Capitolo 25

53 4 4
                                    

Raisa

In seguito alle feste di compleanno, alle anziane indispettite e ai vari pettegolezzi, quando termino il turno, Damen è ancora seduto sul parabrezza con le gambe accavallate e un pacchetto di cioccolatini al pistacchio in grembo.
«Andiamo?» chiede, ne mastica due contemporaneamente come un bambino. Acconsento con uno schiocco di lingua e un cenno del capo. Getta l'involucro pieno nei sedili posteriori e resto sorpresa dalla pulizia maniacale che c'è nell'auto, i sedili sono tirati a lucido e sui tappetini non c'è un solo granello di polvere. Il profumo intenso di muschio penetra nelle narici così che si possa percepire anche dopo esserne usciti, forte e deciso. Guida con maestria, armeggia con il cambio e prende velocità sulla strada deserta. Fingo di guardare oltre lo sportello, mi soffermo su di lui nel momento in cui sosta al semaforo. I ricci corti creano onde scure, la barba è perfettamente curata, i tatuaggi sul viso gli donano un'aria da cattivo ragazzo. Al polso indossa lo stesso bracciale con il ciondolo a forma di puledro e un orologio che sembra costare un occhio della testa. Il giubbotto di jeans è in contrasto con il colore della felpa, il cappuccio è scomposto sulle spalle. Allungo la mano per acconciarlo, ma scaccio l'impulso maniacale di farlo. Presto attenzione ai gruppetti di amici che passeggiano per le strade illuminate e alle vetrine addobbate per il Natale. Abbasso lo sguardo sul polso destro, la sua bandana è stretta intorno al braccio come un cimelio e lui ha già notato questo piccolo dettaglio. Non amo inserire accessori di stoffa con quelli d'argento, ma lo fa sorridere in modo impercettibile oppure è la stanchezza a giocare brutti scherzi con la mente, concretizzando cose mai accadute. Quella notte è stata compromessa da altri, la sua presenza è stata inaspettata e folgorante. Vederlo adirato è stato sorprendente, in mia compagnia è sempre taciturno come se fosse controllato da qualcosa. Io, al contrario, sono spontanea e ingestibile. L'istinto è la mia unica pecca, Lilian direbbe che sono un rischio perenne.
«Indossi il mio giubbotto» mormora, inchiodo sulla bralette in pizzo e la giacca morbida, accosto il naso sul tessuto e il miscuglio di profumi è inebriante.
«Scusa...» vorrei dire che è stata la mia prima cosa che ho afferrato dal guardaroba, ma non è così. Speravo venisse a reclamare il mio interesse, dopo aver trascorso giorni con l'opinione di essere solo uno stupido passatempo per lui.
«Va tutto bene?» per un attimo schioda lo sguardo dalla strada e punta a me.
Ed è la frase apprensiva a far tremare il mio labbro inferiore, non devo piangere. Non sono l'unica a soffrire, non è una situazione irreparabile. Miles è andato via, ha scelto di distruggerci e di segnare per sempre la nostra vita. Resterà solo una figura su fotografie ingiallite, non tornerà e impararerò a convivere con la sua assenza.
«Mio padre ci ha lasciate...» pronuncio, inghiotto un fiotto di saliva per non scoppiare in un pianto disperato.
«Mi dispiace» non lo dice per compiacermi, ascolta con attenzione.
«Ha tradito mia madre con una ragazza più giovane» e pronuncio la frase con un rancore che non credevo di possedere, estraggo il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans e chiedo il permesso con un cenno. Acconsente con riluttanza, ma comprende il bisogno fisico di smaltire la rabbia repressa, inclino la nuca sul poggiatesta, mentre il tabacco brucia a contatto con la fiamma. Il fumo si espande nell'auto, proprio come la confessione appena pronunciata. Il silenzio piomba su di noi, ma non è opprimente come le altre volte. Un sorriso amaro altera la forma delle labbra, «E non parlo di me con persone che non conosco...» è la paura di essere giudicata a limitare quello che vorrei esporre, Clay deformava ogni frase a suo piacimento e le usava, contro di me, per i suoi loschi scopi. I ricatti e i soprusi, per quanto fingere possa essere un lavoro duro, mi hanno plasmata per la ragazza che sono oggi. Puoi essere felice, ma ci sarà sempre quella parte negativa che tornerà nel momento meno opportuno. Ferma l'auto in un grande piazzale alberato, i cartelli stradali indicano curva pericolosa a destra, mentre sul muro di cinta è istallata una rete a buchetti larghi per infilarci le dita e del fil di ferro per sostenerla. Noto oltre l'immenso reticolo una serie di luci colorate e alcuni veicoli appostati infondo al parcheggio. Il manto scuro è costellato di puntini luminosi, nonostante il bagliore della luna, non c'è nessuna luce diretta a rovinare l'atmosfera. Damen poggia il gomito sulla portiera e il palmo sulla guancia sinistra, in attesa di qualcosa.
«Non devi conoscere una persona per parlare di te» si schiarisce la gola con un colpetto di tosse, «Ci parli per conoscerla» resto interdetta come se avessi ricevuto una scarica elettrica da duecento watt al centro del petto. Morde il labbro inferiore, mentre il pomo d'Adamo s'abbassa.
«Parlami di te» dice. Fingo di non star tremando per l'intensità dello sguardo e inclino le gambe verso destra.
«Sono Raisa Ugon» e per un secondo la confusione ombreggia nelle pupille scure, «ho diciannove anni e uno spiccato senso dell'umorismo» e così che cominciano le storie scontate, ma non la mia. Questo non è un racconto che tutti hanno il privilegio di comprendere, gli uomini frivoli fuggirebbero perché le donne forti spaventano.
«Ho due sorelle di cui mi occupo da quando Miles se ne è andato e non ho un titolo di studio. Da bambina sognavo di diventare una donna in carriera, una di quelle intelligenti e furbe» getto il filtro oltre il prato e incrocio le braccia in un gesto di chiusura. Sei al sicuro, nessuno punterà il dito su quello che stai per raccontare.
«Cosa ti ha fermato?» sospira, come se avesse già compreso che non è un qualcosa, ma qualcuno. Impiego tutta la forza che posseggo per non saltare dall'auto e uscire nel parcheggio, continuo come se non avessi appena sganciato una bomba ad orologeria dentro di me. «Il mio primo fidanzatino si chiamava Clay, era un ragazzino tranquillo e gentile» tossico per non strozzarmi con la mia stessa saliva, «con il passare del tempo si è dimostrato essere tutt'altro» e un po' vacillo nel continuare la conversazione, ma ormai ci sono e ci siamo. Non posso tornare indietro.
«Non amo festeggiare gli anni che passano e non perché io abbia paura di crescere, comprendo di non essere Peter Pan. Clay mi costringeva ad indossare lo stesso vestito ogni fottuto anno, non importa quanto piccolo fosse diventato per le mie forme. Lui non desiderava altro che vedermi infelice» affondo le dita nel sedile in pelle. E se solo avessi davanti la sua faccia di merda lo prenderei a pugni senza pensarci due volte. Ma Damen è inerme, non fiata e stento a credere che respiri per quanto è immobile. «Sono stata una stupida, ero così desiderosa delle attenzioni che mi procurava che non m'accorgevo di quanto tossico fosse diventato il nostro rapporto. Fino al giorno del mio sedicesimo compleanno». Rabbrividisco involontariamente, rivivo la scena di quella notte. Le urla, le percosse, gli sbalzi d'umore e il ritorno a casa.
«Raisa...» dice, scuote la nuca per non incitarmi a percorrere il sentiero buio e oscuro dei ricordi. E quanto vorrei che l'avesse compiuto prima che cominciassi, solo per interrompere il flusso delle immagini.
«Non devi se non vuoi, non sei costretta a farlo» afferma atono.
«E-eravamo diretti al locale, in quel periodo era molto stressato per le candidature che aveva inviato ai vari commissariati. Erano state tutte respinte e suo padre continuava a demolire la sua autostima comparandolo a suo fratello maggiore. Aveva cominciato a bere sempre di più. E tutto quello che facevo sembrava che le desse fastidio a tal punto da uscire fuori di senno» chiudo la zip del giubbotto come se fossi nuda e ricoperta di lividi, di nuovo.
«La sera del mio compleanno, non indossai il vestito viola che avevamo comprato insieme anni prima. E mi accusò di essere una poco di buono. Avevo sedici anni Damen, era totalmente assurdo. Ma lui non l'ha trovato giusto...non ha trovato corretto il mio comportamento...» respiro profondamente, mentre il tremolio alle dita continua incessante senza bloccarsi. Il dolore brucia al centro dello sterno e vorrei gridare per quanto fa male, per quanto ho dovuto sopportare senza parlarne.
«Mi ha afferrata per i capelli, sbattuta contro il vetro dell'auto e schiaffeggiata con rabbia. Ero così sorpresa che ho sterzato e abbiamo colpito in pieno un albero».
