle strade quel giorno, il suo sorriso stampato nel cielo, silenzio di tomba in quella via, in quella casa che sentivo pure mia, in quel cortile che mi ha visto crescere, in quell'albero in cui avevo visto le chitarre sepolte insieme a lui, in quella poltrona rossa dentro la tettoia dove si sedeva. Nel garage dove c'era il ping pong e dove una volta gli misi un suo calzino puzzolente in bocca e si mise a tossire, ricordo di un attimo... purtroppo felice. 
Suonava come un piccolo Cristo, era tutto ciò che di bello aveva, diceva lui. Era sempre stato contento così, quando le sue mani andavano veloci su una tastiera. Al tramonto, col vento, con l'oscurità, lui sapeva che qualsiasi cosa accadesse poteva esser contento e tirar fuori un sorrisetto. 
Non mi stancai mai di guardarlo, suonò quando Pero morì, suonò quando Hemil andò via, suonò quando Elena lo lasciò, suonò quando Giulia lo lasciò e quando Bevvy lo faceva dannare; quando suonava spariva, non pensava a niente, non esisteva più niente. 
E io sono sempre stata li a guardarlo, il piccolo grunge, e il momento diventava magico, potevi assaporarne il gusto sulla punta della lingua, era splendido. Quella chitarra mi piaceva un casino e lui disse che sarebbe stata mia solo se sarebbe morto. 
“Abbine cura” disse. Io risi, ovviamente speravo che sarebbe rimasta per sempre sua, perchè era così bello poterlo guardare... suonata da me non sarebbe stata la stessa cosa. 
Ricordai una profusione di tastiere e archi e in giro per i campi, non su una strada di terra, ma proprio in mezzo a migliaia e migliaia di fiori, che ci volevano addosso. E qualla canzone, Cristo, faceva fermare il tempo. E si fermava davvero. 
Le foglie restavano sospese a mezz'aria e i pensieri pure. 
Nulla poteva muoversi, né la vita né nessun altra cosa. I fiori ci avevano praticamente oscurato e la direzione in cui eravamo diretti non si vedeva più, ma questo non fermò le nostre risate, anzi le rafforzò. 
Afferrò un tulipano bianco che si era incastrato nel finestrino e me lo regalò, non certo per romanticismo, visto che l'odiava. Forse solo per scherzo o chi può dirlo? La macchina era sempre più veloce. I campi si aprivano in tutta la loro grandezza, ma il gioco era durato abbastanza. Ma lui non frenava. Si spingeva sempre oltre. Odiava avere un limite. Il fiume comparve all'improvviso e i campi finirono. “No Thomas, no!” gridai. Ma ormai eravamo troppo veloci e lui non ci avrebbe mai nemmeno provato, a frenare. Gettò un urlo di sfogo, nel quale si capiva tutta la sua irresponsabilità, tutta la sua gioia di fare malfatti e rischiare la propria vita. Il mondo non era nostro e tantomeno la sua legge. L'auto volò alta e sicura, come un angelo, per poi sbattere violentemente su alcuni massi sommersi nell'acqua. E ora immaginatevi la scena in modo lento. La sua testa sbattere al volante, procurarsi un taglio sopra il sopracciglio sinistro, i suoi maglifici capelli lunghi, lisci e biondi coprirsi di sangue. 
Quel grazioso visetto, che per non arrossire non avevo mai fissato a lungo, ora ne era tutto ricoperto. 
Fu un sogno che feci qualche notte prima che morisse. 

sono qui. Nel bosco con i miei amici. Stiamo fumando erba, credo. Tutto intorno a me gira. Non so che sto facendo. I raggi del sole passano attraverso i rami, come un sogno di mezza fottuta estate. Come se per un attimo tutto fosse diventato imprecisabile, barcollavamo tenendoci a tronchi che ci aiutavano a non cadere. Andrea forse vomitò, non ricordo. Thomas forse rise di lui. Tutto era allucinato e divertente. Il biondino diceva che quella roba non gli faceva niente e che voleva di più, ma mentiva, perchè non riusciva a smettere di ridere. E quella sua risata carina mi contagiava.
Ma a chi interessano le nostre stagioni morte in quel vecchio paese d'ombre? Perchè continuo a scrivere sul quaderno che porto sempre con me? 
Mi sembrava di sentire Hey Joe fatta da Jimi Hendrix. Quel pomeriggio l'avevo ascoltata talmente tanto che mi era rimasta in testa. E le parole vanno piano. Mi venne da essere felice. 
Solo la sera prima Jemi e Thomas, tornando ubriachi dall'anfiteatro, col motorino, sbatterono su un fuoristrada e caddero con le chitarre. 
I bambini giocano e la vita è come un gioco, l'importante è esserci stati. Fra assoli pazzi e urla dilanianti, ma anche fra melodie e favolosi arpeggi. Tutto iniziava e finiva li. Il potente spettacolo continua. 
Ricordo anche che un giorno lo spiai dalla finestra di camera mia. Lui era ranicchiato su un muretto, con un ramoscello in mano. Aveva lo sguardo assente e un espressione che racchiudeva una sorta di affascinante tristezza. Il vento gli muoveva i capelli e il sole aveva incendiato il cielo di un tramonto quasi perfetto. Lui alzò la mano per coprirsi gli occhi, o forse per salutarlo come un vecchio compagno di giochi e avventure. Forse pensava a tutte le cose che avrebbe voluto ma non aveva mai potuto fare, oppure a uno dei tanti sogni meravigliosi che la notte faceva e che mi raccontava. O magari ad un modo per cogliere l'attimo che fugge succhiando tutto il midollo della vita, o semplicemente ad un riff rumoroso di Flipper, Butthole surfers o Therapy.
In quella sua mente infinita tutto era chaos, di poemi infranti o di solitudine. Aveva solo tredici anni. 
Ricordo un suo pezzo: rabbia e silenzio, angoscia, tensione, tristezza, afflizione, voglia di piangere, urlare all'infinito. Un riff disperato e piagnucoloso. Come desiderio di aggrapparsi a qualcosa di immortale, protettivo, straziante. Come le urla di un bambino a cui è morta la madre, li nella camera ardente che la guarda per l'ultima volta e piange, e geme. Ingiusta, colpevole, illusoria vita. Ti sfido, migliore nemica di beati tempi e stagioni morte, paese d'ombre in cui vedo tutto negativo, ove le campane suonano a morto. 
Ora c'è un assolo allucinato, con una leggera psichedelia che ti fa tremare, piena di innocenza, sincerità ma anche grida disumane. La batteria pestava così forte... le pelli le ho viste rompersi. 
L'elettrica sporca, un po' scordata ci andava giù pesante, pure con fischi al di là di qualsiasi sopportazione. E il basso, cupo, cavernoso, più o meno come quello dei Soundgarden, roba da levarti quindici anni di vita. Non certo un qualcosa che tutti possono capire. Ero davanti a qualcosa di catastrofico, ad un tipetto da rinchiudere per anni e anni. Ero davanti al fallimento di una famiglia, del signore Dio stesso. O davanti alla perfezione sconosciuta. Davanti a qualcosa che sfuggiva a qualsiasi tipo di controllo. Ho visto la sua rabbia. Ho avuto una paura fottuta. L'ho visto sbattersi con una violenza incredibile e allucinante al muro, a costo di spaccarsi le ossa. L'ho visto svenire. 
Ciò che vi ho descritto è un suo pezzo. Uno dei tanti malati che scriveva. Da manicomio. Però bellissimo, unico. Pensai tutto, quel giorno. 
Tutti riuniti in piazza a piangere o a cercare di trattenere il pianto. Tutte le persone della mia adolescenza. Ora avevamo diciotto e vent'anni, ma dentro di noi non c'erano che quei ragazzini, che tanto avevano fatto insieme al loro amichetto biondo. C'era pure gente che non l'aveva vissuto come noi, eppure si sentiva morire dentro. Pure loro, perché? 
