|Immagini e Oneshot| Macchine e Memorie

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Storia vincitrice della lista 18 della sfida di lettura del MaidireTEAM

Seven torreggiava sul resto del mondo come un'aquila sulla vetta di una montagna, incurante della sua posizione precaria

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Seven torreggiava sul resto del mondo come un'aquila sulla vetta di una montagna, incurante della sua posizione precaria. Quello era il suo regno: dal suo trono di acciaio poteva osservare lo spazio attorno a lui, immenso ma fitto di macchinari e tubature metalliche come quelle su cui sedeva in quel momento. Ma non gli importava nulla di ciò che accadeva sotto di lui. La luce azzurra gli colmava gli occhi, come se ne fosse circondato. Le sue dita danzavano alla frenetica sinfonia di archi e fiati che gli rimbombava nella testa. In quei momenti per Seven non esisteva nulla se non il suo lavoro, come se si trovasse in una specie di trance spirituale. Ma qualcosa intorbidì quell'atmosfera perfetta. Un suono distante, attutito, profondo. Si ripeté sempre più insistentemente, fino a prendere una forma che Seven riconosceva: il suo nome.

《SEVEN!》urlò per l'ennesima volta il signor Thorn. Si trovava a terra, a circa dieci metri di distanza dalla postazione di Seven. 《Idiota di un ragazzino, scendi subito di là!》

Seven si tolse gli auricolari con un ghigno.

《Buongiorno anche a lei》 disse tra sé e sé. Si mise il computer nello zaino e scese con abilità, destreggiandosi nell'intricata giungla di tubature con l'agilità di un acrobata. Facevano parte di una macchina in disuso e Seven, con grandissima disapprovazione del suo capo, vi si arrampicava da quando era piccolo. Un giorno di questi ti farai male, diceva sempre il signor Thorn.

《Un giorno di questi ti farai male》 lo riproverò Thorn con la solita espressione corrucciata che aveva la maggior parte del tempo. Eric Thorn, in teoria il capo di Seven e in pratica il suo babysitter, era di solito un tipo rispettoso ma, nel rimproverare Seven, non si faceva scrupoli a disturbare la quiete pubblica. Tanti saluti al "rispetto per chi lavora" di cui parlava sempre.

《Sai perché ti abbiamo chiamato Seven?》disse poi Eric. 《Perché è il numero minimo di richiami necessari per convincerti a fare qualsiasi cosa. L'Associazione non ti tiene qui per arrampicarti come una scimmia.》

O forse perché Thorn gli faceva lo stesso discorso almeno sette volte al giorno.
《Buongiorno anche a lei》 ripeté Seven con la stessa sfacciataggine di prima. 《Perché questa interruzione così brusca?》

Miracolosamente, Eric Thorn abbozzò un sorriso. 《È appena arrivato il Relatore.》

Seven saltò come una molla e afferrò le braccia di Eric. 《Il Relatore?》esclamò. 《Qui?》

《Sì, te l'ho detto, non mi ammazzare.》 Seven si ricompose, se pur ancora incapace di non sorridere. 《Andiamo》 continuò Thorn. 《Al Relatore non piace aspettare.》

Chiunque si sarebbe perso in quel dedalo di corridoi, fra tubature e cavi intricati come trame di un arazzo, ma non Seven: era praticamente nato in quel luogo, conosceva ogni suo angolo nascosto e considerava ogni lavoratore come famiglia. Ma, ultimamente, il luogo che gli era più familiare era diventato una piccola stanzetta buia, separata dal resto da un angusto corridoio di ingresso. Il Relatore li aspettava là. Era un ometto piuttosto comune, minuto e con pochi capelli castani sbiaditi. Uno di quei tizi noiosi che si mimetizzavano nella carta dal pararati dei loro uffici. Eppure sarebbe stato proprio lui a decidere del destino di Seven. Scribacchiava svogliatamente su un tablet, alzando a malapena lo sguardo, come se fosse solo. Seven era tentato di urlare "bu" per spaventarlo, ma non sarebbe stato professionale.

Diario di una giovane scrittriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora