On A Plain

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Incantavole fiume, anfiteatro, parco, casa di periferia, ponte nel verde, salice piangente, Livori.
Tornando, Thomas era portato sulla schiena da Jemi, perche si era fatto un taglio sotto un piede. Non ci vide nessuno. Ci affrettammo ad entrare e a rivestirci prima che tornasse sua madre. Rimasero con lui: Andrea, Jemi, Zac ed Hemil. Io dovevo per forza tornare a casa. Salii con Mauro canticchiando i "Creedence Clairwater Revival", e tutto finì li.
Junior era anche quello che ci faceva una cultura generale. Arrivava al parco e ci prestava un sacco di cd: Stranglers, Bikini Kill, Dinosaur Jr, The Clash, The Ramones, Sex Pistols, U.K. Subs, Misfist, Black Flag, Sonic Youth, Mudhoney, Buzzcocks, Led Zeppelin, Cream, Hendrix, Berry, Deep Purple, AC/DC, Aerosmith, Guns 'N' Roses, Pond, Screaming Trees, Love Battery, Paw, Elvis, Bill Haley, Slayer, Pantera, Kiss, Doors, Velvet Underground, Pink Floyd, Jefferson Airplane, Black sabbath, Jesus Lizard, Mother Love Bone, Green Day e altri centinaia di gruppi. Era ferrato in tutti i generi, ma li prestava solo a chi se li meritava, e non più di tre alla volta. A me, anche se non me li meritavo, me li prestava comunque. Questo mi spingeva a migliorare la mia cultura rock ogni giorno di più. La sua fiducia mi spingeva a non deluderlo.
Si batteva le mani sulle gambe per seguire il ritmo, poi sul petto, e quando le canzoni scleravano, lui, o le cantava a squarciagola o prendeva la rincorsa e tirava un calcio all'armadio.
Una volta d'autunno ci rimettemmo anche a pogare, e anche li tornò il tono di leggende. Ne facemmo, di baccano! Sua madre non ci disse niente. Godeva di una libertà incredibile. Tutti si sbattevano divertiti. Dallo stereo venivano scaricati potenti decibel assordanti. Quando vedevi il sole passare fra le foglie dell'albero in cortile, l'ambiente di vecchi ricordi, scuri autunni, il suo sorriso, la sua chitarra la sopra, nessuno trovava mai il coraggio di andarsene per primo. Nessuno voleva perdersi niente di quei giorni. Diceva sempre che il rock fa danni.
A casa di Picchio, pogando, avevano sfondato una finestra, e con Mauro, invece, avevano quasi demolito a calci un vecchio capannone di suo padre. Mandava quasi sempre a fanculo sua madre. Lei apriva la tendina per parlargli, ma lui gliela richiudeva subito in faccia e si rimetteva a suonare. Non perchè non le volesse bene, ma perchè era molto nervoso nella sua adolescenza.
...
Prima di scrivere sapete cosa immagino? Il cimitero. E io che lo guardo dalle scalette. Tutte le tombe e le croci, e un albero che mi ostacola la vista del sole serale, verso le sette. Un po' di venticello e i raggi che un po' passano. Rivendo noi passeggiare in tre: io, Hemil e Thomas. A volte con Jemi. Straiati sulle tombe a guardare il cielo. Seduti in terra, in cerchio, a parlare. È così che si scrive una canzone. Una nota per ogni pensiero triste. Una lacrima per ogni pensiero felice.
Il cancello lontano, è chiuso, e foglie si muovono. Thomas fa un saltino roteante e torna giù. Forse è contento perchè gli è venuta l'ispirazione per un nuovo pezzo. Si sono visti i suoi capelli volare. Come un vero grunge. Ci coricammo in terra. La mia follia vicino alla loro. Come i Mother Love Bone nella foto meravigliosa all'interno dell'album "Mothel Love Bone" del millenovecentonovantadue, con doppio cd. In quel momento ero all'isola che non cè, e un banbino di colore toccava il viso a Peter. La musica era proprio quella. Mi cadevano foglie sul viso. E l'immagine gira scendendo. Un pensiero per ogni parola che scrivo. Come la volta che il piccolo grunge si coricò dentro una fossa da cui era tata rimossa una bara. Con gli occhi chiusi, lo sfidai io ad entrarci. Lo guardavamo da su. Era una giornata astratta. C'era verità ma non c'era logica. Camminavamo fra tombe fanciullesche. Nel cimitero popolato di gatti.
Prendete tutte queste sommesse pagine, moltiplicatele per miliardi di volte, e vedrete solo una piccolissima pagina dei miei momenti.
Prendete la cosa più bella del mondo, moltiptlicatela per miliardi di volte, e vedrete solo uno spiraglio di quanto mi sono piaciuti. Prendete le migliori parole della vostra vita, moltiplicatele per miliardi di volte, e vedrete solo una riga di ciò che riescono a farti immaginare e vivere. Ogni momento è stato magico con lui. Anche fumare una sigaretta in cortile, stargli vicino in silenzio. Ascoltarlo suonare. Vederlo allacciarsi le scarpe. Ridere con Mauro. Abbracciarsi con Desirée. Parlare. Solo vederlo parlare. Accordare la mia chitarra classica. Andare in campagna in bicicletta. Sfiorare le auto contromano in scooter. Vederlo guardarsi allo specchietto e ridere di se stesso. Assistere al suo primo concertino vicino al lavatoio. I pomeriggi passati a casa di Hemil o a fare pic nic alla spendula. Continuerò con l'albero con i nostri nomi, dentro il cimitero stesso. I nomi erano quattro li.
Thomas, Marta, Hemil e jemi. Ogni volta che uscivo, anche con Nicola dal cimitero, lo guardavo sempre.
...
Di li a poco lui, Zac e Andrea Finirono in riformatorio per cento giorni per aver distrutto una porta dell'ospedale a calci e aver resistito all'arresto.
Il signor Jr assistette al primo processo di suo figlio. Quel cretino scoppiò a ridere nel bel mezzo della seduta, facendo sulla giuria non una bella impressione, proprio mentre lo stavano interrogando.
La madre gli aveva imposto di indossare gicca e cravatta.
Andrea disse: "Andiamo... non finiremo mai dentro!"
dopo due ore erano già nel cortile del riformatorio, insieme ad altri tizi che avevano commesso reati molto più gravi di loro. Uno aveva picchiato la madre, altri il padre. Alcuni avevano rubato auto.
"Questo posto mi fa schifo!" urlò a squarciagola l'angioletto bruciato. "Non saremmo mai finiti dentro, eh?!" disse sarcasticamente Zac ad Andrea.
"Ok, non dobbiamo litigare con nessuno, o siamo fottuti!" spiegò Andrea "qui c'è gente fuori di testa!"
poco dopo si avvicinò a loro quello che aveva l'aria di essere il bullo del riformatorio. Sembrava una montagna e aveva con sé tutta una banda. Avevano circa diciasette anni, due più dei nostri eroi. Prese Thomas per uno di dodici anni.
"Ne ho quindici!" l'informò. "Scusa tanto bambolina!" esclamò il bullo, facendo ridere tutti i suoi leccapiedi. Ma quell'incosciente gli lanciò del fango negli occhi. Cominciarono ad inseguirlo dappertutto. Le guardie ridevano, perchè era talmente agile che pure in venti non riuscivano ad afferrarlo. Però, ovviamente non poteva fuggire per sempre; così, si fece un pugno in faccia, ma solo uno, perchè guardò con una tale aria spaventata il bullo, che riuscì a fargli pena. "Lasciatelo stare!" disse.
Però, pensò che doveva comunque dargli una lezione. Così lo buttarono dentro un cassonetto, e gli dissero di restarci fino a quando non glielo avrebbero detto loro.
Il che capitò dopo qualche ora, tre o quattro. Puzzava così tanto che non lo fecero neanche cenare. Lo mandarono direttamente in camera sua. Prima però a fare una doccia.
Dopo, il bullo, che rispondeva al nome di Salvatore Michelino, gli portò qualcosa da mangiare. Stava dentro per spaccio di droga. Suo padre bazzicava nella vera mafia, quella italiana, di Palermo e Corleone.
L'indomani parlarono un po', seduti su una panca, in cortile.
"Perchè sei dentro?"
"Ho rotto una porta e dato due calci ad uno sbirro!"
"Stronzate!" esclamò Salvatore.
"Non ci credi? Che pensi abbia fatto?"
"Veramente con qualla faccia da bambino, direi niente!"
Thomas scosse la testa. "Io non sono come la maggior parte di questa gente! Voi avete palle! Fate i duri! Io non sono un duro!"
"E non lo puoi diventare?" "Io non lo so. Ma non è questo il punto! Io non voglio essere un duro. A chi faccio paura?"
"Sai parlare bene, biondino, ma qua dentro non sono le parole che contano. Se non ti fai rispettare, ti pisceranno tutti in testa!"
"Io voglio solo stare per i cazzi miei. Mi piace far sentire gli altri più importanti di me. A volte mi piace piangermi addosso. Scusarmi per evitare il conflitto".
Salvatore si allontanò ridendo.
"Beh, allora non venire a piangere da me quando ti romperanno il culo!"
Disse così, ma in realtà Thomas era troppo lunatico e strano per conoscere cosa volesse o non volesse. Andrea puliva spesso il pavimento, Zac i gabinetti. Il piccolo grunge combinava ripetute risse a pranzo. Ne prendeva sempre di più, ma l'importante era reagire. Nella doccia, una volta, lo spinsero in un angolo, e cominciarono a pisciarci sopra.
Si andava alle lezioni e la sera, qualche volta, si giocava a pallone da tipici ragazzini europei, nel fango, cadendo, scivolando, tirandosi pugni e calci. Col tempo imparò ad apprezzare quel posto. Gli piaceva essere un ragazzino da riformatorio. Così, creò un principio d'incendio in biblioteca e gli diedero tre mesi in più.
Questo gli fece guadagnare una certa ammirazione da parte dei più piccoli, ma pure loro capirono che non era assolutamente un tipo apposto. Ora non se la prendeva più. Aveva preso così tanti colpi da guardie e coetanei che non voleva più sfidare nessuno.
Preferiva passare il tempo dentro i cassonetti o a masturbarsi. Inutile dire che la sua famiglia era davvero delusa. Non andavano nemmeno più a trovarlo, a parte Desirée. Una volta anch'io andai con lei. Andrea e Zac erano già usciti, e ci avevano raccontato tante cose. Gli stava bene pure la divisa da detenuto. Era ancora più sporco di quanto me lo ricordavo. Come mi vide fu contentissimo.
"Ciao Marta! Come ti va? Io sto bene! Magari c'è qualche topo qua e là, ma tutto sommato..."
"Ma non te li lavi i capelli?! Guarda che così li perdi!" gli dissi.
"Ho paura della doccia..." mi confessò "mi fanno cose brutte!"
"Come?! Cose brutte?!" tuonò Desirée. lui rise.
"No, non così brutte. Non mi hanno ancora violentato!"
"Ci mancherebbe altro! Stupido!"
"La biblioteca l'ho incendiata, perchè volevo farmi un po' notare. Ieri è venuta giulia con suo padre, a trovarmi. Mi hanno portato anche dei cioccolatini, ma me li hanno fregati, percio..." Ero stanca di questo suo voler essere sempre il distruttore della propria esistenza. Provai a chiederglielo:
"Perchè lo fai?"
"Fai cosa?" rispose.
"Niente" finì così.
Come stavamo uscendo dal cortile, si mise a giocare a pallone con qualche suo amico. Però, poi, corse da me. Giocando mi buttò per terra.
"Ti manco, vero?" mi disse, mentre stava sdraiato su di me.
"Perché sei qua dentro?"
"Perché mi ci hanno messo!"
"Perché ti ci hanno messo?!"
"Perché ho fatto cose che non dovevo fare!"
"E perché hai fatto cose che non dovevi fare?"
A questo non riuscì a rispondere. Ci rialzammo, e mentre uscivo dal cancello, disse:
"Sai, sei carina!" ci rimasi fulminata. Mi girai, e riuscii solo a dirgli: "Sei uno stronzetto, Thomas!" Salii in auto che lui ancora mi guardava. Gli chiusero il cancello proprio in faccia. E ci allontanammo. Rimase con le mani attaccate al cancello. Sparì oltre la curva. Mi immaginai di scendere dalla macchina e correre, stavolta io verso di lui, di arrivare al cancello... e lui mi aspettava ancora li. Ma lo immaginai soltanto. E poi questo non era un fottuto film americano. Odiavo quelle cazzate.
Però, quella si che fu una bella scena! Lui ed io che parlavamo sdraiati nel terriccio. A volte la realtà supera davvero l'immaginazione. Almeno, io una scena così non me l'ero immaginata!
Il tempo che gli rimaneva lo passò lanciando dei tappi sotto il portico della palestra, cercando di fare centro in una botte aperta, tipo la pubblicità del Jack Daniel's. Infatti è da li che prese l'ispirazione. Gli altri giocarono con lui. Mi spediva delle lettere tutte scarabocchiate, con dei disegnini di chitarre.
Una volta, l'impronta della sua mano destra. Aveva una bella calligrafia. L'avevo vista già altre volte, ma ogni volta mi sembrva più ordinata.
"Mi sono stufato di stare qui. I topi stanno aumentando. Ho visto Elvis dentro il frigorifero e mi sono mangiato una tortina al cioccolato. Mi piacerebbe stare da un altra parte, e presto ci andrò. Dentro di me diluvia.
Come sta la mia Gibson? Qui non conoscono gli Alice 'n Chains. Ciò mi deprime. Mi è venuta una cazzo d'infiammazione al sedere, perchè mi sono seduto su quello schifoso gabinetto. Qui non hanno nemmeno le medicine adeguate. Me ne hanno data una che mi fa grattare tutto!"
C'era un pozzo d'acqua dove spesso andava a guardar giù mentre fumava, era uno spazio verde che stava dietro l'edificio.
Delle ragazzine guardavano sempre dalla reticella, sbirciavano i ragazzi del riformatorio.
"Cosa avrà combinato quel lattante?" bisbigliarono; lui le sentì ma fece finta di niente, poi cominciò ad avvicinarsi.
"Guarda, si avvicina" disse una ragazza alle altre, erano piuttosto di buon umore, lui arrivò fino ad infilare le dita nella reticella e le fissò. Non diceva niente, anche loro non sapevano che dirgli, si guardavano l'un l'altra e ridevano. Lui era capace di fissarti per ore senza cedere al minimo sorriso, si girò di spalle e andò via.
"Comunque hai dei begli occhi" urlò una di loro.
"Ma chi è?" si chiesero.
Una delle tante cose che gli riusciva meglio era farsi passare per un matto.
Quelle tipe tornarono per due giorni ma non lo videro più, andarono anche a vedere le partite di pallone, tutti gli altri ragazzi di solito erano i primi a farsi socievoli con loro, primo fra tutti Salvatore, invece lui no, ed era anche questo che le incuriosiva.
"È un ragazzino biondo, occhi verdi, sui dodici anni circa, aria da furbo" spiegava Sara, la più piccola del gruppo di ragazze. Erano tutte un po' interessate ma credendolo troppo piccolo non si scervellavano. Salvatore le informò:
"Credo di aver capito... è un tipo che parla poco".
"Niente" intervenne una. Salvatore continuò:
"Sempre in disparte, sempre triste e incazzato".
"Sì, credo di sì".
"Si chiama Thomas e ha quindici anni."
a questa notizia rimasero tutte un po' incredule:
"Quindici?"
"Sì, è dell'ottantatre, ma perchè vi interessa? Sono io il più bello qui, e sono anche il capitano".
"No grazie!" esclamò Sara. "Thomas si fa un volo nel cassonetto ogni volta che mi fa arrabbiare". Questo le fece ridere.
"Lui è più bello di te" ribattè la piccola Sara un po' stizzita dalla presunzione di Salvatore.
"Portalo qui" l'istigarono le altre ragazze ma lui non accettò:
"Basta, tornatevene a casa, non è uno spettacolo questo".
"Credevo che fossi il capitano" insistette una di loro usando della psicologia.
"Infatti".
"Allora dimostracelo".
A questa sfida salvatore non seppe resistere, con un ghigno e aria da perfetto bullo si girò verso i suoi leccapiedi. "Portate qui il signor Thomas" ordinò con una certa eccitazione da parte delle ragazze. Arrivò trainato per un braccio, Salvatore l'afferrò e lo portò vicino a loro, ma continuava a stare zitto.
"Possiamo conoscerti?" gli domandò una delle ragazze ma lui fissava la serratura del cancello.
"È da manicomio" le informò Salvatore, lo fece ranicchiare giù e gli disse:
"Ecco piccolo Thomas, fai i cerchietti nella terra". Conosceva i suoi modi di fare, a volte si accucciava e tracciava dei cerchietti in terra col dito indice, era un vizio che aveva sempre avuto, neanche gli psicologi ci avevano mai capito niente, spesso lo faceva nella sua cella, e lo fece anche quelle volta.
"Che vi avevo detto? Chi cazzo ci capisce qualcosa" spiegò Salvatore.
"Secondo me non dovete trattarlo male visto che è già stupido di suo, ma cos'ha poverino?" domando Sara intenerita.
"Io non sono pazzo" disse Thomas, che si alzò "faccio i cerchietti in terra perchè mi piace farli" e fuggì.
"No, vieni qui" gridarono tutte le ragazze: cominciò a correre ma Salvatore lo riacciuffò, seppur con un po' di difficoltà. Lo sbattè al cancello, voleva che stringesse la mano alle ragazzine ma niente da fare, una di loro baciò Salvatore e Thomas si fece sfuggire un lapidario "come baci male amico". Salvatore rise di gusto e con lui tutte le ragazze. "Pensi di saper baciare meglio di me? Bene, allora adesso queste ragazze le devi baciare tutte, se vogliono" gli ordinò il bullo. "Sì, VOGLIAMO!" fecero presente le ragazze.
"No, io no" sbottò il biondino spaventato.
Ma non ebbe scelta, perchè Salvatore da dietro gli stritolava una mano. Così fece una faccia carina e tutte loro lo baciarono in bocca, si prendevano il suo faccino una alla volta e con gli occhi chiusi lo slinguazzavano, se lo passarono più di una volta a testa, era in loro balia, ma non significavano niente per lui quei baci, cercava solo di salvarsi la mano e stava al gioco.
...
Un giorno lo trovai nel negozio di dischi dove iniziai a lavorare mentre lui era in riformatorio; era uscito finalmente, fui così felice di rivederlo che gli saltai intorno canticchiando, lui aveva una faccia buffa, come quella dei personaggi dei cartoni quando gli scendono le gocce dal viso.
"Ma che cazzo, sei impazzita?" disse sorridendo. Bene... non capii più un cazzo, afferrai un cd con un aria felicemente stronza e lo spaccai per terra.
"Ehi ma così ti licenziano".
"Non mi piaceva".
"Se devi rompere tutti quelli che non ti piacciono, faresti fuori il 70% del negozio". Ne presi un altro e spaccai pure quello, rimase un secondo a bocca aperta, poi ne afferrò uno degli articolo 31 e mi imitò, e ci accorgemmo che era divertente, e continuammo.
"Tanto ho deciso di farmi licenziare" gli dissi. "L'ho visto in un film". Agginsi poi: 883, Zucchero, Albano, Eros Ramazzotti, U2, Oasis, volarono tutti per terra, allora buttai a terra lui e cominciai a tirargli i capelli, giocavamo così. "No, smettila!" urlò.
"Zitto, stupido" gli risposi. Mentre l'aiutavo ad alzarsi, entrò un uomo dalla porta, un cliente; come vide tutti i cd sparsi per terra, Thomas con la maglietta tutta rotta, giocando gliel'avevo tirata troppo, e senza una scarpa perchè gliel'avevo tirata dietro il bancone, sorrise con una faccia da culo e chiese:
"Va tutto bene?"
"No, mi sta violentando" ne uscì Thomas.
"Sta zitto, stronzo!" L'uomo torno a sorridere e andò via, così rocominciai a picchiarlo; era una sera di fine agosto, c'erano più o meno trentaquattro gradi, quando fa così caldo pare che il cervello comincia a bollirti, e puoi fare qualsiasi cosa.

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Echi Di Squarciagola Where stories live. Discover now