Jemi arrivò quasi alla fine, tutti guardavano in terra o in cielo. Ognuno era per conto suo. Jemi portò la chitarra classica di Thomas con sé. Piazza Sant'Antonio era piena, a quei tempi i ragazzini in quella piazza correvano la sera, giurando di non aver mai provato tanta felicità. Ora tutti potevano giurare di non aver mai provato tanta tristezza. La bara uscì, e io non riuscii più a trattenermi. Jemi cominciò lento a suonare le canzoni che Thomas gli aveva insegnato, e a cantarle. Erano le stesse canzoni che, quando lui era pieno di vita e saltellava, ci suonava al parco, o d'ovunque fossimo stati: Cotton Fields, Blue Moon Of Kentucky. 
La piazza applaudì. in piedi, Nicola applaudiva con forza. Ma nulla di tutto ciò riuscì a tirarmi su. 
Andate a fanculo, pensavo. Anche se sto male sono contenta perchè sarai sempre con me, Thomas... se mi addormento tienimi la mano così so che non mi lasci, peccato non rivederci più. Ricordo che pensai questo, poi morii in mezzo a quella piazza fredda e oscura. 
Andai dietro il carro funebre ma non sapevo più cosa stesse accadendo. Morii in un momento e non mi svegliai più. 
Sì, vidi tutti i momenti, i signori che portarono la bara sul carrellino, noi tutti fermi sotto gli alberi del cimitero e poi gente che sapeva già dove fosse il loculo e tagliava fra le tombe, ma io non ero li con loro, ero in cielo. 
Sopra gli alberi del cimitero immersa da luce bianca, e le nuvole non c'erano più. E Thomas era li con me che mi stringeva la mano, e stavamo sospesi nell'aria con la schiena rivolta a Livori. Vidi la bara entrare nel loculo, Bevvy disperarsi e così Desirée, ma io ero li sopra con lui, che ci toccavamo e ridevamo perchè non ci sembrava vero. Volavamo come uccelli, in mezzo a quegli alberi e tornavo ad accarezzargli i capelli, lui rideva. 
“Chi suona non può morire” mi disse. Io piansi tanto come per pregarlo di tornare, come per pregare il signore Dio di lasciarmelo ancora. Era un pianto dolce stavolta, di resa. Pure lui piangeva ed era uguale al mio, il suo dolore. Ci riabbracciammo strettissimi, magari così Dio non sarebbe riuscito a strapparci l'uno dall'altra, ma invece accadde. Dio facci giocare un altro po', a chi vuoi che facciamo male? Facci parlare un po' di musica o cantare un pezzo assieme, come tanti di quei giorni che tu ci avevi regalato, tutti insieme o solo noi due. 
Thomas mi strinse più forte, mi disse che voleva vedere tutti gli altri che in questo momento erano disperati. Credo che quel giorno si commosse pure il buon Dio e se avesse potuto ci avrebbe lasciati insieme per l'eternità, ma lui poteva. Ci saremmo rivisti solo dopo una vita, ma per me un giorno era un eternità, immaginatevi una vita senza di lui. Ormai non sapevo più che fare per dimostrare a Dio quanto gli volevo bene, e Thomas con me. Ma so che lui lo sapeva già. 
Le lacrime non finivano ma non cercai neanche di farle finire, non ci provai nemmeno. I ragazzi che l'avevano sempre preso in giro, vedendoci piangere, vedendomi piangere così puremente, si sentirono lacerati da un rimorso. Non riuscirono neppure ad aprire bocca, se avessero avuto qualche intenzione di offenderlo per l'ultima volta, quella si dissolse nel vento, sparì completamente. 
L'amore distrugge l'odio, l'amore annienta il male, l'amore è la sola cosa per cui vale la pena vivere, non tanto riuscire a farsi amare quanto riuscire ad amare. Io l'ho amato con tutta me stessa e sono sicura che pure lui mi ha amato, chi non ha mai amato... cazzo, non ha mai vissuto... mai, neanche un istante. 