«Avevo due costole rotte e lividi ovunque» e «Sai cosa ha dichiarato alla polizia?» non attendo risposta, sono un treno diretto alla stazione più vicina.
«Un gatto, c'era un gatto al centro della strada ed è uscito dalla carreggiata per non investirlo» e nel frattempo ha ucciso me. In tutti i modi possibili e in forme diverse. E dubito del fatto che se non avessi chiamato Zio Tony quella sera, io avrei continuato a subire.
E subire.
Ancora e ancora.
«Raggio di sole» scosta una ciocca di capelli dal viso, carezza piano la guancia per asciugare la gocciolina discesa dall'occhio. Piango in silenzio, nonostante il sorriso amaro dipinto sulle labbra. E devo sembrare davvero disperata per non riuscire a smettere di farlo. Socchiudo le palpebre per un secondo, le auto che sfrecciano sulla strada provinciale producono una melodia struggente e rabbiosa. Mi volto verso la portiera e non voglio più scappare, ma restare. Sento le sue mani sulle mie, un contatto impercettibile e quasi nullo per quanto leggero.
«Non è colpa tua, voglio che tu lo sappia. E che tu sia consapevole che non è stata colpa tua. Ci sono bestie travestite da esseri umani...» e percepisco nel suo tono qualcos'altro oltre la calma. È brusco, potente. Furia celata da quiete, ecco cos'è.
Il respiro si fa affannoso.
«Un uomo non alza le mani su una donna, non c'è ragione che tenga. Mai.» inghiotto un singhiozzo profondo.
«Non piangere» asciuga il viso con il pollice destro, «Un mostro non merita lacrime, ma solo un grosso calcio nelle palle» un piccolo sorriso spunta sulle sue labbra, mangiucchia il labbro superiore per non mostrarsi e sono io ad esplodere. Al diavolo la regola del primo appuntamento! L'espressione concentrata fuoriesce come una smorfia di tormento. Abbassa gli occhi e li rialza per tornare a guardarmi.
«Raisa?» inchioda le iridi nelle mie, afferra il retro del collo e mi lascio andare in modo docile alla sue volontà.  Un paesaggio da ammirare con profonda consapevolezza, l'organo al centro del petto prende a pugni il costato per uscire. Si ribella al cervello, discute su come avere la meglio e diviene irrequieto. Ad un tratto il vento s'innalza e inonda l'abitacolo, il frastuono diviene incessante e non comprendo da dove arriva, finché Damen non inclina la capote.
«Guarda in alto!» grida per sovrastare il rumore, alza le braccia per indicare qualcosa che non è presente.
«Oltre il tuo naso!» inclina il mento con l'indice e lo vedo...Un'enorme aggeggio è pronto al decollo, le luci illuminano il spiazzale e siamo minuscoli in confronto a quello che c'è attorno a noi. La pista si estende per chilometri e chilometri, il bagliore è folgorante per quanto acceca. Comincia a sollevarsi, fino a sovrastare le nostre teste. L'adrenalina pompa nelle vene, il senso di libertà mi costringe ad emettere un grido a pieni polmoni. E lo vedo volare sempre più lontano, sino a divenire un punto luminescente nel grande manto blu. Ma il vero capolavoro è alla mia sinistra, la vera arte è il ragazzo seduto accanto a me. Per la prima volta lo vedo senza angoli nascosti, senza spigoli coperti da palmi e ombre. Un sorriso smagliante si è dipinto sulle labbra carnose, i denti bianchi sono in contrasto con la pelle scura e la P tatuata è leggermente deformata per quanto sono estesi gli zigomi. Le iridi sono piene di una gioia che non credevo possedesse. È carico di spensieratezza, comprendo un po' del suo stato d'animo...i pensieri sono eclissati con il mezzo volante.
Lui guarda lo spettacolo artificiale, io fisso quello di origine naturale.
«Raisa?» si volta per richiamarmi, ma io sono già lì. Pronta a tutto ciò che potrebbe confessare, «Se tu fossi stata mia, non avresti mai indossato lo stesso vestito per anni. Avrei comprato una boutique intera. Tutta per te, solo per te».
E se tu fossi stato mio Dam, non avresti mai rinunciato, per nessun motivo al mondo, al tuo splendido sorriso.

#spazioautrice
Vi prego di leggere con attenzione, non abbiate paura di denunciare! Siete vittime, non carnefici. E soprattutto, non è colpa vostra. Non siete voi il problema, queste persone dovrebbero essere aiutate da persone competenti e specializzate! Parlatene con qualcuno, sempre. Non tenetevi tutto dentro.
Vi voglio bene, Fatima.🐞🌻

𝑭𝒊𝒐𝒓𝒊 𝑵𝒆𝒍 𝑩𝒖𝒊𝒐.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora