11. A taste for rough sex

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Vi ricordo che questa storia è un dark romance e pertanto presenta scene esplicite che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni lettori.

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Il desiderio, specie quando è incontrollabile, ci fa compiere gesti di cui non credevamo d'essere capaci. Corrompe, logora e, a volte, può farsi movente per uccidere. Specie quando si trasforma, diventando qualcosa di pericoloso.

Il tribunale delle anime
di Donato Carrisi

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Buttai il lecca lecca nel primo cassonetto che trovai e iniziai a spintonare le persone per riuscire a stare al suo passo, nonostante stesse solo camminando, io facevo una fatica immensa a stare dietro ai suoi movimenti

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Buttai il lecca lecca nel primo cassonetto che trovai e iniziai a spintonare le persone per riuscire a stare al suo passo, nonostante stesse solo camminando, io facevo una fatica immensa a stare dietro ai suoi movimenti. Anche solo con lo sguardo, lo perdevo tra la folla in continuazione.

Riuscii a vederlo mentre anche lui gettava il lecca lecca e la maschera in uno dei cestini che costellavano l'università, poi entrò nell'edificio principale. Gli corsi dietro quasi a perdifiato, fino a quando non arrivammo nella biblioteca.

Alcuni studenti erano intenti ad arrostire marshmallow davanti al caminetto acceso, altri chiacchieravano indisturbati in disparte. Davil non si guardò indietro per accertarsi che lo stessi seguendo, ne era certo.

Sentivo la bocca dello stomaco bruciare dalla rabbia mentre lo inseguivo in quel labirinto di scaffali e quando fui ormai sul fondale più oscuro della sala, non lo vidi più. Come per magia, era scomparso.

Mi guardai intorno, facendo una giravolta su me stessa. Poi, un paio di mani mi afferrarono e presto mi ritrovai con la schiena premuta contro una delle librerie colme.

Gli puntai subito gli occhi addosso.
«Tu». Ringhiai.

Ma era divertito dalla mia reazione, dalle mie guance rosse e dai capelli scompigliati. Portò le mani ricoperte dai guanti ai lati della mia testa e mi imprigionò tra gli scaffali e il suo corpo scolpito.

«Io...» un sorriso sbilenco gli arricciò le labbra.

«Come ti sei permesso!» Quasi gridai, puntandogli un dito contro il petto. «Avresti dovuto dirmi che eri tu!»

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