“Ti voglio bene, Thomas”. 
“Ti voglio bene, Marta”. 
“Magari ci vediamo domani a casa tua, nella camera vicina al garage”. 
“Magari ci vediamo all'anfiteatro”. 
“Puoi farmi vedere le chitarre sepolte”. 
“Sì certo, poi magari andiamo al parco”. 
“Possiamo andare anche al fiume se ti va, ricordi i bagni d'inverno?”
“Certo, o andare a fare un giro in macchina, per i campi, con Mauro”. 
“Bellissimo! O perchè non rincorrere un treno per la ferrovia”.
“Se vuoi, alla festa in Piazza Zampillo o al lavatoio”. 
“O di nuovo in camera tua a cantare Lithium con Hemil”. 
“Ah ah, ti ricordi? O alla Spendula con il mio Donald e il tuo Zip nero... o nei boschi col registratore”. 
“Verrò a trovarti in riformatorio, e non prendere più a calci le porte negli ospedali”. 
“Io verrò a trovarti nel negozio di dischi”. 
“Io a vederti suonare o dormire nel letto in autunno, come un angioletto”. 
“Ciao Thomas, perché piangi?”
“E tu perché piangi?” 
tornammo a stringerci come due angeli dannati, o forse eravamo solo stati benedetti. Bevvy aveva scritto sul cemento fresco THOMAS JR,  facendogli sulla O lo smile dei Nirvana e sulla A il simbolo dell'anarchia. 
“Ora devo andare, non posso più stare a giocare in mezzo agli alberi”. 
Ci guardammo con disperazione, lasciargli la mano fu fulminante per me, mi sentii dentro un vuoto pazzesco. Lui pianse ancora, poi dolcemente volò via nel cielo finalmente soleggiato, bellissimo, passando per l'anfiteatro e salendo fino al parco. Cercai d'inseguirlo ma non ci riuscii e così lo persi. Tornai in mezzo a tutti gli altri: Jemi, Desirée, Zac, Andrea, Mauro, Giue, Checco, lo zio, Andrea Tosi, Picchio... tutti andarono via salutandolo:
“Ciao Thomas”.
“Ciao Thomas”. 
“Ciao Thomas”. 
Gli lasciarono un pacchetto di sigarette dicendogli: “tutte tue”. 
Giue aveva una sua maglietta dei Sex Pistols, se l'appoggiò dolcemente in testa e la scosse. 
Andai nei boschi da sola, a guardarli seduta su un vecchio tronco abbattuto. E rivedendoci tutti la, nella mia fantasia, sorrisi e feci quello che avrei fatto se lui fosse stato li con me. 
Corsi verso il bosco più veloce che potevo e mi arrampicai sul nostro albero. Dopo, a farmi compagnia arrivò Mauro, lui disse che non gli sembrava vero e che il rumore del trapano che chiudeva la bara, quella mattina, gli sarebbe rimasto impresso per sempre come un rumore di morte. 
Mentre parlavamo lui incrociava le gambe sul ramo e andava a testa in giù, poi io cercavo di non pensare. Jemi rimase tutta la notte a suonare vicino alla tomba di Thomas nel cimitero deserto. Li ci eravamo coricati tante volte a guardare il cielo. C'era pure l'albero con i nostri nomi. Tutto sarebbe cambiato, nulla sarebbe stato più lo stesso. Arrivarono anche gli altri, come se una forza misteriosa e mistica ci avesse spinto tutti lì. Ci avvicinammo al margine del fiume e cominciammo ad urlare. E qualcuno può giurare di averli sentiti pure su in paese, gli echi di squarciagola. 
Il sole splende in camera da letto mentre giochiamo, comincia sempre a piovere quando vai via.

Interamente dedicato a Kimi e alla piccola Alice.
Alvin M. Echi Di Squarciagola. 2015
Seconda edizione.

 2015Seconda edizione

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Echi Di Squarciagola Where stories live. Discover now